Cingolani, la Transizione ecologica dovrà essere anche giusta

«Necessario trovare giusto bilancio tra le esigenze di un’economia che genera lavoro e benessere e il fatto che questa economia non debba essere implementata a spese dell’ambiente in cui viviamo»

[3 Marzo 2021]

Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani sta prendendo le misure al nuovo dicastero che sta nascendo dalle ceneri di quello dell’Ambiente: un ministero che guarda al modello spagnolo – ieri Cingolani è intervenuto al webinar Verso la Cop26: tra ripresa ed ambizione climatica assieme al ministero spagnolo per la Transizione ecologica e la sfida demografica (Miteco) – e che si appresta adesso a lavorare alla Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile.

Cingolani ha illustrato dunque quali saranno le principali aree di lavoro: una forte riduzione della domanda di energia, legata in particolare a un calo dei consumi nella mobilità privata oltre che nel settore civile; un cambiamento radicale del mix energetico a favore delle rinnovabili, unito a una profonda elettrificazione degli usi finali e alla produzione di idrogeno; un aumento dell’assorbimento garantito dalle aree forestali (compresi i suoli forestali) attraverso una gestione sostenibile, il ripristino delle aree degradate e la riforestazione.

Ma il ministero guarderà all’ambiente come un punto di equilibrio, tenendo conto che attuare una transizione ecologica significa portarne avanti contemporaneamente una di stampo socio-economico.

«Siamo in un momento in cui la sofferenza sociale è elevatissima, e non solo l’economia sta pagando un pegno formidabile. Non possiamo né dobbiamo ignorare le difficoltà che si stanno vivendo», dichiara Cingolani intervenendo in diretta alla Conferenza preparatoria della Strategia nazionale: è dunque «necessario trovare giusto bilancio tra le esigenze di un’economia che genera lavoro e benessere e il fatto che questa economia non debba essere implementata a spese dell’ambiente in cui viviamo».

Su come trovare questo «giusto bilancio» siamo però ancora ai massimi sistemi. «La transizione per la prima volta ci mette di fronte a un approccio che non può essere né globale né locale: si usa in genere il termine glocal, ed è questo l’approccio che bisognerà utilizzare», argomenta Cingolani. Dunque «la visione è globale, ma le soluzioni devono essere innestate nel tessuto locale».

Che Cingolani abbia preso a riferimento le politiche ambientali del governo di sinistra spagnolo fa ben sperare ed è confortante che si ispiri dichiaratamente al concetto di “pensare globalmente agire localmente” che, già molti anni fa, era uno slogan di Legambiente poi diventato internazionale. Ma per una valutazione nel merito occorrerà naturalmente attendere i primi atti del ministro.

Del resto problematiche “glocal” di certo non mancano. Un esempio su tutti, il ciclo integrato di gestione dei rifiuti che generiamo ma che non sappiamo dove recuperare o smaltire entro i confini nazionali: «Ci sono delle cose che stanno avvenendo su scala planetaria che sono molto gravi – osserva il ministro – Paesi ricchi che esportano enormi quantità di materiale plastico in Paesi che poi li riversano nei fiumi e vanno a finire nei mari: questo ciclo non va bene, il trattamento è inadeguato, il traffico del rifiuto è un problema di natura legale e sociale, sul rifiuto bisognerà fare grandissima attenzione tanto nell’aspetto normativo che in quello scientifico».

In attesa di risposte al problema restano gli interrogativi: «La correlazione tra un pianeta in salute, le persone in salute e una società giusta è il vero obiettivo della transizione. Su questo – aggiunge Cingolani – non abbiamo la ricetta, non ce l’ha nessuno, stiamo cercando di capire dove andare, di capire la direzione».

Anche il tempo però è una risorsa sempre più scarsa, con cui il pianeta ci chiama a fare i conti:  «L’indicatore principale da tenere ben presente in tutte le scelte politiche e tecniche è che la biocapacità del nostro pianeta tra luglio e agosto sarà terminata. Significa che viviamo in un’era di debito ambientale, oltre che economico, ed è  spaventoso. Siamo tanti, le diseguaglianze sono aumentate e tra luglio e agosto esauriamo la nostra parte di risorse naturali. Viviamo quindi in  una società del debito non solo economico, ma anche ambientale, e in altri contesti cognitivo, perché persino l’informazione e la cultura vengono mediati da sistemi talmente veloci che la nostra mente spesso non riesce a metabolizzare le informazioni».

Una migliore informazione e comunicazione ambientale è dunque essenziale per affrontare la sfida, in Italia più urgente che altrove. Richiamando al debito ecologico di cui ci siamo sobbarcati, Cingolani fa infatti riferimento implicito all’Earth overshoot day, ovvero il giorno in cui l’impronta ecologica dell’umanità – che somma la pressione sulle aree biologicamente produttive in termini di cibo, legname, fibre, sequestro del carbonio, superfici per le infrastrutture – supera la biocapacità del nostro pianeta, ovvero l’ammontare di risorse biologiche che gli ecosistemi della Terra sono in grado di rinnovare in un anno (o gli scarti, come la CO2 antropogenica, che sono in grado di assorbire). Se è vero che a livello globale l’ultimo anno è arrivato il 21 agosto, in Italia ci siamo portati avanti: l’Earth overshoot day qui cade già a maggio.