Clima, l’Italia segna +1,54 °C e continua a surriscaldarsi più velocemente della media globale

Ispra: «Il 2020 in Italia è stato un anno prevalentemente caldo, con condizioni di siccità estese a tutto il territorio nazionale nei primi mesi dell’anno ed eventi meteorologici di grande intensità»

[15 Luglio 2021]

Il XVI rapporto Gli indicatori del clima in Italia, appena pubblicato al Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa) su dati Ispra, conferma come nel nostro Paese la crisi climatica non sia da meno rispetto a quella del Covid-19. Anzi.

Mentre a scala globale sulla terraferma il 2020 è stato l’anno più caldo della serie storica, con un’anomalia di +1.44 °C rispetto al valore climatologico di riferimento 1961-1990, in Italia il 2020 è stato “solo” quinto anno più caldo dal 1961, eppure è bastato per segnare un’anomalia media di +1.54 °C.

A partire dal 1985 le anomalie sono state sempre positive (ad eccezione del 1991 e del 1996) e il 2020 è stato il ventiquattresimo anno consecutivo con anomalia positiva rispetto alla norma, con scostamenti anche ben più alti rispetto al dato medio annuale.

Ad eccezione di ottobre, in tutti i mesi del 2020 la temperatura media in Italia è stata infatti superiore alla norma, con un picco di anomalia positiva a febbraio (+2.88°C), seguito da agosto (+2.49°C).

Non solo: lo scarto aumenta insieme al periodo di tempo considerato. Se guardiamo al 2018, l’anno più caldo per l’Italia da oltre due secoli, scopriamo che «l’aumento rispetto al periodo 1880-1909 è pari circa a 2,5°C, quindi più del doppio del valore medio globale», come spiegato dal Wwf citando dati Cnr.

Ma l’Italia non si sta surriscaldando velocemente solo sulla terraferma. Il rapporto Snpa rileva per la temperatura superficiale dei mari italiani il 2020 un’anomalia media di +0.95°C, che la colloca al quarto posto dell’intera serie: negli ultimi 22 anni la temperatura media superficiale del mare è stata sempre superiore alla media.

Anche nel corso dell’ultimo anno, inoltre, l’aumento della temperatura si è accompagnato a un calo nelle precipitazioni – e soprattutto ad una loro anomala distribuzione nel corso delle settimane. Con un’anomalia di precipitazione cumulata media in Italia pari al -5% circa, il rapporto mostra che il 2020 si colloca al ventitreesimo posto tra gli anni meno piovosi dell’intera serie dal 1961. Sull’intero territorio nazionale i mesi mediamente più secchi sono stati gennaio (-75%) e febbraio (-77%), seguiti da aprile e maggio, mentre dicembre è stato il mese mediamente più piovoso, con un’anomalia di +109%.

Complessivamente «il 2020 in Italia è stato un anno prevalentemente caldo, con condizioni di siccità estese a tutto il territorio nazionale nei primi mesi dell’anno», ed «eventi meteorologici di grande intensità hanno interessato diverse aree del territorio nazionale».

Qualche esempio? «Particolarmente rilevante la forte perturbazione che, fra il 2 e il 3 ottobre, ha portato precipitazioni intense e persistenti su diverse regioni, in particolare sul nord-ovest, investito da piogge alluvionali. Totali di evento molto elevati, che hanno raggiunto diffusamente valori superiori a 400 mm, con picchi di oltre 500 mm in 12 ore e 600 mm in 24 ore nell’alto piemontese, hanno causato onde di piena eccezionali. In Liguria sono stati registrati venti con intensità di burrasca forte e con raffiche tra tempesta ed uragano; mareggiate estese ed intense hanno colpito tutti i settori costieri».

A fronte di questi dati drammatici, l’Italia ancora non sta svolgendo appieno il proprio ruolo per difendersi dalla crisi climatica, come ritiene l’84% della popolazione italiana ma soprattutto come dimostra l’andamento delle emissioni climalteranti.

Al di là del temporaneo crollo nel 2020 legato alle restrizioni imposte per la pandemia, a fine 2019 le emissioni nazionali di CO2 erano dunque pressoché paragonabili a quelle registrate nel 2014: di fatto, cinque anni di stallo. Lo stesso vale per le rinnovabili, le cui installazioni sempre dal 2014 crescono col contagocce: per rispettare gli obiettivi Ue al 2030 si stima siano necessari fino a 7,5 GW/anno in termini di nuovi impianti, ma ora arriviamo a malapena a 0,8.

Occorre dunque incrementare il livello d’ambizione politica, fissando target di riduzione per le emissioni adeguati alla crisi climatica che stiamo sperimentando, e incrementare il ritmo nelle istallazioni per le fonti rinnovabili, sgombrando il campo dalle complessità burocratiche – nonché dalle sindromi Nimby & Nimto – che stanno frenando il comparto.