Coltivare l’iniquità fiscale sulle spalle dei poveri (VIDEO)

I Paesi ricchi stanno tacitamente sostenendo un furto di entrate fiscali a danno dei Paesi africani e asiatici

[28 Ottobre 2021]

Secondo il rapporto “Cultivating Fiscal Inequality: The Socfin Report” pubblicato recentemente da Pain pour le prochain/Bread for all, Alliance Sud e Netzwerk Steuergerechtigkeit Deutschland, «Il gruppo agroalimentare lussemburghese Socfin trasferisce degli utili della produzione di materie prime a Friburgo, un cantone svizzero a bassa tassazione. Questa pratica di ottimizzazione fiscale aggressiva equivale all’espatrio di profitti a scapito della popolazione che vive nelle zone interessate in Africa e in Asia».

Il rapporto fa luce per la prima volta sul funzionamento di questo meccanismo e denuncia che «Anche la Svizzera è in parte responsabile di questo fenomeno, poiché la politica elvetica di dumping in materia di fiscalità delle imprese è uno dei pilastri di questo sistema iniquo».

La Société Financière des Caoutchoucs (Socfin), è una società belga con sede in Lussemburgo, partecipata in maggioranza dal suo presidente, Hubert Fabri, insieme al miliardario francese Vincent Bollaré. La multinazionale ha ottenuto in 10 Paesi africani e asiatici concessioni che messe insieme coprono una superficie di più di 3.800 Km2 quasi quanto l’intera superficie agricola della Svizzera e più di quella dell’intero Lussemburgo (2.586 km2).

Le tre ONG che hanno realizzato il rapporto spiegano che nelle sue 15 piantagioni, la multinazionale lussemburghese produce caucciù e olio di palma che poi vende sul mercato mondiale, «Anche se la società ha una struttura complessa, è chiaro che commercializza gran parte del suo caucciù attraverso una filiale basata a Friburgo, ovvero Sogescol FR. Un’altra filiale, Socfinco FR, anch’essa con sede a Friburgo, è incaricata di amministrare le piantagioni e fornire delle prestazioni alle altre società del gruppo».

Nel 2020, Socfin ha registrato un utile consolidato di 29,3 milioni di euro e il  rapporto, che analizza il profitto per dipendente e nei diversi Paesi nei quali opera Socfin, mette in evidenza la distribuzione particolarmente disuguale di questi redditi: «Se l’utile per dipendente è stato di circa 1.600 euro nei Paesi africani nei quali opera Socfin, lo stesso non si può dire delle filiali svizzere del gruppo, dove la cifra ha raggiunto i 116.000 euro l’anno scorso, un importo quasi 70 volte superiore. In Svizzera, l’utile per dipendente ha addirittura superato i 200.000 euro in media tra il 2014 e il 2020».

Come si spiegano queste differenze nella distribuzione degli utili all’interno dello stesso gruppo? Secondo il rapporto la risposta si trova nella tassazione dei Paesi in cui opera Socfin: «Infatti, è dove le tasse sono più basse che il profitto dell’azienda per dipendente è più elevato. Nei Paesi africani nei quali Socfin è attiva, l’aliquota fiscale varia dal 25 al 33%, contro meno del 14% in Svizzera. Si tratta di un classico schema di trasferimento degli utili tra filiali per scopi di ottimizzazione fiscale aggressiva. Questa pratica, molto diffusa tra le multinazionali, non è necessariamente illegale, ma è comunque iniqua, perché priva i Paesi produttori dell’emisfero sud delle entrate fiscali che sono indispensabili per il loro sviluppo e aumenta così le disuguaglianze mondiali. Ogni anno, circa 80 miliardi di euro di utili realizzati nei Paesi in via di sviluppo sono esportati in giurisdizioni a bassa tassazione come la Svizzera, una cifra che rappresenta più della metà della spesa pubblica annuale destinata alla cooperazione allo sviluppo a scala mondiale».

Dalle stime dell’OCSE emerge che ogni anno i Paesi africani vengono defraudati di oltre 50 miliardi di dollari di tasse, principalmente da società multinazionali che gestiscono miniere, pozzi petroliferi e piantagioni nel continente. Questa cifra è superiore all’importo totale degli aiuti allo sviluppo dati ai Paesi dell’Africa sub-sahariana e alcuni studi suggeriscono che potrebbe essere molto più alto.

Ma, come fa notare Christoph Trautvetter di Netzwerk Steuergerechtigkeit Deutschland, «Le regole fiscali che usiamo sono stabilite dall’OCSE, che è un club di Paesi ricchi, e favoriscono i Paesi in cui hanno sede le sedi centrali e non i Paesi in cui avviene la produzione. E’ tutto sancito ed è un problema sistemico».

