Riceviamo e pubblichiamo

Ecoreati, dopo la legge spazio l’interpretazione: alcuni scenari

[1 Giugno 2015]

Il provvedimento sui delitti contro l’ambiente ormai è legge vigente. Infatti la legge 22 maggio 2015, n. 68 (recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente” ) è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 122 del 28 maggio 2015 e le sue disposizioni sono entrate in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione.

Nel nostro Codice Penale fanno pertanto la comparsa nuovi delitti che individuano e sanzionano specifici comportamenti lesivi in danno dell’ambiente: “Inquinamento ambientale”; “Morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale”; “Disastro ambientale”; “Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività”; “Impedimento del controllo”; “Omessa bonifica”,  tutti ricompresi sotto il Titolo VI-bis  denominato appunto “Delitti contro l’ambiente”.

Come è stato da molti ricordato, ci sono voluti quasi vent’anni per arrivare ad inserire nel codice penale un pacchetto di appositi delitti contro l’ambiente. Il testo di legge ora entrato in vigore tuttavia ha suscitato le critiche di una parte della dottrina.

Uno dei punti più controversi della nuova normativa risiederebbe nell’avverbio abusivamente contenuto nella formulazione del “disastro ambientale”.

In relazione all’interpretazione di tale avverbio si è aperto un vivace dibattito. C’è chi ha criticato la nuova disposizione prospettando che l’avverbio “abusivamente” possa essere interpretato riconducendolo alla sola presenza o meno di un’autorizzazione amministrativa, per cui una condotta in danno dell’ambiente sarebbe punibile solamente in assenza totale di autorizzazione amministrativa.

Altri, invece, sostengono che l’avverbio “abusivamente” debba essere inteso con una portata interpretativa più ampia; per cui una condotta in danno dell’ambiente sarebbe punibile non soltanto in assenza totale di autorizzazione, ma anche quando l’autorizzazione amministrativa è illegittima o quando la condotta comunque è stata tenuta in violazione di disposizioni normative o di precetti o prescrizioni; e secondo tale orientamento l’abuso si verifica anche quando la condotta viola i principi generali a tutela del bene protetto.

Va detto che questo è uno dei punti della legge che, oltre ad essere tra i più controversi, per la verità è realmente fondamentale: “… chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con…”. Si tratta di un aspetto assolutamente rilevante che, secondo le diverse chiavi di lettura interpretative, può portare ad applicazioni del tutto eterogenee ed opposte del nuovo delitto di disastro ambientale in ambedue le sue previste ipotesi (dolosa e colposa).

Le conseguenze delle diverse letture hanno riflessi pratici ed operativi anche sulle prime attività di indagine ed accertamento di polizia giudiziaria, oltre che logicamente nelle successive fasi procedurali processuali.

Da parte nostra vogliamo offrire un modesto contributo al dibattito in atto, prospettando quelli che – a nostro modesto avviso ed allo stato attuale delle cose – potrebbero essere i possibili scenari che si presentano secondo i diversi approcci interpretativi riguardo il termine in questione nel contesto della disciplina del reato in esame.  Logicamente, la nostra è soltanto un’ipotesi di impostazione iniziale e teorica, senza avere la pretesa di esaurire con ciò il complesso panorama applicativo in merito.

A nostro avviso gli scenari che si possono profilare sono i seguenti, divisi in due grandi macroaree tra loro totalmente dissimili.

  1. A) Primo scenario interpretativo

Il termine “abusivamente” va inteso come violazione  ai principi generali vigenti in materia di tutela dell’ambiente e della salute pubblica come beni primari protetti.

In tale ipotesi interpretativa ed applicativa, dunque, si va a prescindere da ogni collegamento  e connessione propedeutica con qualsiasi atto autorizzatorio amministrativo. In caso di adesione a tale interpretazione, va sottolineato che i principi generali di salvaguardia dell’ambiente e della salute sono dettami di ordine costituzionale, ed anche di derivazione specifica dalle direttive europee di settore. Quindi, tali principi sarebbero assorbenti rispetto ad ogni altra componente presupposta del fatto illecito e, dunque, anche rispetto alla natura e contenuto (legittimità o eventuale illegittimità) di atti autorizzatori amministrativi connessi alle attività che hanno originato il disastro ambientale. I contenuti di tali atti in questa ipotesi non solo non dovrebbero essere  considerati rispetto alla liceità del comportamento posto in essere, ma addirittura potrebbero potenzialmente risultare, secondo i casi, eventuale concausa del disastro, cioè parte integrante come segmento presupposto del delitto in questione essendo, in ipotesi caso per caso, fonte genetica formale ed originaria del disastro medesimo.

  1. B) Secondo scenario interpretativo

Il termine “abusivamente” deve essere inteso come direttamente collegato ad un atto amministrativo autorizzatorio rispetto all’attività specifica che ha causato il disastro ambientale. In questa seconda ipotesi di lettura interpretativa si possono profilare diversi possibili sottoscenari.

B1) Prima ipotesi: assenza totale di ogni autorizzazione.

