Utilitalia: «Il Pnrr rappresenta una grande opportunità, ma serve un piano di riforme»

Acqua, il Mezzogiorno aspetta la transizione ecologica del settore idrico da un quarto di secolo

Investimenti fermi al palo e mancata depurazione disperdono l’oro blu soprattutto nelle aree del Paese più esposte a siccità e desertificazione

[22 Marzo 2021]

L’acqua è un elemento indispensabile alla vita ma anche all’economia del nostro Paese – da questo fattore dipende il 17,5% del Pil –, eppure ne abbiamo pochissimo riguardo: non solo l’Istat stima che prima di arrivare ai nostri rubinetti si perde in rete il 42% dell’acqua, ma una volta usata quest’acqua troppo spesso non viene depurata. Non a caso l’Ue sul tema ha aperto 4 procedure d’infrazione, che già ci costano 165mila euro al giorno in multe. È evidente che occorre cambiare marcia, e la transizione ecologica del settore idrico potrebbe rappresentare una formidabile occasione di sviluppo sostenibile soprattutto nel Mezzogiorno.

Michaela Castelli, presidente di Utilitalia – la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche, le cui associate forniscono l’acqua all’80% della popolazione italiana – non a caso spiega che «in quei territori, soprattutto al Sud, in cui la riforma del 1994 non è ancora stata portata a compimento, sono urgenti interventi che consentano di superare le gestioni in economia, di rilanciare gli investimenti e di promuovere la strutturazione di un servizio di stampo industriale».

La Legge 36/94 “Galli” ha profondamente innovato la normativa relativa al settore delle risorse idriche, ma dopo un quarto di secolo non si può ancora parlare di riforma portata a compimento. La misura del progresso sta negli investimenti nel settore idrico: come emerge dai dati della Fondazione Utilitatis, anche per effetto della spinta della regolazione Arera i gestori idrici hanno dato un impulso agli investimenti realizzati. Dopo anni di instabilità, dal 2012 gli investimenti hanno registrato una crescita costante, attestandosi nel 2017 ad un valore di 38,7€ l’anno per abitante (+23,7% rispetto al 2012); un dato che, alla luce delle programmazioni degli interventi degli operatori, dovrebbe superare i 44€ pro capite nelle annualità 2018 e 2019.

Nel settore idrico dunque gli investimenti delle utility, che 10 anni fa si attestavano sui 0,5 miliardi di euro annui, oggi ammontano a circa 3 miliardi annui, e adesso sono chiamati a raddoppiare. Il problema è che ci sono ancora divari troppo grandi tra le varie aree del Paese.

Da Utilitalia spiegano che rispetto al dato nazionale degli investimenti realizzati, la media per Sud e Isole è pari a 26 € per abitante, e i dati del Mezzogiorno risulterebbero ulteriormente inferiori se si considerassero anche gli investimenti realizzati dalle gestioni comunali, pari a circa 5 € annui. È qui che si concentra un’elevata presenza di gestioni in economia (ovvero Comuni che gestiscono almeno uno dei servizi tra acquedotto, fognatura e depurazione) rispetto alle restanti aree del Paese: nel Mezzogiorno le gestioni in economia rappresentano il 66% del totale nazionale.

In altre parole mentre l’acqua è da sempre un bene comune, il dibattito sulla risorsa idrica si è accapigliato in questi anni attorno a un’interpretazione distorta del referendum “sull’acqua pubblica” del 2011, mentre ad oggi i principali problemi legati alla dispersione idrica riguardano proprio gli enti locali.

«Come dimostrano le positive esperienze del centro-nord, ed in qualche caso anche del sud – argomenta Castelli – la gestione del servizio idrico integrato da parte di operatori industriali rappresenta la strada migliore per erogare servizi di qualità e per garantire la realizzazione dei piani di investimento approvati dalle autorità locali. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) rappresenta una grande opportunità, ma oltre alle risorse serve un piano dettagliato di riforme a partire proprio dal sud, dove attraverso un forte indirizzo statale si deve assicurare l’affidamento del servizio a soggetti industriali».

E per quanto riguarda nello specifico la depurazione? Anche qui il sud gioca un ruolo di primo piano, suo malgrado. Catania e Palermo, ma anche Reggio Calabria, Napoli e l’isola di Ischia sono alcuni esempi di realtà sanzionate dalla Ue su cui sta lavorando la Struttura commissariale nazionale. «La depurazione – dichiara nel merito il Commissario straordinario unico per la depurazione, Maurizio Giugni – sarà certamente uno dei temi del Recovery plan, quindi il cospicuo investimento statale per la messa in regola degli agglomerati, fin qui dell’ordine di oltre due miliardi, sarà destinato a crescere, anche per far fronte alle procedure d’infrazione per ora in fase istruttoria. La sfida è allora guardare a questa spinta verso la messa in regola degli agglomerati anche per innovare il sistema nel senso dell’economia circolare, guardando alle buone esperienze pubbliche e private».

«Tra gli investimenti programmati dai gestori – conclude il direttore generale di Utilitalia, Giordano Colarullo – il 20% è destinato al miglioramento della qualità dell’acqua depurata e il 15% all’adeguamento del sistema fognario. Negli ultimi anni, laddove operano gestori industriali si sono registrati importanti passi in avanti sul fronte della depurazione: ora è fondamentale promuovere una gestione industriale del servizio in quei territori, soprattutto del Sud, ancora gestiti da una miriade di soggetti in economia. Un unico governo del ciclo idrico, dalla captazione alla depurazione, è fondamentale per innalzare gli standard dei servizi offerti ai cittadini e per superare le infrazioni comunitarie».