Assobiotec-Federchimica: ripartire dalla bioeconomia per ripensare i consumi e l’impatto ambientale

E’ necessaria una collaborazione tra pubblico e privato per un nuovo modello di sviluppo sostenibile

[17 Settembre 2020]

Il terzo gruppo di lavoro di  Assobiotec-Federchimica, terza tappa del più ampio percorso “Biotech, il futuro migliore – Per la nostra salute, per il nostro ambiente, per l’Italia”,  è stato dedicato alla Bioeconomia e ha affrontato il tema “Ripensare consumi e impronte sul mondo: anche in Italia la rivoluzione della bioeconomia, arrivando alla conclusione che bisogna «Fare leva sulla bioeconomia per una ripartenza sostenibile, di cui le biotecnologie sono un insostituibile motore strategico; produrre cibo sempre più sano, affrontando il problema della diminuzione delle risorse e i cambiamenti climatici; incentivare una collaborazione tra chimica tradizionale e biochimica e tra pubblico e privato»

Ad Assobiotec-Federchimica ricordano che «Il biotech rappresenta oggi un settore importantissimo che, secondo le stime dell’Ocse, nel 2030 avrà un peso enorme nell’economia mondiale: saranno, infatti, biotech l’80% dei prodotti farmaceutici, il 50% dei prodotti agricoli, il 35% dei prodotti chimici e industriali. Nonostante l’Italia sia sul podio per il numero di progetti di qualità nel settore delle biotecnologie, è importante interconnettere settori e attori, coinvolgendo, ad esempio, per quanto riguarda la filiera agroalimentare, gli  agricoltori in prima persona, al fine di comprendere al meglio le sfide e fissare obiettivi su base scientifica».

Per questo, Assobiotec Federchimica sta lavorando insieme ai partecipanti del gruppo di lavoro alla creazione di un nuovo modello di sviluppo sostenibile e spiega che «La creazione di filiere e catene di valore a basso impatto, la collaborazione pubblico e privato per ottenere processi più efficienti, l’analisi delle criticità come la qualità dei prodotti, i costi e l’importanza di creare un dialogo tra chimica e biochimica sono solo alcune delle necessità emerse  per creare una bioeconomia circolare di reale innovazione».

Per Elena Sgaravatti, del consiglio di presidenza Assobiotec-Federchimica e CEO DemBiotech, «Le biotecnologie rappresentano una leva di innovazione importantissima per la Salute del pianeta, centrale per il settore agricolo e industriale, in un’ottica che mette insieme sviluppo economico e tutela dell’ambiente  Le biotecnologie industriali sono una tecnologia chiave per lo sviluppo economico attuale e futuro. Occorre, oggi più che mai, andare avanti con un piano d’azione che non prescinda dagli investimenti in ricerca e innovazione e che assegni alle biotecnologie il loro ruolo di vero e proprio motore di una bioeconomia circolare per una ripartenza sostenibile. L’emergenza Covid ci ha insegnato quanto sia fondamentale incrementare la produzione nazionale e limitare sempre più le importazioni dagli altri Paesi. Dobbiamo sviluppare in questo senso strategie precise che facciano sì che, anche a livello culturale, vengano accettate alternative sostenibili dal punto di vista ambientale ma anche economico e sociale».

Deborah Piovan, portavoce di Cibo per la mente, ha detto che «Tra le numerose sfide della società nel nostro tempo c’è sicuramente l’urgenza di produrre cibo in modo sostenibile, sia per l’economia che per l’ambiente, L’innovazione è un fattore importante per raggiungere questo obiettivo ed è quindi necessario liberare le biotecnologie da vincoli normativi ormai obsoleti. Le paure vanno rispettate, ma affrontate, e le posizioni ideologizzate, abbandonate. Siamo giunti ad un momento in cui è necessario rivedere il quadro normativo perché la sperimentazione, per esempio sulle varietà vegetali ottenute mediante biotecnologie, possa arrivare ad essere consentita direttamente in campo aperto. Le sperimentazioni, basate sulla variazioni di genoma nelle piante, sono spesso demonizzate dall’opinione pubblica perché rientrano nella categoria OGM. Tuttavia, l’innovazione derivante da queste sperimentazioni è spesso fondamentale per garantire la salvaguardia dei prodotti tipici, del Made in Italy e della biodiversità naturale, anche a fronte di sfide sempre più grandi come il cambiamento climatico».

