Gli alimenti marini e di acqua dolce potrebbero prevenire 166 milioni di casi carenze di micronutrienti

Ma il cambiamento climatico crea un doppio rischio per i Paesi dipendenti dalla pesca

[21 Settembre 2021]

Secondo lo studio “Aquatic foods to nourish nations”, pubblicato su Nature da un folto team internazionale di ricercatori,  se la produzione globale di alimenti marini e di acqua dolce venisse aumentata di 15,5 milioni di tonnellate (8%), entro il 2030 potrebbero essere evitati circa 166 milioni di casi di carenze di micronutrienti.

Lo studio evidenzia diversi modi in cui gli alimenti acquatici migliorano la salute umana, compresa la riduzione delle carenze di micronutrienti e l’offerta di alternative alla carne rossa e lavorata, che sono spesso associate a malattie non trasmissibili.

I risultati dello studio si basano sui dati dell’Aquatic Foods Composition Database (AFCD), che è stato sviluppato per aumentare la comprensione dei potenziali benefici nutrizionali degli alimenti marini e di acqua dolce e che attualmente è il database globale più completo nel suo genere: profila 3.753 specie alimentari acquatiche e centinaia di sostanze nutritive, con importanti implicazioni per le politiche nutrizionali e di gestione della pesca in tutto il mondo.

Prodotto come uno dei 5 articoli scientifici iniziali del  Blue Food Assessment (BFA), lo studio ha rilevato che «Un aumento della produzione sostenibile di alimenti acquatici attraverso investimenti in acquacoltura e una migliore gestione della pesca porterebbe a una diminuzione dei prezzi del 26%, rendendo il pesce e i frutti di mare più accessibili per le popolazioni a basso reddito di tutto il mondo».

Il principale autore  dello studio, Christopher Golden dell’Harvard TH Chan School of Public Health, ricorda che «Viviamo in un mondo profondamente malnutrito, con miliardi di persone che soffrono di carenze di micronutrienti e malattie croniche legate all’alimentazione. Trovare modi per aumentare in modo sostenibile la produzione di alimenti blu offre l’opportunità di aumentare l’accesso a diete sicure, nutrienti e salutari per i più vulnerabili del mondo».

Gli alimenti marini e di acqua dolce danno a molti Paesi in via di sviluppo la possibilità di migliorare la loro dieta senza subire i rischi negativi per la salute legati alle diete ad alto contenuto di carne dei Paesi più ricchi e uno degli autori dello studio, Zachary Koehn, del Center for ocean solutions della Stanford University, aggiunge che «Gli alimenti acquatici possono fornire un potenziale percorso per l’equità nutrizionale. I responsabili politici e gli attori dello sviluppo dovrebbero sfruttare la disponibilità di alimenti acquatici culturalmente appropriati e prodotti in modo sostenibile per ridurre l’insicurezza alimentare e affrontare la malnutrizione».

Golden conclude: «Per la prima volta, il nostro studio mette in evidenza il ruolo significativo degli alimenti acquatici nel soddisfare le esigenze dietetiche delle popolazioni vulnerabili dal punto di vista nutrizionale, mitigando anche le malattie croniche e allontanando le persone dalle carni rosse e lavorate».

Risultati che però devono fare i conti con i risultati di un altro studio, “Compound climate risks threaten aquatic food system benefits”, del BFA pubblicato su Nature dal quale emerge che «Miliardi di persone in tutto il mondo in via di sviluppo potrebbero dover affrontare una maggiore insicurezza alimentare ed economica a causa della minaccia che il cambiamento climatico rappresenta per i sistemi alimentari acquatici».

Gli autori avvertono che «Senza mitigare gli effetti del cambiamento climatico riducendo le emissioni di gas serra, le società che dipendono dagli alimenti acquatici rischieranno di perdere contributi chiave ai mezzi di sussistenza, all’economia, alla cultura, alla salute e alla nutrizione».

Una ricerca che rivela, per la prima volta, il rischio che il cambiamento climatico pone al contributo dato dagli alimenti acquatici al benessere e allo sviluppo umano in tutto il mondo e dalla quale emerge che «Senza un’azione urgente, la pesca di cattura, in particolare in regioni come l’Africa tropicale, l’America centrale e l’Indo-Pacifico, affronta i rischi più gravi».

Invece, i sistemi di acquacoltura in acque costiere e costiere devono affrontare rischi climatici inferiori, anche se l’acquacoltura d’acqua dolce è esposta a livelli elevati di rischio.

Una delle autrici, Michelle Tigchelaar del Center for Ocean Solutions della Stanford University. evidenzia che «Questo è il primo documento del suo genere a valutare i rischi che il cambiamento climatico pone a tutti gli alimenti acquatici, inclusi quelli di acqua dolce e marina, acquacoltura e cattura in natura, che forniscono lavoro a più di 100 milioni di persone e sostentamento a più di 3 miliardi di persone in tutto il mondo».

Anche in questo caso, lo studio conferma che i Paesi che storicamente hanno emesso più gas serra non dovranno necessariamente affrontare il rischio più elevato derivante dal cambiamento climatico e questo dovrebbe portare a una responsabilità condivisa tra Paesi e regioni per realizzare sistemi alimentari acquatici a prova di clima. Invece, «I Paesi del sud-est asiatico, dell’Indo-Pacifico e dell’Africa, che dipendono in gran parte dagli alimenti acquatici per sostenere i mezzi di sussistenza e le economie, stanno affrontando il “doppio rischio” del cambiamento climatico che ha un impatto negativo su un settore economico essenziale».

Lo studio dice che, in uno scenario ad alte emissioni entro il 2050, «Più di 50 paesi dovranno affrontare la triplice minaccia di elevati rischi climatici, esposizione e vulnerabilità».

Per uno dei co-autori  dello studio, William WL Cheung, dell’Institute for the oceans and fisheries dell’università della Columbia Britannica,  «Sono urgentemente necessari sia la mitigazione delle emissioni di carbonio che l’adattamento agli impatti inevitabili. Per garantire che le soluzioni climatiche possano costruire resilienza e promuovere lo sviluppo sostenibile, dobbiamo concentrarci sul più ampio contesto socio-ecologico di ciascun Paese. Sistemi di allerta precoce, piani di risposta alle catastrofi, schemi assicurativi e reti di sicurezza saranno tutti fondamentali per costruire la resilienza a queste crescenti minacce».

Oltre a raccomandare misure che migliorano la resilienza climatica dei sistemi alimentari marini e di acqua dolce, lo studio sottolinea anche la necessità di un’azione trasformativa per ridurre la vulnerabilità climatica in generale, compresa la promozione dell’equità di genere, la riduzione della povertà e il rafforzamento dei sistemi di governance.