Clima e disuguaglianza, Iea: l’1% più ricco emette mille volte più CO2 dei poveri

«Lo 0,1% più ricco emette 10 volte di più di tutto il resto del 10% più ricco, superando le 200 tonnellate di CO2 procapite all'anno», mentre la media Ue è 24 ton annue

[23 Febbraio 2023]

Dopo l’analisi del think tank World inequality lab anche gli esperti dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) hanno realizzato un focus sulla disuguaglianza climatica, quantificando le emissioni di CO2 globali legate all’energia – di gran lunga le più significative per la crisi climatica in corso – in base alle fasce di reddito.

Ne emerge un quadro dove i ricchi e in particolare gli i super ricchi hanno un impatto sproporzionatamente più grande sul clima rispetto al resto della popolazione.

Ad oggi l’impronta di carbonio media globale relativa all’uso dell’energia è di circa 4,7 ton di CO2 procapite l’anno, l’equivalente di due voli di andata e ritorno tra Singapore e New York o alla guida di un Suv per 18 mesi. Ma, trilussianamente parlando, la sola media dice poco visti gli ampi divari tra i vari Paesi del mondo e al loro interno.

A livello globale, nel 2021 il 10% più ricco – composto da 782 milioni di persone, molte delle quali non necessariamente “ricche” secondo gli standard occidentali – è stato responsabile di quasi la metà delle emissioni globali di CO2, con una media di 22 ton procapite; un dato 200 volte più elevato rispetto alla media del 10% più povero, che vive prevalentemente in economie in via di sviluppo in Africa e Asia, in molti casi senza avere accesso neanche accesso all’elettricità o a fonti energetiche “pulite” per cucinare.

Detto altrimenti, se il 10% più ricco del mondo manterrà gli attuali livelli emissivi, entro il 2046 avrà esaurito da solo l’intero budget di carbonio rimanente entro il quale è possibile centrare l’obiettivo Net zero emission 2050 delineato dalla Iea.

Del resto anche il 10% più povero in paesi come Stati Uniti, Canada, Giappone e Corea emette ancora più dell’individuo medio globale. Dunque la scelta è tra essere poveri in canna ma ambientalmente sostenibili, oppure ricchi economicamente ma forti emettitori di gas serra? In realtà nel mezzo le sfumature sono molte.

Basti osservare che negli Usa il decile più ricco emette ogni anno oltre 55 tonnellate di CO2 pro capite, mentre nell’Ue – dove la qualità di vita non è certo inferiore – si ferma a meno della metà (circa 24 ton procapite); al contempo, ormai anche in Cina il 10% più ricco emette più dell’omologo europeo (quasi 30 ton procapite). In Europa l’impronta ambientale resta minore non a causa della povertà ma per altri fattori, come una dotazione tecnologica migliore, ad esempio in termini di reti elettriche e una minore intensità delle emissioni.

Ma è necessario osservare che in questo contesto non si può parlare genericamente di emissioni “europee” o “statunitensi”, dato che le disuguaglianze interne a Usa e Ue sono ampie come quelle internazionali: in entrambe le macroaree il 10% di cittadini più ricco emette da 3 a 5 volte di più dell’individuo medio, e circa 16 volte di più rispetto al decile più povero.

«Il gruppo più ricco – osservano gli esperti Iea – spesso ha i maggiori mezzi finanziari per adottare soluzioni ad alta efficienza energetica e a basse emissioni che comportano costi iniziali elevati». Gli esempi proposti sono molti: auto elettriche, compensazioni emissive per i voli aree, scelte d’investimento, cambiamenti comportamentali individuali.

Ma c’è uno strumento meno aleatorio per far sì che siano davvero i più ricchi a finanziare la transizione ecologica, usando il gettito per sostenere i più poveri: la tassazione, che deve tornare ad essere molto più progressiva. Anche in Italia, dato che nel nostro Paese il sistema fiscale è addirittura regressivo per il 5% più ricco dei contribuenti, che pagano aliquote inferiori rispetto al 95% della popolazione.