Le imprese devono essere ritenute responsabili per le violazioni dei diritti umani e ambientali lungo tutta la loro catena di valore

Parlamento europeo: divieto di importazione di prodotti legati a gravi violazioni dei diritti umani come il lavoro forzato o minorile

[11 Marzo 2021]

Con 504 voti favorevoli, 79 contrari e 112 astensioni, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione di iniziativa legislativa  che apre la strada a una nuova legge Ue che renderebbe le imprese responsabili e tenute a rispondere degli effetti negativi delle loro decisioni sui diritti umani, sull’ambiente e sulla buona governance che causano o cui contribuiscono nella loro catena del valore. Gli eurodeputati chiedono anche che « Le vittime di tali azioni abbiano accesso a mezzi di ricorso».

La Commissione europea ha annunciato che presenterà la sua proposta legislativa in materia entro la fine dell’anno.

Presentando la risoluzione, la relatrice. La laburista olandese Lara Wolters. Ha detto: «Desidero condividere con voi alcuni titoli recenti: “Il lavoro forzato uigura diffuso nella regione cinese che fornisce un quinto del cotone mondiale”; “Danni massicci alla barriera corallina di Curaçao: colpa della società di costruzioni”; “Il rapporto rivela: più di 6 500 lavoratori migranti sono morti durante i preparativi per la Coppa del Mondo del Qatar”. Le storie dietro questi titoli sono apparentemente estranee, ma condividono una cosa: in tutti questi casi, le aziende europee sono state coinvolte e hanno contribuito a creare danni attraverso le loro attività. Voglio che questa settimana facciamo un primo passo per correggere questi torti. Voglio che assicuriamo un migliore accesso alla giustizia per le vittime nei Paesi terzi. E voglio anche assicurarmi che la legislazione europea possa essere applicata anche se il danno è stato fatto in Cina, Qatar o Curaçao, se emerge che una società madre europea non è riuscita ad agire in modo responsabile. Al momento è troppo difficile e, se ci pensate, non è del tutto intuitivo. Se un normale cittadino rompe la finestra di qualcuno, anche accidentalmente, è sicuro che non ha cortine fumogene dietro cui nascondersi. Ma nel diritto internazionale ce ne sono molte. Sebbene una grande azienda abbia le risorse e le menti legali più brillanti a sua disposizione, le persone colpite spesso non hanno i soldi e i mezzi per cercare un rimedio. Viviamo in un mondo in cui le imprese che lo vogliono  possono ancora trasferire i loro impatti sociali e ambientali negativi sulle persone e sui luoghi più vulnerabili del pianeta. E non posso fare a meno di notare che questi impatti non sono neutri rispetto al genere: le donne affrontano una maggiore probabilità di povertà, abuso sessuale e violenza all’interno delle catene di approvvigionamento di cui stiamo parlando. Uno dei problemi è che in un’economia globale fare la cosa giusta non dà a un’azienda un vantaggio competitivo. E mi rifiuto di credere che sia qualcosa che dobbiamo semplicemente accettare: che la deforestazione o il lavoro forzato sono parte integrante delle catene di approvvigionamento globali. Ciò con cui abbiamo a che fare qui è la mancanza di regole comunemente applicate per una condotta aziendale responsabile e l’assenza di un quadro per la responsabilità della catena di approvvigionamento».

Dopo aver ricordato  i tentativi di Onu e Ocse di porre un freno al businesses che ha superato i limiti, la Wolters ha evidenziato: «Ma ora il tempo per gli standard volontari è finito. Secondo un recente sondaggio della Commissione, solo un terzo degli intervistati ha affermato che è stata eseguita una qualche forma di due diligence. Lo stesso studio ha mostrato che la maggioranza delle imprese riconosce il valore delle nuove norme dell’Ue. Non dimentichiamo infatti le migliaia di aziende che stanno già facendo la cosa giusta ma che non si sentono supportate dalle regole attuali. Quelle imprese comprendono che gli standard obbligatori sono l’unica via per la parità di condizioni e per la certezza del business. Capiscono anche che i consumatori moderni hanno standard elevati e che fare affari nel XXI secolo significa fare affari in modo responsabile. Tutto questo è il motivo per cui, negli ultimi mesi, abbiamo lavorato a una legge ambiziosa che si applicherebbe a chiunque desideri vendere i propri beni o servizi sul mercato interno, comprese le compagnie non comunitarie. Tale legge richiede alle aziende i migliori sforzi per identificare e affrontare gli impatti negativi sui diritti umani, sull’ambiente e sulla governance, e questo nell’intera catena del valore, all’interno e all’esterno dell’Unione. L’accordo raggiunto garantisce il coinvolgimento delle ONG e delle comunità locali e sottolinea il ruolo dei sindacati».

