L’ambiente e il nuovo Titolo V

[7 Aprile 2014]

C’era attesa per il nuovo Titolo V, anche perché da più parti si erano minacciati tuoni e fulmini contro la ‘sbornia’ di federalismo a cui si sarebbe dovuto finalmente rimediare. Insomma, una buona occasione per rimettere in riga regioni ed enti locali con una bella cura centralista.

Ora il testo – anzi, due testi, quello approvato prima dal governo e poi quello varato in via definitiva il 31 marzo dal Consiglio dei ministri con una serie di integrazioni – è all’esame del Senato. Tra le prime norme figura la cancellazione dall’art 117, dove era previsto che a certe condizioni possono essere attribuite alle regioni dallo Stato ulteriori competenze, possibili ora in via del tutto eccezionale.

Nel primo testo era previsto che la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali appartengano allo Stato. Nel secondo, che sono competenza dello Stato l’ambiente, i beni culturali e paesaggistici nonché le norme generali su attività culturali, sul turismo e ordinamento sportivo. E se nel vecchio Titolo V su una parte di queste materie vi era una competenza concorrente con le regioni ora essa è stata abrogata. Non solo. Lo Stato ora può intervenire anche in materie riservate alla competenza esclusiva delle regioni, qualora ricorrano esigenze nell’interesse dell’unità d’Italia. Si riaffaccia a distanza di tanti anni quell’interesse nazionale cancellato da quando lo Stato-persona lasciò in Costituzione il posto alla Repubblica in cui Stato, regioni ed enti locali erano stati pariordinati e insieme dovevano garantire questo ruolo ‘nazionale’, specie in rapporto all’Unione europea.

La legge statale disciplina ora forme di coordinamento nelle materie a cui, ad esempio, all’ultimo momento il Consiglio dei ministri ha aggiunto la materia paesaggistica prima ‘dimenticata’, nonostante l’art 9 della Costituzione e la Convenzione europea del paesaggio. Ho visto che dinanzi a questo evidente sbilanciamento centralistico qualcuno ritiene che all’equilibrio non raggiunto dal vecchio Titolo V tra stato e regioni (nonostante o per colpa delle competenze concorrenti) dovrebbero rimediare le   leggi quadro. Ma è proprio dalla manomissione di alcune di queste leggi quadro tra le più importanti e innovative in campo ambientale – penso alle 394 dei 91 sui parchi e le aree protette ma anche alla 183 sul suolo – che lo Stato si è indebitamente riappropriato (in particolare sul paesaggio) di competenze affidate ad altri soggetti.

Ne risulta anche ad una prima e frettolosa lettura un evidente e marcato rilancio centralistico, che affida allo Stato principi generali ordinamentali e funzioni fondamentali di comuni e città metropolitane comprese, forme associative di area vasta.

Eppure in sentenze costituzionali del 2002 e anche successive era stato chiarito che finora le forme di collaborazione tra Stato e regioni erano spesso troppo ‘deboli’, ma troppo ‘forti’ quando si intendeva limitare i poteri regionali. Da qui il giudizio che il testo del 2001 tanto denigrato non era affatto un colpo di mano nei confronti dello Stato ma un tentativo di affidare la ‘sovranità’, che in via esclusiva non si incarna in alcuna delle istituzioni della Repubblica perché è appunto una sovranità distribuita.

Il testo in discussione oggi non ci pare coerente con quella idea di sovranità o di ‘leale collaborazione’ costituzionale di cui si parla da anni, senza apprezzabili risultati.

Il ministro Del Rio in una intervista di qualche giorno fa ha detto: «Stiamo cercando anche di correggere alcune storture insorte con l’interpretazione del Titolo V e la sua applicazione». Speriamo che nel dibattito appena avviato ciò avvenga. Il presidente della Conferenza delle Regioni Errani ha precisato che è mancata in particolare la definizione di competenze residuali, perché se la sanità non può essere solo regionale l’urbanistica non può essere solo nazionale. Anche il presidente della Toscana Rossi ha detto che non vogliamo ritorni centralistici, e ha ragione.

Non solo in Toscana in questi mesi si è discusso animatamente, ad esempio, del turismo e del ruolo della Regione; la risposta non può essere certo quella del testo governativo, che lo riaffida alla competenza esclusiva dello Stato. Quella è una cura a cui siamo già stati sottoposti, e i risultati li conosciamo bene.

Se è vero come ha detto recentemente il presidente della Corte Costituzionale che le competenze istituzionali non sono un salame che si può affettare a proprio comodo è anche vero che esse non sono neppure un cocomero, e che alle regioni tocchino solo le bucce.

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