Il pesce supera la carne: produce più cibo l’acquacoltura dell’allevamento di bovini

Il 2013 primo anno in cui che gli esseri umani mangiano più pesci allevati che pescati in natura

[11 Luglio 2013]

Secondo il rapporto Plan B Updates – Farmed Fish Production Overtakes Beef dell’Earth policy institute, presieduto da Lester R. Brown «Nel 2011, il mondo ha tranquillamente raggiunto una pietra miliare nell’evoluzione della dieta umana. Per la prima volta nella storia moderna, la produzione mondiale di pesci d’allevamento ha superato la produzione di carne». Un gap che si è ampliato nel  2012, quando la produzione dell’acquacoltura ha raggiunto il record di 66 milioni di tonnellate, contro  i 63 milioni di tonnellate di produzione di carne di manzo. E il 2013 potrebbe essere il primo anno che gli esseri umani mangiano più pesci allevati che pescati in natura. Con me scrivono Janet Larsen e J. Matthew Roney, «Più di un semplice incrocio di linee, queste tendenze illustrano l’ultima fase di un cambiamento storico nella produzione alimentare, un cambiamento che al suo interno è una storia dei limiti naturali».

Durante la seconda metà del XX secolo la domanda mondiale di proteine animali è cresciuta di oltre 5 volte e l’umanità a cominciato ad intaccare i limiti di produttività dei pascoli e degli oceani del pianeta. La produzione annua di manzo è cresciuta dai 19 milioni di tonnellate nel 1950 agli oltre 50 milioni di tonnellate alla fine degli anni ‘80. Nello stesso periodo, le catture di pesce selvatico catture sono passate da 17 milioni di tonnellate a quasi 90 milioni. Ma se fine degli anni ’80 la crescita della produzione di carne bovina ha subito un rallentamento e le cifre della pesca in mare sono rimaste sostanzialmente invariate.

La scelta ottenere molto più cibo dai sistemi naturali non è semplicemente possibile: gran parte dei pascoli del mondo sono al limite delle loro capacità o  sovrasfruttati e la maggior parte delle attività di pesca del mondo hanno stock al limite o in calo. Il sovrasfruttamento dei pascoli sta portando al degrado dei suoli e all’aumento di tempeste di polvere e sabbia; lo sfruttamemnto eccessivo della pesca ha conseguenze meno visibili, ma è sempre più evidente che è necessario un maggiore sforzo di pesca per  ottenere la stessa quantità di catture che negli anni passati richiedevano spostamenti meno lunghi e quindi  meno energia ed investimenti. Nelle reti dei pescatori restano pesci sempre più piccoli e le popolazioni di alcuni dei pesci più consumati sono collassate.

Larsen e Roney spiegano che «Storicamente, il gusto della gente per mangiare proteine animali è stato in gran parte plasmato da dove vivevano. In luoghi con estese praterie, come negli Usa, Brasile, Argentina e Australia, le persone gravitato verso il pascolo del bestiame. Lungo le coste e sulle isole, come in Giappone, il pesce selvatico tendeva ad essere l’alimento base per le  proteine. Oggi, con poco spazio per ampliare gli output dei pascoli e dei mari, produrre più carne e pesce per una popolazione mondiale in crescita e sempre più ricca significa basarsi sui recinti da ingrasso per i bovini e in stagni, reti, e pens per la crescita dei pesci». Ma questo presenta problemi non da poco: mentre le acque libere e le praterie se gestito con attenzione possono essere autosufficienti, produrre pesce e bestiame in impianti intensivi richiede input, così i cereali e la soia sono entrati nella catena della produzione alimentare di proteine. Ma il bestiame consuma 7 Kg chili di cereali o di più per produrre un Kg di carne di manzo, il doppio di quanto richiesto per i suini ed oltre tre volte del fabbisogno per il pollame. La crescita dei pesci è molto più efficiente:  2kg di mangime per crescere di un kg. La carne di maiale ed il pollame sono le proteine animali più consumate nel mondo, ma la produzione di pesce d’allevamento è quella in più veloce aumento, con tassi di crescita annuale medi che negli ultimi 5 anni hanno rispecchiato la relativa efficienza dei mangimi, con la produzione globale di pesci d’allevamento in crescita di quasi il 6% all’anno, il pollame del 4% e la carne di maiale dell’1,7%, superando velocemente manzo, che non è aumentata.

Dato che negli ultimi anni i prezzi dei cereali e della soia sono aumentati ben al di sopra dei livelli storici,  è aumentato anche il costo dei mangimi per la zootecnia e i prezzi più elevati hanno allontanato i consumatori dalla carne meno “efficiente”. «Questo significa più pesce d’allevamento e meno carne – sottolinea l’Earth policy institute – Negli Usa,  dove la quantità di carne nella dieta della popolazione è in calo dal 2004 , il consumo medio di carne bovina per persona è sceso di oltre il 13% quello di pollo del 5%. Negli Usa è calato anche il consumo di pesce, ma solo del 2%»-

Oltre alle considerazioni di tipo economico, anche i problemi di salute e ambientali stanno portando molte persone nei Paesi industrializzati di ridurre l’assunzione di manzo. Intanto i pesci vengono presentati come un’alternativa sana, salvo per quelli più grandi che accumulano mercurio lungo la catena alimentare. Il fonte consumo di carne rossa è ormai associato ad un più alto rischio di malattie cardiache e di  cancro del colon. La produzione di carni bovine si è guadagnata una cattiva reputazione perché ha una grande impronta di carbonio e per la distruzione degli habitat, in particolare nell’Amazzonia brasiliana. E l’eccesso di fertilizzanti azotati applicati ai campi di mais per produrre i mangimi per il  bestiame inquina i corsi d’acqua ed arriva fino al mare, dove provoca grandi fioriture algali e zone morte prive di ossigeno, dove i pesci non possono sopravvivere.

