Nel mentre lo sviluppo delle rinnovabili rimane lontanissimo dagli obiettivi 2030

Che fine ha fatto il Piano energia e clima italiano?

Si tratta di un documento fondamentale per la transizione energetica del Paese, che avrebbe dovuto essere inviato all’Ue entro la fine del 2018

[2 Gennaio 2019]

Il 31 dicembre 2018 avrebbe potuto (e dovuto) essere un giorno importante per delineare le ambizioni del nostro Paese in fatto di lotta ai cambiamenti climatici e transizione energetica: entro la fine dell’anno appena conclusosi era infatti prevista la redazione del Piano nazionale energia e clima, il documento attraverso il quale l’Italia deve indicare il percorso scelto per raggiungere i target comunitari in materia al 2030. Il termine fissato è scaduto, ma ad oggi del nostro Piano nazionale non c’è notizia.

«L’Italia ha annunciato che uscirà dal carbone entro il 2025 e che sta lavorando al Piano energia e clima. Si tratta del Piano che, in linea con gli Accordi di Parigi, dovrà tracciare in dettaglio la strategia energetica del Paese nei prossimi anni e che deve essere inviato alla Commissione europea entro il 31 dicembre del 2018. Un documento di grandissima rilevanza, che ridefinirà le nostre politiche industriali e che accompagnerà una transizione profonda dell’economia. Purtroppo ad oggi di questo Piano sappiamo poco o niente – confermava appena tre giorni fa Andrea Orlando, ex ministro dell’Ambiente – e su di esso non si è generato un dibattito pubblico consapevole delle implicazioni che avrà per il futuro del Paese».

Un silenzio preoccupante, dato che le ultime notizie nel merito offerte dalle forze politiche di maggioranza non sono rassicuranti. Per quanto riguarda ad esempio le fonti rinnovabili la direttiva Red II approvata in sede europea lo scorso anno prevede che entro il 2030 queste dovranno soddisfare almeno il 32% dei consumi finali lordi dell’Ue. Come già argomentato su queste pagine e come spiegato dallo stesso ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio (M5S) nel luglio 2018, per il nostro Paese «raggiungere il 32% da fonti rinnovabili nei consumi finali significa che dobbiamo raddoppiare, in soli 10 anni, la produzione da rinnovabili. Passando dagli attuali 130 TWh a più di 200. Questi obiettivi, insieme al programma di decarbonizzazione, guideranno la stesura del Piano energia e clima, una bozza che sarà inviata per le valutazioni in commissione entro dicembre» 2018.

Alla fine di novembre però il sottosegretario del Mise con delega all’Energia Davide Crippa (M5S) ha comunicato che il nuovo target italiano per le rinnovabili sarà al ribasso rispetto a quello comunitario: «Siamo orientati al 30%». Da allora nessun segno di inversione di rotta: «Lavoriamo ad un Piano energia e clima per definire le azioni necessarie per ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni e di incremento delle energie rinnovabili, che ci permetteranno di perseguire nel nostro percorso di decarbonizzazione». Queste le parole offerte dall’attuale ministro dell’Ambiente Sergio Costa durante la conferenza Onu sul clima di Katowice, senza però soffermarsi sugli obiettivi quantitativi che saranno effettivamente inseriti nel Piano nazionale.

L’unica cosa certa è che, come ha recentemente documentato il Gse – ovvero il Gestore dei servizi energetici, società del ministero dell’Economia –, se i progressi sul fronte delle energie rinnovabili proseguiranno col ritmo annuale l’Italia al 2030 non raggiungerà il 32% ma neanche il 30%, si fermerà piuttosto al 22%. Una prospettiva ampiamente insufficiente in termini di transizione energetica, come certificato anche dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile (Enea), che su questo fronte documenta un trend in peggioramento ormai da 8 trimestri consecutivi.

Continuare su questa strada significherebbe non solo concretizzare un disimpegno dell’Italia nella lotta ai cambiamenti climatici, ma anche rinunciare a significative opportunità di crescita economica e posti di lavoro: «Abbiamo calcolato – testimonia infatti sulle nostre pagine Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e già ministro dell’Ambiente – che per ogni euro di finanziamento pubblico alle misure di attuazione del Piano energia clima se ne attivano altri tre di investimento privato, con effetti di aumento stimato di circa 900 mila unità di lavoro cumulate nei prossimi 5 anni». Opportunità che per ora rimangono ferme al palo.