Carbon tax, con 11 cent in più per litro di benzina avremmo a disposizione 200 miliardi di euro

Majocchi: «L’imposizione di un prezzo sul carbonio è considerato lo strumento migliore per correggere l’esternalità negativa legata ai danni generati dalle emissioni di CO2»

[25 Maggio 2020]

La carbon tax, ovvero la tassa sulle emissioni di CO2, è ormai uno strumento ampiamente diffuso nel mondo: l’ultimo report pubblicato nel merito dalla Banca mondiale conta almeno 57 forme di carbon pricing nel mondo, di cui 29 carbon tax, dieci delle quali in Stati europei. Un’imposta italiana però ancora non c’è, né una europea (sebbene in Ue sia attivo il sistema di scambio di quote di emissione Ets, che copre settori responsabili di circa il 45% delle emissioni di gas a effetto serra europee).

Eppure l’imposizione di un prezzo sul carbonio «è considerato lo strumento migliore per correggere l’esternalità negativa legata ai danni generati dalle emissioni di CO2. – come sottolinea oggi su Euractiv Alberto Majocchi, professore emerito di Scienza delle finanze all’Università di Pavia – Inoltre, un prezzo sul carbonio può  fornire nuove entrate per finanziare le spese per la transizione ecologica e per sostenere una riforma fiscale che sposti l’onere della tassazione da un bene (il lavoro) a un male (l’emissione di gas ad effetto serra)».

Secondo Majocchi «il prezzo imposto inizialmente deve essere sufficientemente elevato per dare un segnale al mercato e promuovere un progressivo cambiamento nella struttura dei consumi e dei metodi di produzione», da qui il suggerimento di partire con «€50 per tonnellata di COemessa, equivalente a circa 11 cents per litro di benzina». Dato che nel 2017 le emissioni totali di CO2 nell’UE27 ammontano a 3.977 milioni di tonnellate, Majocchi calcola che «il carbon dividend sarebbe quindi di circa 198,5 miliardi di euro, imponendo un floor price di € 50 anche per la vendita all’asta dei permessi di emissione» nel mercato Ets (dove ad oggi a causa della crisi Covid-19 i prezzi della CO2 sono crollati del 40% circa, spostandosi da 25€/ton a circa 10-15€/ton).

Majocchi valuta inoltre positivamente una forma di carbon border tax, come quella contenuta nella proposta di Recovery plan avanzata nei giorni scorsi da Emmanuel Macron e Angela Merkel: «Il carbon pricing europeo dovrebbe essere accompagnato dall’imposizione di un diritto compensativo alla frontiera (un Border Carbon Adjustment – BCA), prelevato sulle importazioni nel territorio dell’Unione di merci provenienti da paesi che non impongano un prezzo sul carbonio. Il BCA potrebbe fornire entrate addizionali, pari a circa 22 miliardi, che affluiranno direttamente al bilancio europeo come risorse proprie in quanto diritti doganali, senza ricorrere alla procedura prevista dall’Articolo 311 TFUE. In questo modo, la competitività delle imprese europee non viene compromessa e viene evitato il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio».

Una volta adottata una carbon tax europea, il relativo gettito potrebbe essere impiegato per finanziare lo sviluppo sostenibile e per garantire sostegno alle fasce sociali più deboli: «Il carbon dividend potrebbe essere utilizzato – osserva Majocchi al proposito – per avviare una riforma fiscale che miri a garantire una redistribuzione a favore delle classi di reddito più disagiate, per contrastare gli effetti regressivi di un’imposta sull’energia e per combattere le diseguaglianze generate dal processo di globalizzazione e, al contempo, per garantire una transizione ecologica economicamente efficiente e socialmente sostenibile, con il sostegno alla produzione di energia rinnovabile».

Una proposta in linea con quella recentemente avanzata in Italia dal Kyoto club, contando che il nostro Paese – guardando al solo al comparto energetico – è responsabile del 12% circa delle emissioni di CO2 europee.