Solo recentemente sono emersi i limiti dei sistemi naturali a livello globale, mentre la pratica dell’acquacoltura risale a millenni fa. In Cina, che rappresenta il 62% della piscicoltura del mondo, da  moltissimo si allevano diversi tipi di carpe che mangiavano cose diverse: fitoplancton, zooplancton, vegetali e detriti in mini-ecosistemi. Oggi le carpe e loro parenti sono ancora quasi la metà della produzione dell’acquacoltura cinese, i molluschi filtratori, ne rappresentano quasi un terzo. Carpe, pesci gatto ed altre specie vengono allevati anche nelle risaie cinesi, dove i loro escrementi fertilizzano il raccolto, una pratica usuale anche in Indonesia, Thailandia, ed Egitto, ma non altrettanto diffusa in altri grandi Paesi produttori di acquacoltura come l’India, il Vietnam e il Bangladesh.

«Sfortunatamente – dicono Larsen e Roney – non tutta l’acquacoltura funziona in questo modo. Alcuni dei pesci d’allevamento che stanno rapidamente guadagnando popolarità, come il salmone e i gamberetti, sono specie carnivore che mangiano farina di pesce o olio di pesce, mangimi prodotti con pesce di origine selvatica. Eppure la maggior parte degli stock ittici foraggeri (si pensi ad acciughe, aringhe e sardine), che in genere costituiscono circa un terzo del pescato oceanico del mondo oceanico, è pericolosamente sovrasfruttato . Gli allevatori stanno lavorando per ridurre la quantità di farina di ed olio pesce nelle loro razioni, ma nella corsa a soddisfare la domanda mondiale in continua espansione, la quota di pesci d’allevamento che vengono nutriti è aumentata, perché possano raggiungere dimensioni del mercato in modo rapido».  La Norvegia, il produttore di salmone d’allevamento più importante del mondo, attualmente  importa più olio di pesce di qualsiasi altro Paese. La Cina, leader mondiale nella produzione di gamberetti, acquista circa il 30% della farina di pesce scambiata  ogni anno.

Così come gli allevamenti di bestiame hanno cancellato foreste pluviali biologicamente ricche, gli allevamenti ittici hanno distrutto foreste di mangrovie che forniscono importanti habitat  e nursery per moltissime specie di pesci e di proteggono le coste dalle tempeste. Si stima che l’acquacoltura sia responsabile della perdita di oltre la metà di tutte le mangrovie abbattute nel mondo, soprattutto per far posto all’allevamento dei gamberetti. Nelle Filippine, negli ultimi 40 anni circa i due terzi dei mangrovieti del Paese, oltre 100.000 ettari, sono stati cancellati per allevare gamberetti. .

Ma l’allevamento di bestiame e pesci porta con sé anche un altro colossale problema, per molti versi ignorato: la questione non è solo quel che viene prelevato dall’ambiente ma quel che ci viene immesso. «In una fattoria  su piccola scala con bestiame, i rifiuti animali possono essere utilizzato per fertilizzare le colture – sottolinea il rapporto – Ma mettere un gran numero di animali insieme trasforma i rifiuti da un attivo in una passività. Insieme alle grandi quantità di rifiuti, le sostanze chimiche, antibiotiche ed antiparassitarie utilizzate per affrontare la malattia e le infestazioni indesiderati che possono diffondersi facilmente in condizioni di sovraffollamento, possono anche finire negli ecosistemi circostanti. L’uso eccessivo di antibiotici nelle attività di allevamento possono portare a batteri resistenti agli antibiotici, minacciando sia la salute umana che degli animali». Negli Usa, per esempio, l’80% dell’uso di antibiotici è in agricoltura e spesso non per il trattamento di animali malati ma per favorire un rapido aumento di peso.

Tutto questo entra in collisione con i limiti dei sistemi naturali che ci hanno per lungo tempo fornito il cibo, creando una serie di nuovi problemi. Secondo l’Earth policy institute il consumo annuo di carne medio pro-capite è di meno di 20 libbre (8,9 Kg) a livello globale ed è improbabile un ritorno alle 24 libbre consumate negli anni ’70, ma il consumo di pesce mondiale annuo per persona è passato alla 25 libbre degli anni ’70 alle 42 odierne ed è destinato ad aumentare: «Con il pesce in più che proviene dagli allevamenti piuttosto che dai mari, l’urgenza di rendere l’acquacoltura sostenibile è chiara».

Sul fronte dei mangimi per pesci, i produttori di farine di pesce stanno inserendo più scarti di pesce nei loro prodotti, oggi circa un terzo della farina di pesce è composto da ritagli di pesce, cibo e altri sottoprodotti. E alcuni allevatori stanno sostituendo l’olio e la farina di pesce con gli scarti della lavorazione del bestiame e del pollame ed alimenti a base vegetale, il che non suona particolarmente appetitoso, ma non riduce la pressione sugli stock selvatici. Dal punto di vista della sostenibilità, tuttavia, sarebbe preferibile spostare l’equilibrio in favore dei pesci allevati senza cibi basati su cereali, semi oleosi e proteine di altri animali».

Con una popolazione mondiale di 7 miliardi di persone, in crescita di quasi 80 milioni all’anno, «Non possiamo sfuggire ai limiti della natura – conclude il rapporto -. Per vivere entro i confini naturali della Terra è necessario ripensare le pratiche di produzione di carne e di pesce a rispettare l’ecologia. Cosa ancora più importante, significa ridurre la domanda, rallentare la crescita della popolazione e, per quelli di noi che vivono già in cima alla catena alimentare, mangiare meno carne, latte, uova e pesce».