Non si può impedire l’accesso alla spiaggia e al demanio pubblico. Nuova sentenza della Corte di Cassazione

Il caso della alla riserva naturale statale “Stornara” e della Torre Mattoni in Puglia

[15 Giugno 2020]

Con una sentenza del 7 maggio 2020, la Corte di Cassazione ha ribadito che «le condotte impeditive dell’uso pubblico del demanio marittimo, sanzionate dall’art. 55 1161 del codice della navigazione, possono incidere anche sulle servitù di pubblico passaggio, costituite attraverso l’utilizzazione da parte della collettività degli accessi all’area demaniale marittima protrattasi per il tempo necessario all’usucapione».

Già il 7 giugno 2019, il Tribunale di Taranto aveva rigettato l’appello proposto da P. C. contro l’ordinanza del GIP del 6 maggio 2019 che aveva respinto la richiesta di revoca del sequestro preventivo – disposta dallo stesso giudice il 21 settembre 2018 – del cancello di ingresso e della relativa area di sedime della carrareccia che attraversa un compendio immobiliare di proprietà di P. C. e che raggiunge Torre Mattoni, violando l’articolo reato di cui del codice della navigazione, il ricorrente aveva realizzando lungo il perimetro dell’area di sua proprietà una recinzione in paletti in legno e rete metallica, a occupando abusivamente un’area del demanio marittimo di 14.000 m2 circa e impedendo l’uso pubblico del demanio perché la recinzione precludeva in maniera assoluta l’accesso alla riserva naturale statale “Stornara” –  un bosco del litorale ionico costituito da una fustaia di pino d’Aleppo di origine naturale; sottobosco tipico della macchia mediterranea – ed alla “Torre Mattoni” che costituisce parte integrante della riserva e impedendo l’accesso al pubblico e ai Carabinieri forestali, corpo preposto alla tutela ed alla gestione dell’area, trattandosi tra l’altro di un fondo intercluso all’interno di proprietà e, pertanto, non raggiungibile altrimenti.

Secondo il ricorrente «il Tribunale, nell’integrare la carente motivazione del provvedimento di rigetto del GIP, si sarebbe spinto oltre i limiti del devoluto, giungendo a rilevare l’esistenza di una servitù pubblica mai considerata in precedenza» e una precedente sentenza del TAR. Inoltre, secondo il ricorso, il Tribunale affermava l’esistenza di una servitù pubblica di passaggio senza che ci fosse «non soltanto qualsivoglia atto costitutivo di ricognizione documentale dimostrativo di tale esistenza, ma anche per l’assenza di tutti i requisiti di fatto e di diritto richiesti per l’accertamento giudiziale di tale servitù» e supponendo un utilizzo della costa solo sulla base dello stato dei luoghi. Inoltre la recinzione sarebbe stata installata si sul demanio pubblico, ma per motivi diversi da quelli presi in considerazione dalla sentenza del Tribunale, lo stesso vale per la chiusura dell’accesso.

Motivazioni che non hanno convinto per nulla la Corte di Cassazione, che ha confermato la correttezza del procedimento adottato dal  d’urgenza del Pubblico Ministero ed in quelli del GIP sia, soprattutto, l’apposizione del Tribunale di Taranto e ricorda «come questa Corte abbia già avuto modo di affermare che le condotte impeditive dell’uso pubblico del demanio marittimo, sanzionate dall’art. 1161 cod. nav., possono incidere anche sulle servitù di pubblico passaggio, costituite attraverso l’utilizzazione da parte della collettività degli accessi all’area demaniale marittima protrattasi per il tempo necessario all’usucapione (Sez. 3, n. 26587 del 14/5/2009, Ignoti e altri, Rv. 244374) e che le argomentazioni sviluppate dal Tribunale paiono tener conto anche dei principi affermati dalla giurisprudenza civile e richiamati dal ricorrente, secondo cui, affinché si costituisca per usucapione una servitù pubblica di passaggio su una strada privata, è necessario che concorrano contemporaneamente le seguenti condizioni: 1) l’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati “uti cives” in quanto portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un’utilizzazione “uti singuli”, cioè finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata; 2) l’oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l’esercizio della servitù; 3) il protrarsi dell’uso per il tempo necessario all’usucapione (Sez. 2, n. 28632 del 29/11/2017, Rv. 646531).

Nel caso oggetto della sentenza, «il Tribunale ha richiamato alcune circostanze ritenute significative, quali l’esistenza del percorso fino al mare da tempo risalente, superiore comunque a quello previsto dalla legge per l’usucapione, ritenuta indicativa di un uso continuato da parte della collettività, in assenza del quale il tracciato sarebbe stato inglobato dalla vegetazione circostante; la particolare vocazione della zona alla balneazione ed al turismo essendo caratterizzata da un litorale sabbioso, peraltro parte integrante di una riserva naturale; l’esistenza stessa della riserva e l’inserimento dei luoghi in area SIC, così da determinare l’utilizzazione della via di accesso da parte del personale del Corpo Forestale ed ora dei Carabinieri per l’espletamento delle attività di sorveglianza e vigilanza dell’area, nonché per la manutenzione e cura del bosco e l’assenza di altre vie di accesso limitrofe alla porzione di demanio marittimo confinante con la proprietà del ricorrente e al mare, essendo quella più vicina distante circa 2 chilometri. Nel far ciò, peraltro, il Tribunale ha anche preso compiutamente in considerazione le argomentazioni sviluppate dalla difesa, indicando le ragioni per le quali le stesse debbono ritenersi non condivisibili. A fronte di ciò, il ricorso formula censure sugli argomenti sviluppati dal Tribunale che si risolvono, però, nella non ammissibile deduzione del vizio di motivazione».

Dopo aver richiamato sentenze precedenti sulla stessa materia,  la Corte di Cassazione ha sentenziato che «il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile» e ha condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.