Mauro Provezza, industrial director di Bayer CropScience, ritiene che «Sia arrivato il momento di dare una svolta all’agricoltura italiana, allineata da tempo ai principi dettati dall’ONU per lo sviluppo sostenibile e pronta al Green Deal Europeo Per tradurre la Scienza in Vita è necessario passare attraverso sostenibilità, innovazione e legittimazione sociale. Per questo c’è bisogno che i decisori politici passino dalla stagione delle strategie a quella della loro concreta implementazione, considerando l’alto livello di competenze e innovazione già disponibili e l’opportunità storica di rilevanti finanziamenti europei. Bisogna, per esempio, potenziare il piano nazionale per le biotecnologie sostenibili in agricoltura, riprendere ed estendere i piani e i progetti di ricerca, coinvolgendo pubblico e privato in una prospettiva di “Open Innovation” e di efficace trasferimento tecnologico oltre ad assicurare procedure tempestive di assegnazione fondi. Nel concreto, è necessario studiare, grazie alla biotecnologia di precisione e i big data, la storia delle singole piante per andare a rispolverare le conoscenze storiche delle stesse e di come hanno saputo reagire ai cambiamenti climatici. Lavorare per il futuro, studiando il passato».

Secondo Fabio Fava, Coordinatore del “Gruppo di coordinamento nazionale per la Bioeconomia” presso il CNBBSV della Presidenza del Consiglio e professore ordinario di biotecnologie industriali ed ambientali  alla Scuola di ingegneria dell’università di Bologna, «E’ fondamentale che istituzioni e associazioni creino le condizioni perché un produttore sia maggiormente coinvolto nella definizione delle policy e nella progettazione di piani di ricerca e innovazione sia nazionali che europei – dichiara  – Dal 2017 l’Italia ha messo in campo una strategia nazionale per la bioeconomia, come quinto Paese in Europa. Nel 2019, il gruppo di coordinamento nazionale per la Bioeconomia della Presidenza del Consiglio, l’ha rivista, allineandola alle nuove priorità della bioeconomia del Paese (i.e., circolarità, digitalizzazione, rigenerazione territoriale, bioeconomia delle città, etc) redigendo, successivamente (2020), un suo piano di implementazione nei territori (Implementation Action Plan, 2020-2025) unitamente ad un documento di indirizzo per il recovery del Paese, dal titolo “La bioeconomia circolare: suo ruolo per la ripresa economica, sociale, sanitaria ed ambientale del Paese”. In questo senso, il Governo italiano è particolarmente sensibile al tema, e di indirizzo, soprattutto nell’interconnettere gli attori pubblici e privati della bioeconomia, i settori che la compongono e dunque le istituzioni di competenza: Ministeri e Regioni, perché la bioeconomia italiana possa essere sempre più rigogliosa ma anche sostenibile e rigenerativa, su tutto il territorio nazionale».

Luigi Capuzzi, research & development director di Novamont, è convinto che «La bioeconomia circolare, che è uno dei pilastri dell’economia italiana, può giocare un ruolo chiave per riportare materia organica pulita nei suoli agricoli sempre più poveri di nutrienti Per un pieno sviluppo del settore è però necessario aumentare la qualità delle raccolte differenziate, la quantità e qualità degli impianti di trattamento dei rifiuti organici, l’estrazione di micronutrienti e di materie prime utili dai processi di depurazione, oltre a potenziare il settore delle bioraffinerie, superando le barriere normative soprattutto in tema di “End of waste” e valorizzazione degli scarti di processo. Novamont è al lavoro da anni per generare una catena del valore integrata per le bioplastiche e ad oggi ha sviluppato un modello di economia circolare, radicato nei territori che mette al centro la rigenerazione dell’acqua e del suolo. Oggi disponiamo in Italia di una piattaforma demo sistemica di bioeconomia circolare che ci permette, per esempio, di riciclare il 47% del totale del rifiuto alimentare rispetto alla media europea del 16%. L’Italia ha le carte in regola per diventare un driver di bioeconomia circolare soprattutto se sapremo canalizzare sviluppo economico, ambientale e sociale».

Filippo Servalli, corporate innovation & research manager di RadiciGroup, ha concluso: «E’ necessario un maggior dialogo tra l’ingegneria chimica tradizionale e il mondo delle biotecnologie affinché questi due settori collaborino attivamente se si vogliono raggiungere risultati considerevoli in ottica di sostenibilità e innovazione nel medio-breve termine I prodotti bio rappresentano sempre più una nuova frontiera di innovazione non solo nel settore agro-alimentare ma, per esempio, nel mondo tessile e nel settore dell’automotive c’è una forte richiesta di soluzioni sempre più sostenibili. Esistono già alcuni prodotti e si sta lavorando per migliorarne le performance, così da rispondere alle richieste anche dei mercati più “demanding”. All’interno di RadiciGroup ci stiamo muovendo proprio in questa direzione, facendo leva sul nostro consolidato know-how chimico e sulle sinergie tra le business area, per proporre un’offerta di materiali bio, sostenibile anche in ottica costi-benefici. Lavorare in direzione di continua innovazione e di attrazione dei capitali potrà portare ad una svolta definitiva in questo settore».