L’Europarlamento spiega che «Le norme vincolanti Ue sulla due diligence  obbligherebbero le imprese a individuare, valutare e prevenire gli effetti negativi potenziali o effettivi che possono comportare le loro attività, e quelle delle loro catene del valore (tutte le operazioni, le relazioni commerciali dirette o indirette e le catene di investimento), e che potrebbero violare i diritti umani (compresi i diritti sociali, sindacali e del lavoro), danneggiare l’ambiente (contribuendo al cambiamento climatico o alla deforestazione, per esempio) e la buona governance (come la corruzione e le tangenti)».

Gli eurodeputati sottolineano che «Gli obblighi di due diligence  sono principalmente uno strumento preventivo, che richiede alle aziende di adottare misure proporzionate e commisurate in base alla probabilità e alla gravità dei loro impatti negativi potenziali o effettivi e alla loro situazione specifica, in particolare al loro settore di attività, alle dimensioni e alla lunghezza della loro catena del valore, alle dimensioni dell’impresa, nonché alla sua capacità, alle sue risorse e alla sua affluenza».

La mozione e punta dichiaratamente a «Portare il cambiamento oltre i confini Ue. Le imprese che vogliono accedere al mercato unico europeo, comprese quelle con sede al di fuori dell’Ue, dovrebbero dimostrare il rispetto degli obblighi di due diligence in materia di ambiente e diritti umani». Una forma, dunque, di sovranità etica ed ecologica europea che non è però piaciuta a sovranisti ed estrema destra che hanno votato contro o si sono astenuti nonostante la maggioranza dell’Europarlamento  abbia chiesto misure aggiuntive, tra le quali «Il divieto di importare prodotti legati a gravi violazioni dei diritti umani come il lavoro forzato o minorile» e che «Gli accordi internazionali dell’Ue dovrebbero includere questi obiettivi nei loro capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile».

E i sovranisti che gridano all’invasione cinese e alla cessione di sovranità europea non si sono fatti convincere nemmeno dalla richiesta  degli eurodeputati alla Commissione di «Effettuare un esame approfondito delle imprese con sede nello Xinjiang che esportano prodotti nell’Unione al fine di individuare potenziali violazioni dei diritti umani, in particolare legate alla repressione degli uiguri».

Questa barriera protettiva contro i prodotti che grondano sangue e sofferenza  dovrebbe anche garantire un effettivo risarcimento per le vittime,: «Le imprese dovrebbero essere ritenute responsabili delle loro azioni secondo le leggi nazionali ed essere sanzionate per i danni che le imprese sotto il loro controllo hanno causato o contribuito a causare, a meno che non possano dimostrare di aver adottato tutte le misure ragionevoli per prevenire tali danni. Inoltre, i diritti delle vittime o delle parti interessate nei paesi terzi – che sono particolarmente vulnerabili – sarebbero protetti in maniera più efficace da un accesso effettivo ai mezzi di ricorso, in quanto sarebbero in grado di portare le aziende in tribunale secondo il diritto dell’U».

E ce n’è anche per le finora intoccabili multinazionali: «Per creare condizioni di parità – evidenziano i parlamentari europei – il futuro quadro legislativo sugli obblighi di due diligence dovrebbe avere una portata ampia e includere tutte le grandi imprese soggette al diritto di uno Stato membro o stabilite nel territorio dell’Unione, comprese quelle che forniscono prodotti e servizi finanziari. Le regole dovrebbero applicarsi anche alle piccole e medie imprese quotate in borsa e a quelle ad alto rischio, che dovrebbero ricevere assistenza tecnica per conformarsi ai requisiti».

La Wolters ha concluso: «Questa nuova legge sugli obblighi di dovuta diligenza aziendale stabilirà lo standard per una condotta commerciale responsabile in Europa e non solo. Ci rifiutiamo di accettare che la deforestazione o il lavoro forzato facciano parte delle catene di fornitura globali. Le imprese dovranno prevenire e affrontare i danni causati alle persone e al pianeta nelle loro catene di approvvigionamento. Le nuove regole forniranno alle vittime il diritto legale per richiedere supporto e risarcimenti, e garantiranno equità, parità di condizioni e chiarezza legale per tutte le imprese, i lavoratori e i consumatori».