Cambiamenti climatici, rispetto al 1800 l’Italia oggi è più calda di 2,3 °C

Cnr: «Si tratta di un processo inarrestabile se continuiamo a produrre gas serra attraverso l’uso di combustibili fossili»

[25 Marzo 2019]

L’Italia si conferma sulla cresta dell’onda dei cambiamenti climatici: con una anomalia di +1.58°C sopra la media del periodo di riferimento (1971-2000), il 2018 italiano ha segnato un nuovo record di surriscaldamento, come mostrano i dati raccolti dal Cnr di cui abbiamo già dato conto sulle nostre pagine. Se questa è l’anomalia termica rispetto a un periodo recente – il trentennio 1971-2000, appunto – quanto vale la crescita della temperatura osservata su un periodo più lungo?

A rispondere sono i dati raccolti dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Isac) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) in collaborazione con l’Università di Milano (Unimi), e pubblicati oggi dal Sole 24 Ore all’interno del suo Indice del clima: «Rispetto all’anno 1800 l’Italia oggi è più calda di 2,3 gradi in media», con un’impennata che «si concentra perlopiù dopo il 1980».

«Il trend italiano – conferma Michele Brunetti sul Sole 24 Ore, responsabile della Banca dati di climatologia storica dell’Isac-Cnr – rispecchia un fenomeno globale. Si tratta di un processo inarrestabile se continuiamo a produrre questi gas (serra, ndr), attraverso l’uso di combustibili fossili».

Ma su questo fronte l’Italia, nonostante stia già subendo gli effetti dei cambiamenti climatici in modo più intenso rispetto alla media globale, continua a non mettere in campo l’impegno necessario a raggiungere gli obiettivi che si è impegnata a raggiungere ratificando l’Accordo di Parigi sul clima. Durante il Consiglio europeo di pochi giorni fa non si è schierata (come invece hanno fatto Danimarca, Finlandia, Francia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia) affinché l’Ue si impegni a raggiungere la carbon neutrality entro il 2050, e per quanto riguarda gli impegni nazionali ha prodotto una proposta di Piano integrato per l’energia e il clima (Pniec) che è stata unanimamente bocciata come poco ambiziosa, e non solo dalle più importanti associazioni ambientaliste.

Come testimonia anche Edo Ronchi, ex ministro dell’Ambiente e oggi presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, «nel 2018, secondo le stime di Ispra, le emissioni di gas serra sono state pari a 426 MtCO2eq: praticamente ferme al livello del 2014. Senza contare che per l’Italia le emissioni di gas serra, non contabilizzate nell’inventario azionale, connesse al saldo import-export di prodotti realizzati con consumo di energia fossile e quindi che hanno generato emissioni di gas serra, sono stimate (nel 2014 ultimo anno disponibile) in circa 120 MtCO, quindi il 35% in più delle emissioni nazionali contabilizzate di anidride carbonica. Per essere in traiettoria con l’Accordo di Parigi e avere emissioni nette pari a zero entro la metà del secolo, nel prossimo trentennio l’Italia dovrebbe tagliare, in media ogni anno, le proprie emissioni di gas serra di circa 13 MtCO2eq: un tasso di riduzione dal quale siamo stati ben lontani egli ultimi 4 anni, anche se inferiore a quello registrato nel decennio 2005-2014. Per stare in questa traiettoria l’Italia dovrebbe produrre ogni anno circa 1,5 Mtep di energia da fonte rinnovabile in più e ridurre i consumi energetici finali di altrettanti, mentre negli ultimi 4 anni la crescita delle rinnovabili è stata di circa 0,5 Mtep, un terzo del necessario, e i consumi di energia sono addirittura aumentati».

L. A.