In questo caso le attività che hanno originato il disastro ambientale sono state attivate in modo assolutamente illegale e senza nessun atto autorizzatorio rilasciato a monte da pubbliche amministrazioni. Si tratta del caso più semplice, di fatto connesso agli interventi criminali brutali sull’ambiente tipici di alcune forme di illegalità, anche organizzata, che operano sul territorio. Questa ipiotesi non dovrebbe dare luogo a problemi di interpretazione ed applicazione pratica ed operativa con riferimento all’avverbio “abusivamente” contenuto della disposizione sul disastro ambientale. Infatti il tutto è palesemente ed oggettivamente illegale.

B2) Seconda ipotesi: attività poste in essere in violazione delle autorizzazioni ottenute.

In questo caso il disastro ambientale è avvenuto a causa di un’attività posta in essere violando le prescrizioni contenute nei regimi autorizzatori amministrativi rilasciati ed ottenuti. In questa ipotesi vi è, dunque, una violazione dell’atto abilitativo che in se stesso è legittimo, ma al quale l’attività posta in essere poi non si è conformata. Anche in tale secondo scenario non dovrebbero sorgere problemi interpretativi ed applicativi per l’accertamento del delitto di disastro per ciò che concerne il presupposto dell’abusivamente.

B3) Terza ipotesi: autorizzazione amministrativa illegittima.

In questo caso si profila uno scenario più complesso. Infatti, dobbiamo adesso ipotizzare che esiste un’autorizzazione amministrativa rilasciata da una pubblica amministrazione, ma l’attività concreta che deriva da tale autorizzazione ha poi causato – di fatto ed in modo oggettivo – il disastro ambientale per cui si intende procedere. In questo caso – per integrare il presupposto dell’abusività richiesto al delitto di “disastro ambientale” – si deve andare a valutare la legittimità o meno dell’autorizzazione amministrativa rilasciata a favore del soggetto che poi è il presunto responsabile del disastro in questione. Apparirà, dunque, necessario attivare una procedura parallela, e certamente a questo punto propedeutica, per verificare se tale atto abilitativo amministrativo è legittimo o no; cioè se l’atto autorizzatorio è stato rilasciato in violazione di legge. Nel caso in cui l’autorizzazione amministrativa risulti palesemente illegittima, fin dai primi atti di indagine della polizia giudiziaria – transitando poi per il pubblico ministero ed infine per il giudice penale – deve essere attivata la procedura per la disciplina della disapplicazione penale degli atti amministrativi illegittimi (quella disciplina che noi da sempre su queste pagine in ogni sede seminariale e editoriale abbiamo identificato come “illeciti ambientali in bianco[1]).  In questa ipotesi – logicamente – le  sorti del delitto di disastro ambientale in ambedue formulazioni (dolosa e colposa) è legato all’accertamento presupposto della illegittimità dell’atto autorizzatorio amministrativo il quale, se indirettamente riconosciuto come tale dalla magistratura penale e – dunque – disapplicato di conseguenza, verrà inevitabilmente considerato segmento presupposto per la commissione del reato in questione.   Con uno scenario di corresponsabilità conseguenti ad ampio spettro trasversale.

B4) Quarta ipotesi: autorizzazione amministrativa legittima

Residua, per scarto, una ulteriore ipotesi finale. Ci chiediamo, infatti, quale possa essere  la costruzione giuridica nel caso in cui la polizia giudiziaria accerti con dati fattuali e tecnico/scientifici quello che sul territorio viene oggettivamente identificato come un disastro ambientale in senso stretto, mentre poi l’attività che ha originato tale disastro risulta perfettamente conforme ai regimi amministrativi autorizzatori ottenuti dall’autore del fatto.

Cosa succederebbe in questa ipotesi? Di fatto avremmo uno scenario nel quale esiste una autorizzazione amministrativa (confermata come pienamente legittima perché rilasciata nel rispetto delle leggi vigenti) ma dalle quali attività autorizzate è derivato poi – oggettivamente – un disastro ambientale. Come si possono conciliare queste due realtà che convivono? Dovremmo dunque dedurre la possibilità che esista quello che sul territorio fattivamente ed oggettivamente è un disastro ambientale ma “non abusivo” perché realizzato in conformità ai regimi amministrativi ottenuti? Quindi quello che alcuni hanno già prospettato come un “disastro ambientale non abusivo”?

Si dirà che questa ipotesi è di fatto impossibile.

La storia degli interventi negativi sul nostro territorio ci insegna negli ultimi trent’anni che tutto è purtroppo invece possibile perché non si può escludere un intreccio di combinato disposto di leggi in deroga, regolamenti in deroga, ed atti amministrativi conseguenti che poi alla fine producono risultati inattesi. Non va dimenticato che il nostro Paese è ricco di infrazioni comunitarie ed in passato tentativi di attivare combinati disposti in deroga su alcuni temi anche di ampia rilevanza sono stati diversi. Quindi, va considerato tutto, soprattutto alla luce del passato che non si può far finta di ignorare.

Una riflessione finale.

Si può certamente considerare “abusivo” un qualcosa che può esistere in forma positiva e cioè in forma legale e dunque legittima.

