Amianto in Toscana, 2 milioni di tonnellate e non sapere dove metterle

Almeno 1.145 siti da bonificare e «una strutturale carenza di impianti per lo smaltimento» nota dal 1999

[13 Giugno 2016]

Se a livello nazionale la mancanza di impianti per gestire l’eterna emergenza amianto delinea il classico paradosso di un “elefante (ignorato) nella stanza”, anche in Toscana la situazione non è certo delle migliori. Come noto dal Piano regionale rifiuti redatto nel 1999, sul territorio sono presenti almeno 2 milioni di tonnellate di amianto (di cui il 75% cemento-amianto e 25% friabile). Già allora, come ricorda l’Arpat, era nota «l’esigenza di dotarsi di impianti adeguati per lo smaltimento in sicurezza, una volta rimosso. In particolare il piano prevedeva la realizzazione di impianti di inertizzazione per quello friabile e specifici moduli di discarica per il cemento-amianto».

Più di tre lustri dopo, a che punto siamo? La Regione ha affidato ad Arpat nel 2006 la realizzazione di una mappatura puntuale dell’amianto sul territorio toscano. Le prime due fasi del progetto hanno rilevato 1.145 siti contenenti amianto, mentre la terza fase che prevede la mappatura delle coperture (edilizia privata) è «tuttora – secondo la relazione del direttore generale Arpat Giovanni Barca, svoltasi nel settembre 2014 – in fase di programmazione».

I rifiuti contenenti amianto, per quanto riguarda i materiali friabili, possono essere conferiti in una discarica per rifiuti pericolosi (dedicata o dotata di cella dedicata), mentre i materiali da costruzione contenenti amianto possono dirigersi verso discariche per rifiuti non pericolosi (dedicata o dotata di cella monodedicata). Di fronte a questo scenario, complessivamente, in Toscana «sono presenti 4 discariche attive, di cui 3 per rifiuti non pericolosi con volumetria residua stimata al 12/2013 complessiva di circa 460.000 m3 e 1 per rifiuti pericolosi (Enel)».

Manca una discarica per rifiuti pericolosi per il materiale friabile contenente amianto, mentre va meglio per i rifiuti da materiali da costruzione contenenti amianto. «La discarica per rifiuti pericolosi (materiali friabili) ha una capacità dedicata e limitata – ricordava Barca – oltre a trovarsi fuori dalle principali vie di comunicazione: i rifiuti contenti amianto pericolosi vanno quasi tutti fuori regione e spesso all’estero».

Per  contenere i costi di smaltimento e l’inquinamento ambientale (con i rischi connessi al trasporto) i «rifiuti dovrebbero trovare sistemazione in regione secondo il principio comunitario di “prossimità”.  Accanto alle necessarie discariche di rifiuti pericolosi si rende quindi opportuna un’adeguata politica di mercato o di incentivi per cercare di agevolare un processo che si sta svolgendo troppo lentamente».

Se a livello di valutazione scientifica dunque il quadro è quanto mai chiaro, la realtà dei fatti è ancora molto lontana dalle esigenze del territorio. Già dal 1999 il Piano regionale rifiuti (Prb) stabiliva che nelle discariche regionali avrebbero dovuto essere previsti moduli dedicati allo smaltimento dell’amianto, ma questo provvedimento non è stato mai concretamente attuato.

Anche l’ultimo Prb, che presto sarà rielaborato, riconosce che« ai fini della gestione dei rifiuti pericolosi, il caso dell’amianto costituisce una criticità di rilievo», con «una strutturale carenza di impianti per lo smaltimento». Nel Prb «si stabilisce l’obiettivo di dotare un numero adeguato di discariche per rifiuti non pericolosi in esercizio di un modulo dedicato allo smaltimento dei rifiuti contenenti amianto, ove le caratteristiche fisiche, morfologiche e tecniche lo rendano possibile. Oltre a questa disposizione il piano prevede la possibilità di realizzazione di nuovi impianti dedicati allo smaltimento di amianto. Si tratta di una opportunità di sviluppo di una maggiore tutela ambientale e può contribuire a ridurre la movimentazione dei rifiuti contenenti amianto, limitando i relativi impatti emissivi del trasporto, i costi connessi all’esportazione verso altri paesi europei, nonché i rischi di gestioni illecite. La realizzazione di impianti dedicati può costituire quindi un potenziale esempio di green economy con benefici ambientali, economici e occupazionali per il territorio».