Adrien Hallet, il fondatore di Socfin,  ha imparato a coltivare la gomma mentre lavorava in Congo durante il brutale dominio coloniale del re belga Leopoldo II, dopo ha realizzato la prima piantagione industriale di palma da olio al mondo in Indonesia nel 1911. Oggi, la multinazionale che ha fondato ha ancora partecipazioni sparse in tutta Africa occidentale, dove è stata più volte  accusata di accaparramento di terre e violazioni dei diritti umani.

In una e-mail inviata a Mongabay, Socfin ha confutato le accuse del rapporto, affermando il suo «Rigoroso rispetto delle regole in vigore. I trasferimenti di entrate sono regolati dalla legge svizzera, che rispetta i principi dell’OCSE in materia di trasferimenti. Nessuna autorità di vigilanza competente ha segnalato comportamenti abusivi da parte del Gruppo Socfin. Socfin paga le tasse secondo le regole svizzere e internazionali».

Il problema è che. a causa dell’opacità che lo circonda, il trasferimento degli utili all’interno delle multinazionali è una cosa difficile da comprendere da parte dell’opinione pubblica e, a causa della mancanza di volontà o di mezzi sufficienti, lo diventa anche per le amministrazioni fiscali. Il rapporto evidenzia che «Nel caso di Socfin, invece, i rapporti finanziari ripartiti per zone pubblicati dalla società forniscono informazioni sulla struttura e lo scopo delle transazioni tra le filiali. Che si tratti di commercio, consulenza, licenze o altri servizi, le transazioni infragruppo delocalizzano in Svizzera gran parte delle entrate generate in Africa e in Asia. Solo un esame approfondito da parte delle autorità fiscali permetterebbe di verificare se questi prezzi di trasferimento sono, come sostiene Socfin, in linea e pertinenti con le norme dell’OCSE».

Quello che succede nelle piantagioni nell’emisfero Sud è l’altra faccia della medaglia rispetto agli ottimi risultati registrati in Svizzera. Il rapporto denuncia che «In effetti, Socfin dispone di concessioni estremamente vantaggiose in questi Paesi, ma non offre una compensazione sufficiente alla popolazione interessata, paga ai lavoratori solo salari modesti per il loro duro lavoro e non mantiene pienamente le sue promesse di investimento sociale». Nonostante questo contesto particolarmente favorevole, alcune concessioni del gruppo, come la piantagione di caucciù di LAC in Liberia, registrano perdite continue.  il che, secondo il rapporto, «Supporta ulteriormente l’ipotesi che gli utili siano trasferiti dall’Africa al paradiso fiscale svizzero».

Secondo Pain pour le prochain,  «Questa pratica rappresenta oggi un notevole beneficio per la Svizzera, queste transazioni generano quasi il 40% delle entrate dell’imposta sull’utile delle società a livello cantonale e federale. Per combattere gli abusi che derivano da questa pratica, è imperativo che il nostro Paese migliori la trasparenza della sua politica fiscale e renda pubblici i ruling, gli accordi che le amministrazioni fiscali concludono con le società. Lo stesso vale per i rapporti che le multinazionali sono obbligate a presentare in Svizzera nell’ambito dello scambio di rendicontazioni Paese per Paese dell’OCSE, il cui accesso è attualmente limitato alle amministrazioni fiscali. Prima di tutto, è importante che la Svizzera promuova un regime internazionale di imposizione delle imprese che localizzi la tassazione degli utili nei Paesi in cui sono generati e non nelle giurisdizioni a bassa tassazione».

Nei giorni scorsi  Pain pour le prochain ha organizzato un flash mob davanti alla sede di Sogescol e di Socfinco a Friburgo per sollecitare Socfin a «cessare le sue pratiche immorali di trasferimento degli utili e di ottimizzazione fiscale all’interno delle sue strutture. E’ anche importante che il gruppo risponda alle richieste delle comunità locali, restituisca le terre contese e garantisca salari decenti a tutte le lavoratrice e tutti i lavoratori delle piantagioni».

Intervistata da Mongbay, Rachel Etter-Phoya, ricercatrice senior dell’Anglophone African Hub del Tax Justice Network, conclude: «Quello che vediamo così spesso in tutto il continente è che le companies provengono da fuori, in particolare dalle ex potenze coloniali, e utilizzano terra e lavoro per estrarre risorse dai Paesi africani. Ma poi installano la loro sede e un’intera serie di filiali sparse in tutto il mondo, specialmente in giurisdizioni a bassa tassazione o segretezza finanziaria, e sottopagano le tasse in quei Paesi in cui stanno effettivamente svolgendo la parte principale della loro attività. I governi a corto di liquidità in quei Paesi vengono quindi privati ​​di entrate essenziali che potrebbero essere utilizzate per aiutare a sollevare i loro cittadini dalla povertà, spesso senza che nemmeno loro lo sappiano. I Paesi ricchi stanno tacitamente sostenendo questo furto non attuando e applicando regole più eque. Per quegli stessi Paesi è molto più facile e conveniente parlare di cattiva governance e corruzione nei Paesi africani e non guardarsi allo specchio e affrontare i problemi più ampi del sistema che hanno progettato».

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