Inquinamento del suolo, diverse le responsabilità in caso di prevenzione o bonifica

[20 Settembre 2016]

Se il proprietario non responsabile dell’inquinamento può adottare le misure di prevenzione, il proprietario responsabile deve provvedere alla riparazione, alla messa in sicurezza, alla bonifica e al ripristino. Lo afferma il Tribunale amministrativo del Piemonte (Tar) – con sentenza di questo mese, la numero 1142 – in riferimento alla questione di un area con terreno contaminato da idrocarburi e cromo e con acque sotterranee contaminate da cromo esavalente e da alcuni composti clorurati.

La società proprietaria di uno stabilimento sull’area contaminata nel comune di Alpignano ha dato avvio a un procedimento di bonifica precisando di agire in qualità di mera parte interessata, non di responsabile dell’inquinamento. Ma, la Provincia di Torino ha disposto in via d’urgenza l’obbligo per la stessa di adottare gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza al fine di contenere l’inquinamento riscontrato nell’area di sua proprietà e nella falda esterna.

La società contesta tale ordine perché a suo avviso non può essere ritenuta soggetto responsabile dell’inquinamento della falda. Inoltre lamenta il difetto di istruttoria sull’accertamento del nesso di causalità, che emerge da una serie di contraddizioni dei dati. In particolare fa riferimento al fatto che le concentrazioni di inquinanti sono maggiori all’esterno del sito rispetto a quelle rilevate all’interno e la giustificazione dell’Arpa sul punto, cioè che questo può essere determinato dalla particolare circolazione sotterranea connessa ad irregolarità morfologiche, non sarebbe condivisibile, in quanto viene smentita dai dati rilevati agli stessi piezometri.

Secondo la disciplina contenuta nel Dld 152/2006 il proprietario non responsabile dell’inquinamento è tenuto soltanto ad adottare “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”. Il proprietari responsabile, invece, al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, deve mettere in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione. Del resto gli interventi di riparazione, di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l’inquinamento.

In altre parole, le attività di prevenzione vengono distinte da quelle di riparazione, messa in sicurezza e bonifica. Esiste però un recente orientamento (due pronunce del Consiglio di Stato) secondo cui la messa in sicurezza del sito costituisce una misura di correzione dei danni e rientra pertanto nel genus delle precauzioni, quindi tra le attività che possono anche essere poste in capo al proprietario non responsabile. Secondo tale orientamento “se è vero, per un verso, che l’Amministrazione non può imporre, ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento, secondo il principio cui si ispira anche la normativa comunitaria, la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione, per altro verso la messa in sicurezza del sito costituisce una misura di correzione dei danni e rientra pertanto nel genus delle precauzioni, unitamente al principio di precauzione vero e proprio e al principio dell’azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppone affatto l’individuazione dell’eventuale responsabile”.

Per quanto riguarda l’accertamento del nesso causale, tra operatore e inquinamento, nel rispetto del principio “chi inquina paga”, il criterio oggi maggiormente applicato è quello del “più probabile che non”. Secondo tale criterio per affermare il legame causale “non è necessario raggiungere un livello di probabilità (logica) prossimo ad uno (cioè la certezza), bensì è sufficiente dimostrare un grado di probabilità maggiore della metà (cioè del 50%) escludendo invece la possibilità di applicare il criterio penalistico che richiede una certezza al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Posizione che è stata ribadita dalla Corte di Giustizia del 2015. Essa ha affermato che l’obbligo di riparazione incombe sugli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento. Ha posto in capo al privato l’onere di dimostrare non solo la sua estraneità all’inquinamento, ma anche di indicare chi sia l’effettivo responsabile, laddove afferma che “l’operatore non è tenuto a sostenere i costi delle azioni di riparazione adottate in applicazione di tale direttiva quando è in grado di dimostrare che i danni in questione sono opera di un terzo” .