Un comune additivo alimentare altera il microbiota umano e l’ambiente intestinale

La carbossimetilcellulosa usata negli emulsionanti non “passa e basta” ma ha effetti sugli esseri umani

[17 Dicembre 2021]

Il recente studio clinico “Randomized controlled-feeding study of dietary emulsifier carboxymethylcellulose reveals detrimental impacts on the gut microbiota and metabolome”, pubblicato su Gastroenterology  da un team internazionale di ricercatori guidato dall’Institut Cochin (Inserm/CNRS/Université de Paris), dimostra che «La carbossimetilcellulosa, un additivo alimentare ampiamente utilizzato, ha un impatto sull’ambiente intestinale di volontari sani, e questo alterando la composizione del microbiota intestinale nonché la presenza di molte piccole molecole (metaboloma)».  Risultati che «Sottolineano la necessità di ulteriori lavori per caratterizzare l’impatto a lungo termine di questo additivo alimentare».

Lo studio, al quale hanno partecipato ricercatori statunitensi della Georgia State University, dell’università della Pennsylvania e della Pennsylvania State University e tedeschi del Max-Planck-Institut für Entwicklungsbiologie, lancia l’allarme sugli effetti della carbossimetilcellulosa (CMC), una molecola sintetica classificata negli emulsionanti, che vengono aggiunti a molti alimenti trasformati per migliorare la consistenza e prolungare la durata di conservazione.

I ricercatori dell’Institut Cochin ricordano che «Sebbene la CMC non sia stata ampiamente testata nell’uomo, dagli anni 60 è stata utilizzata sempre di più negli alimenti trasformati. Da lungo tempo è riconosciuto che la CMC è sicura da ingerire, perché questa molecola viene eliminata nelle feci senza essere assorbita dall’intestino. Tuttavia, la recente realizzazione dei benefici dei batteri che normalmente vivono nel tratto gastrointestinale, e quindi interagiscono con additivi non assorbiti, ha portato gli scienziati a mettere in discussione questa ipotesi. Studi sui topi hanno dimostrato che la CMC, insieme ad alcuni altri agenti emulsionanti, altera la composizione del microbiota intestinale, portando all’aggravamento di molte condizioni infiammatorie croniche, come la colite, la sindrome metabolica e il cancro del colon. Tuttavia, l’applicazione di questi risultati all’uomo non era stata finora studiata».

All’università della Pennsylvania, il team internazionale ha realizzato uno studio randomizzato su volontari sani la cui dieta era completamente controllata. I partecipanti hanno consumato una dieta priva di additivi, oppure una dieta identica ma integrata con CMC.  Dato che le patologie indotte dal consumo di CMC nei topi impiegano anni a comparire nell’uomo, i ricercatori i si sono concentrati sull’ambiente intestinale, e in particolare sulla composizione dei batteri (microbiota) e delle piccole molecole (metaboloma). Ed è così che hanno visto che «Il consumo di CMC modifica la composizione dei batteri presenti nell’intestino, e questo riducendo alcune specie note per svolgere un ruolo benefico per la salute umana».

Inoltre, all’inizio e alla fine dello studio sono state anche eseguite colonscopie, che hanno dimostrato che «Un sottogruppo di soggetti che consumavano CMC aveva una forte associazione di batteri intestinali a livello della superficie dell’intestino, una caratteristica osservata nelle malattie infiammatorie intestinali e diabete di tipo 2». Quindi, anche se il consumo di CMC non ha causato nessuna malattia durante questo studio relativamente breve di due settimane, i ricercatori sottolineano che «Questi risultati supportano i risultati degli studi sugli animali, secondo i quali il consumo a lungo termine di questo additivo potrebbe promuovere malattie infiammatorie croniche e deregolamentazioni metaboliche nell’uomo, sottolineando così la necessità di ulteriori studi su questa classe di additivo alimentare».

Uno degli autori dello studio, Andrew Gewirtz della Georgia State University, evidenzia che «Questi risultati confutano l’argomento “passa e basta” usato per giustificare la mancanza di studi clinici sugli additivi». E  James Lewis, dell’università della Pennsylvania, aggiunge: «Oltre alla necessità di ulteriori studi sulla carbossimetilcellulosa, lo studio fornisce un approccio generale per testare a fondo gli additivi alimentari negli esseri umani»

Benoit Chassaing, direttore ricerca all’Inserm conclude: «Questi studi devono essere proseguiti con un numero di soggetti sufficientemente ampio da tenere conto del elevata eterogeneità tra i soggetti. In effetti, il nostro studio suggerisce che le risposte a seguito dell’esposizione a CMC – e possibilmente ad altri additivi alimentari – sono altamente individualizzate e stiamo escogitando vari approcci per identificare – e persino prevedere – quali individui sono suscettibili a questo o quell’altro additivo alimentare».