Riceviamo e pubblichiamo

Come difendere l’economia circolare italiana di fronte ai cambiamenti del mercato globale

La Cina dal 1° gennaio ha imposto uno stop all’import di rifiuti e materie prime seconde, altri Paesi stanno seguendo il suo esempio. Occorre dunque dotarci di impianti adeguati sul territorio nazionale

[8 Gennaio 2021]

È sempre interessante leggere le analisi che riguardano i mercati globali delle materie prime secondarie rispetto all’Italia e, in particolare, l’articolo di Luca Aterini “La Cina ha detto stop all’import di rifiuti: cosa cambia per l’Italia?”.

La domanda finale è molto importante, anche perché lo stop verso la Cina dal 1° gennaio non è una novità, mentre altri Stati, più o meno, copiano il gigante asiatico (ad esempio la Turchia). Non deve colpirci quanto avviene in quegli Stati, sta nelle cose. Anche la Germania nel 1994 con la Legge Toepfer incrementava, di molto, la raccolta dei riciclabili che arrivarono in tutta Europa, anche in Italia. La Germania però, anno dopo anno, incrementò la sua capacità di riciclo, certamente nel campo della carta, fino a diventare il più grande utilizzatore a livello europeo.

Nel 1997, con il decreto Ronchi, l’Italia accelerava il passo sulla raccolta dei riciclabili e nel riciclo, partendo da un’industria che già aveva nel Dna quello che oggi si chiama economia circolare.

Nel 2020 possiamo affermare che il sistema Italia ha raggiunto alcuni risultati, se non altro perché ad esempio nel riciclo degli imballaggi abbiamo raggiunto e oltrepassato nella sostanza gli obiettivi previsti; nell’organico, tanto per fare un altro esempio, siamo i primi d’Europa.

Insomma, degli obiettivi sono stati raggiunti. Resta il fatto che alcuni rifiuti non riescono a trovare un recupero in Italia e neanche in Europa e che, molti rifiuti, vengono esportati per essere recuperati energeticamente in Europa.

D’altro canto la stessa Unione europea con regolamento 2020/2147 sui movimenti transfrontalieri dei rifiuti dal 1° gennaio 2021 assoggetta la circolazione dei rifiuti plastici a maggiori cautele, sia pure con l’obiettivo di sostenere una gestione ecologicamente corretta dei rifiuti a livello mondiale contribuendo alla transizione verso una economia circolare mondiale (come non condividerlo? Se le materie prime circolano a livello mondiale, non può non esserlo anche l’economia circolare).

Va fatta, poi, una considerazione generale. Quando va in crisi il sistema economico, come durante questa pandemia, anche i mercati delle materie prime vanno “in tilt”. Figuriamoci quindi quello delle “materie prime seconde”, provenienti dal ciclo dei rifiuti.

Allora cosa fare? Beh innanzi tutto farci trovare il meno impreparati possibili. Non avere una gestione dei rifiuti equilibrata, un buon sistema di impiantistica a livello nazionale, ci rende più esposti alle crisi sistemiche, ma anche ai “voleri” di quelli che sono i grandi importatori internazionali (non il retrobottega dell’Occidente) e che, poi, per ragioni rispettabilissime (incremento delle raccolte interne e, quindi, maggiore utilizzo dei “rifiuti domestici”) cambiano le loro politiche.

Ci rende dipendenti dalla capacità impiantistica di altri paesi europei che oggi offrono la loro capacità, ma domani, per ragioni diverse, potrebbero non renderla più disponibile

Faccio l’esempio della carta. La capacità impiantistica di riciclo sta crescendo, con nuovi stabilimenti. Uno, in particolare, è rimasto fermo per anni, mentre continuiamo ad esportare carte da riciclare (anche se meno, grazie all’incremento di capacità) e a importare carte riciclate.

Rimane, però, il problema, degli scarti del riciclo, che sono in sostanza “rifiuti urbani” che diventano “industriali”, dopo la selezione e pulizia che avviene negli impianti cartari.

Il loro recupero, non è una novità, è diventata la “questione” dei riciclatori. In altri paesi vengono recuperati energeticamente e contribuiscono, magari, anche agli obiettivi di decarbonizzazione.

Come ricorda il dott. De Girolamo il DLgs n. 116/2020 in attuazione delle Direttive europee n. 851 e 852[1] introduce un nuovo articolo 198 bis, nel Codice ambiente, che disciplina il “Programma nazionale per la gestione dei rifiuti” per definire i criteri e le linee strategiche cui le Regioni e le Province autonome devono attenersi nella elaborazione dei Piani regionali disciplinati dal successivo art. 199 (comma 2) previa Valutazione ambientale strategica. Egli definisce questa novità una “occasione”.

Scorrendo i contenuti non possiamo non condividere il giudizio. Ne evidenziamo alcuni del Programma nazionale (comma 3 dell’art. 198 bis):

lett c) l’adozione di criteri generali per la redazione di piani di settore concernenti specifiche tipologie di rifiuti, incluse quelle derivanti dal riciclo e dal recupero dei rifiuti stessi, finalizzati alla riduzione, il riciclaggio, il recupero e l’ottimizzazione dei flussi stessi;

lett f) l’individuazione dei flussi omogenei di produzione dei rifiuti, che presentano le maggiori difficoltà di smaltimento o particolari possibilità di recupero sia per le sostanze impiegate nei prodotti base sia per la quantità complessiva dei rifiuti medesimi, i relativi fabbisogni impiantistici da soddisfare, anche per macro-aree, tenendo conto della pianificazione regionale, e con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale;

lett f -bis) l’individuazione di flussi omogenei di rifiuti funzionali e strategici per l’economia circolare e di misure che ne possano promuovere ulteriormente il loro riciclo;

lett h) la definizione di un Piano nazionale di comunicazione e conoscenza ambientale in tema di rifiuti e di economia circolare;

lett i) il piano di gestione delle macerie e dei materiali derivanti dal crollo e dalla demolizione di edifici ed infrastrutture a seguito di un evento sismico, definito d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, sulla base dell’istruttoria presentata da ciascuna Regione e Provincia Autonoma.

Fare una buona pianificazione, nella maggioranza dei casi, significa contribuire, con adeguate infrastrutture, a creare un ambiente dinamico e innovativo, tipico del mercato. Così potrà crescere l’economia circolare e potremo avere un sistema di gestione dei rifiuti più equilibrato, che ci rende meno impreparati.

Certo fare pianificazione significa essere concreti, fare una sintesi degli interessi che ci sono sul territorio.

Lo ricorda benissimo la Corte costituzionale (sent. N. 272/2020) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Marche 18 settembre 2019, n. 29, sui Criteri di localizzazione degli impianti di combustione dei rifiuti e del Combustibile solido secondario (Css), che, nonostante il titolo, introduceva un divieto generalizzato di localizzazione, insensibile alla concomitante pianificazione regionale e dalla considerazione della concreta conformazione del territorio marchigiano.

Occorre dunque cominciare a dare le autorizzazioni. Senza autorizzazioni non ci sono impianti e neanche un mercato del “recupero”.

[1]DLgs 3 settembre 2010, n. 116, Attuazione della direttiva UE 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e attuazione della direttiva UE 2018/852 che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio (GU n. 226 del 11.9.2020). Entrata in vigore: 26 settembre 2020.

di Massimo Medugno, direttore generale Assocarta