Come peggiorare il problema dell’amianto in Toscana: «Basta discariche»

Sappiamo almeno dal 1999 che sul territorio insistono oltre 2 milioni di tonnellate di amianto, che non sappiamo dove mettere a causa di «una strutturale carenza di impianti per lo smaltimento»

[27 Agosto 2018]

Sì Toscana a sinistra ha avanzato in Consiglio regionale una mozione su un tema di grande rilevanza per il territorio: l’amianto, le relative bonifiche e il conseguente smaltimento dei rifiuti collegati. Introducendo l’iniziativa, il capogruppo Tommaso Fattori delinea a suo modo i confini del problema: «In Toscana delle quattro discariche per RCA (Rifiuti contenti amianto), due hanno esaurito la cella amianto (Tiro al segno e Bulera) ed una è stata a lungo sotto sequestro (Cassero). Per quanto riguarda Cava Fornace (Montignoso), sia i Comuni territorialmente interessati, sia noi stessi in Consiglio regionale abbiamo votato per chiederne una celere chiusura, con contestuale messa in sicurezza e bonifica ambientale, anche alla luce dei rilievi di Arpat. Per questo servono alternative efficaci ad un ciclo dei rifiuti che continua purtroppo a chiudersi col conferimento della fibra killer in discarica».

Opinione legittima, ma la realtà dei fatti sembra mostrare il problema opposto: nel nostro Paese e nella nostra Regione le bonifiche da amianto vanno tragicamente a rilento (anche) perché mancano gli impianti di smaltimento, ovvero le discariche dove smaltire in sicurezza i rifiuti contenenti amianto derivanti dalle bonifiche.

Non a caso, nonostante la sua messa al bando risalga ormai al 1992, in Toscana come nel resto d’Italia la presenza d’amianto risulta ancora pervasiva. Si stima ce ne siano almeno 2 milioni di tonnellate sul territorio, che da sempre non sappiamo dove smaltire: già il Piano regionale rifiuti redatto nel 1999 metteva in guardia contro «una strutturale carenza di impianti per lo smaltimento». Da allora i programmi di sorveglianza sanitaria e i monitoraggi si sono susseguiti per circoscrive al meglio il problema-amianto, ma ben poco è stato fatto per il conseguente problema-smaltimento, con il risultato che le bonifiche – come ovunque nel Paese – proseguono a passo di lumaca, e i rifiuti derivanti vengono generalmente inviati all’estero, in primis in Germania.

Come affrontare questo stallo? Dal ministero dell’Ambiente Laura D’Aprile, intervenendo lo scorso anno alla Camera durante un convegno sull’amianto organizzato dal M5S, spiegava che «uno dei principali problemi è che mancano le discariche: a volte i monitoraggi non vengono effettuati perché poi nasce il problema di dove poter smaltire l’amianto. Ci sono regioni che hanno fatto delibere definendosi a discarica zero e quindi quando faremo la programmazione del conferimento a livello nazionale ci andremo a scontrare con queste regioni». Anche Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente e membro del think tank di greenreport, presentando l’ultimo report dedicato dal Cigno verde all’amianto mostra che «il numero esiguo di discariche presenti nelle Regioni incide sia sui costi di smaltimento che sui tempi di rimozione, senza tralasciare la diffusa pratica dell’abbandono incontrollato dei rifiuti».

Si può fare a meno delle discariche per il conferimento dei rifiuti contenenti amianto? Secondo Fattori «come esistono alternative all’incenerimento dei rifiuti (anche se in realtà la gerarchia europea prevede una gestione integrata dei rifiuti attraverso i vari passaggi, nell’ordine, di prevenzione, riuso, recupero di materia, recupero di energia, smaltimento, ndr), così esistono alternative alle discariche di amianto. La politica regionale deve sposare l’economia circolare, sostenendo la creazione di una filiera innovativa che inertizzi l’amianto e ne consenta il riutilizzo. Cava Fornace, come tutte le discariche di amianto, deve chiudere immediatamente. Ma al no alla discarica corrisponde un sì e una proposta concreta: incentivare e sostenere la nascita e la diffusione di impianti industriali capaci di inertizzare i rifiuti contenenti amianto, dando così un concreto impulso sia all’attività di bonifica, sia alla nascita di un’economia circolare di sottoprodotti riutilizzabili in edilizia e cantieristica».

Una prima panoramica su queste tecnologie è già stata elaborata da Legambiente e dall’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Cnr, spiegando da una parte che effettivamente «il livello di industrializzazione di alcune tecnologie è oggi in grado di affrontare questa problematica in maniera tecnicamente soddisfacente», ma precisando dall’altra che «attualmente, tutte queste tecnologie sono più costose rispetto al collocamento in discarica: questo potrebbe essere considerato il motivo principale del basso livello di diffusione di questi processi». E dunque, nel mentre le bonifiche non si fanno (anche) perché non sapremmo dove conferire in sicurezza e a costi accettabili i conseguenti rifiuti.

Ma “cedere” alla discarica significa forse mettere in pericolo la salute? La scienza ha già risposto da molti anni al quesito. Già nel 2007 Gabriele Fornaciai, allora responsabile dell’articolazione funzionale Amianto dell’Arpat, spiegava sulle nostre pagine che «l’amianto è un minerale e sotto terra torna a fare il minerale. Ovviamente non tutti i siti sono adatti, ci devono essere delle condizioni particolari e poi deve essere esclusivamente dedicata a questo tipo di smaltimento una parte della discarica». Difatti tutte le discariche dove poter conferire legalmente rifiuti contenenti amianto sono autorizzate a farlo solo al termine di un complesso iter che ne certifichi l’idoneità (l’ente competente per il rilascio delle autorizzazioni ambientali è oggi la Regione), ed è qui la differenza tra governare un problema o alimentare populismi.

L. A.