In ipotesi astratta: la gestione dei rifiuti può esistere in forma legittima ed autorizzata (e dunque “non abusiva”) ed in forma illegittima e non autorizzata (e dunque “abusiva”). Dunque in questa ipotesi operare “abusivamente” un’attività di gestione di rifiuti può essere un concetto pertinente e comprensibile (perché l’attività in questione può essere esercitata in modo legale o in modo illegale).  Il “disastro ambientale” invece non ha una sua ipotesi legale… il disastro è disastro e basta. Per questo paragoni con altri settori ambientali ove può esistere l’avverbio “abusivamente” non ci appaiono pertinenti.

Per capire meglio… Un esercizio commerciale – tipo negozio di abbigliamento – può essere aperto e gestito in forma legittima ed autorizzata (e dunque “non abusiva”) oppure in forma illegittima e non autorizzata (e dunque “abusiva”). Il negozio di abbigliamento è pertanto una realtà che potenzialmente può esistere in forma legittima ma anche illegittima.  Al contrario, un esercizio commerciale di spaccio e consumo di droghe in loco, no. Questo tipo di esercizio è in se stesso illegale, e dunque non può esistere in forma legittima, sarà sempre abusivo… Premesso ciò, per disciplinare il reato connesso all’apertura di un esercizio di spaccio e consumo di droghe in loco sarebbe logico in una norma stabilire una previsione del tipo “Chiunque apre abusivamente un esercizio di spaccio e consumo di droghe in loco è punito con…”? A nostro avviso, certamente no… La norma dovrebbe recitare: “Chiunque apre un esercizio di spaccio e consumo di droghe in loco è punito con…”. E basta. Altrimenti può sorgere il dubbio che tale esercizio possa esistere in forma positiva. D’altra parte l’omologo art. 434 del Codice penale che prevede storicamente una pena per chi commette un fatto diretto a cagionare “disastro”, prevede – appunto – solo il “disastro” senza far precedere tale dizione dal termine “abusivamente”. Perché – dunque – per cagionare un disastro ambientale è necessario integrare il concetto con “abusivamente”, al contrario di tutti gli altri disastri possibili dove tale avverbio non è stato ritenuto necessario?

Ma questa storia delle attività contro l’ambiente al confine con termini non chiari non è affatto nuova. Vogliamo infatti richiamare il testo dell’art. 733/bis del Codice Penale (inserito dal D.Lgs. n. 121 del 7 luglio 2011) che presenta una formulazione quanto meno singolare laddove prevede che “chiunque, fuori dei casi consentiti, distrugge un habitat all’interno di un sito protetto o comunque lo deteriora  compromettendone lo stato di conservazione, è punito con…”. A suo tempo ci siamo permessi di avanzare qualche critica su tale formulazione, e ci siamo allora chiesti come doveva essere letta tale previsione… Partendo dal presupposto che il teatro di applicazione del reato sono aree di particolare pregio sotto il profilo ambientale, ci siamo chiesti quali potevano essere i “casi consentiti” sulla base dei quali qualcuno poteva legittimamente distruggere o deteriorare seriamente tali habitat. Ed in particolare, ci siamo chiesti quale pubblica amministrazione aveva la competenza per redigere un atto amministrativo che potesse rendere legittime (“caso consentito”) tali attività, ed in che forma.

Nessuno ci ha mai risposto. E tutto è finito lì. Questo reato, dopo essere stato al tempo salutato con grandi ovazioni generali di plauso, di fatto è rimasto un puro esercizio teorico/cartaceo del quale si è persa memoria (le applicazioni concrete – se ci sono state – sono realmente una entità irrilevante nel panorama del diritto ambientale fino ad oggi).

Tornando al tema del nuovo reato di disastro ambientale, noi non abbiamo certamente la presunzione di poter indicare quali dei possibili scenari sopra tracciati sia l’ipotesi interpretativa più concretamente attuabile. Ma per evitare che anche questo nuovo reato risenta di fasi di stallo applicativo per dubbi ed incertezze, chiediamo agli autori ed estensori della presente nuova normativa di poterci indicare quale – a loro giudizio – è l’ipotesi più verosimile tra quelle che abbiamo sopra indicato, nonché se esistono altre ipotesi aggiuntive che noi non abbiamo ancora identificato e che pure possono esistere. Pubblicheremo volentieri ogni articolo o contributo che ci verrà inviato, anche e soprattutto al fine di offrire un chiarimento pratico ed operativo a tutti coloro che in questo momento sul territorio attendono  indicazioni per svolgere – ognuno nel proprio ruolo – le singole attività, soprattutto nel settore della vigilanza e dei controlli che risente sempre in modo negativo di dibattiti senza – alla fine – una sintesi conclusiva ed operativa convincente.

di Maurizio Santoloci e Valentina Vattani, Diritto all’ambiente

[1] La dicitura “Illeciti ambientali in bianco” è un marchio registrato da “Diritto all’ambiente” con il n. 0001357016 presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi  del Ministero per lo Sviluppo Economico” e protetto dalla legge sulla protezione dei marchi e del copyright anche in sede penale.

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