La Cassazione ha davvero reso illegale la cannabis light? Federcanapa: «Non si generi un clima da caccia alle streghe»

Per la Federazione italiana canapa «la soglia di efficacia drogante del principio attivo Thc è stata fissata nello 0,5%, pertanto non può considerarsi reato vendere prodotti con livelli sotto quei limiti». Ma l'incertezza del diritto genera mostri

[31 Maggio 2019]

La sentenza pronunciata ieri dalle sezioni unite penali della Corte di Cassazione ha gettato nel panico il comparto della cannabis light, che dal 2016 a oggi ha visto maturare in Italia 1.500 imprese per un giro d’affari di 150 milioni di euro e 2.500 ettari coltivati – in continua crescita – coltivati a canapa. Nel verdetto si legge infatti che «la commercializzazione di cannabis sativa legale e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53 Ce del Consiglio, del 13 giugno 2002, e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati». Quindi rientrano nell’ambito di punibilità stabilito dal testo unico sulle droghe «le condotte di cessione, di vendita e in genere la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa legale, salvo che tali prodotti siano privi di efficacia drogante».

Che cosa significa, concretamente parlando? Secondo la Federazione italiana canapa (Federcanapa) «malgrado le dichiarazioni di moltissime testate giornalistiche, la soluzione delle sezioni unite penali della Corte di Cassazione non determina a nostro parere la chiusura generalizzata dei negozi che offrono prodotti a base di canapa. Il testo della soluzione dice infatti chiaramente che la cessione, vendita e in genere la commercializzazione al pubblico di questi prodotti è reato “salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”. Per tanto la Cassazione ha ritenuto che condotte di cessione di derivati di canapa industriale privi di efficacia drogante NON rientra nel reato di cui all’art. 73 del T.U. Stupefacenti. E sul punto, da anni, la soglia di efficacia drogante del principio attivo Thc è stata fissata nello 0,5% come da consolidata letteratura scientifica e dalla tossicologia forense. Pertanto non può considerarsi reato vendere prodotti derivati delle coltivazioni di canapa industriale con livelli di Thc sotto quei limiti».

Sta di fatto che ad oggi l’intero comparto si trova travolto da una crescente incertezza, dove «ogni ulteriore considerazione dovrà essere rimandata alla pubblicazione delle motivazioni della sentenza da cui potrà essere desunto l’impianto logico-giuridico seguito dalla Corte e che potrà fornire ulteriori spunti di riflessione». Nel frattempo, da Federcanapa si augurano che «le forze dell’ordine si attengano a questa netta distinzione tra canapa industriale e droga nella loro azione di controllo e che non si generi un clima da “caccia alle streghe” con irreparabili pregiudizi, patrimoniali e non, per le numerose aziende del settore».

Quel che è certo è che l’incertezza del diritto genera mostri, e questo vale anche per il comparto della cannabis dove le indicazioni fornite dal legislatore nel 2016 non sono chiare, e oggi a pagarne le conseguenze è uno dei più promettenti settori dell’agricoltura italiana; mentre in larga parte del mondo sta guadagnando terreno l’orientamento a una legalizzazione anche a fini ludici della cannabis con elevati livelli di Thc, l’Italia fa un doppio passo indietro penalizzando anche la vendita di quella light. A ringraziare non può che essere la rete dell’illegalità: come spiegano i ricercatori che negli scorsi mesi hanno pubblicato lo studio ‘Light cannabis and organized crime: Evidence from (unintended) liberalization in Italy «la legalizzazione della cannabis light ha portato a una riduzione del 14% dei sequestri di marijuana illegale per punto vendita e a una riduzione dell’8% della disponibilità di hashish. I calcoli su tutte e 106 le province italiane prese in esame suggeriscono che i ricavi perduti dalle organizzazioni criminali siano in una forchetta stimata tra i 90 e 170 milioni di euro all’anno. Si stima inoltre che la vendita di cannabis light abbia portato a un calo di circa il 3% degli arresti per reati di spaccio».