Uno studio CMCC su inquinamento atmosferico e Covid-19 in Italia

Potenziale correlazione a breve termine tra l’esposizione a particolato e NO2 e i livelli d’incidenza, mortalità e letalità di Covid-19

[17 Dicembre 2020]

Da tempo si ipotizza che la diffusione di SARS-CoV-2, il coronavirus responsabile dell’attuale pandemia, sia collegata all’esposizione a inquinanti atmosferici a breve e lungo termine, soprattutto il particolato (PM). E’ infatti possibile che le persone che vivono in aree altamente industrializzate, e quindi esposte a livelli di inquinamento più elevati, presentino sintomi più gravi. Ulteriori studi hanno evidenziato come gli inquinanti atmosferici possano agire da “traghettatori” di virus e perciò favorire e aumentare ulteriormente la diffusione della pandemia.

Lo studio “Assessing correlations between short-term exposure to atmospheric pollutants and COVID-19 spread in all Italian territorial areas”, pubblicato da Gabriele Accarino, Stefano Lorenzetti e Giovanni Aloisio su Environmental Pollution,  si è concentrato sulle potenziali correlazioni a breve termine tra i due fenomeni. La ricerca, diretta dalla Fondazione CMCC – Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), e realizzata in collaborazione con Università del Salento e Istituto Superiore di Sanità (ISS), ha preso in esame «Le concentrazioni di alcuni tra i più pericolosi inquinanti atmosferici (PM10, PM2.5, NO2) e la distribuzione nel tempo e nello spazio dei casi di malattia e dei decessi per COVID-19 (nello specifico, i livelli di incidenza, mortalità e letalità di COVID-19), prendendo in esame l’intero territorio italiano, scendendo fino al livello delle singole unità territoriali e includendo in particolare quattro delle regioni più colpite (Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto)».

Aloisio, del CMCC Strategic Board, direttore del CMCC Supercomputing Center e del Dipartimento di ingegneria dell’innovazione dell’università del Salento, spiega che « L’analisi dei dati è stata circoscritta al solo primo trimestre del 2020 per ridurre il più possibile gli effetti del lockdown sui livelli di inquinamento atmosferico. I nostri risultati fanno ipotizzare una correlazione (da moderata a robusta) tra il numero di giorni che superano i limiti annuali di concentrazione massima imposti per gli inquinanti atmosferici PM10, PM2.5 e NO2, e i livelli d’incidenza, mortalità e letalità per Covid-19 rilevati in tutte le 107 aree territoriali prese in esame, anche se tale correlazione appare meno forte (da debole a moderata) quando l’analisi viene ristretta alle quattro regioni del Nord Italia, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto, più duramente colpite dalla pandemia».

Dallo studio emerge che «In generale, i livelli di PM10 e PM2.5 mostrano una più alta correlazione rispetto al diossido di azoto (NO2) con i parametri correlati alla diffusione del Covid-19 in Italia».

Poi il team di ricercatori italiani ha ulteruiormente analizzato i diversi livelli di PM10 e li ha confrontati con la variazione del tasso d’incidenza di Covid-19 in tre aree del nord Italia tra le più colpite dalla pandemia (Milano, Brescia e Bergamo) nel mese di marzo 2020 e ne è venuto fuori che «Tutte le aree mostrano un andamento temporale simile per le concentrazioni rilevate di PM10, ma una diversa variazione del tasso di incidenza di Covid-19, meno grave a Milano rispetto a Bergamo e Brescia».

«In futuro la ricerca sarà ampliata per tenere in considerazione possibili fattori di confondimento e dinamiche di diffusione, come per esempio dimensione della popolazione, etnia, posti letto disponibili in ospedale, numero di individui sottoposti a test per COVID-19, variabili meteorologiche, socio-economiche e comportamentali (reddito, obesità, fumo), giorni intercorsi dal primo caso segnalato di COVID-19, distribuzione per età della popolazione ecc.

Al CMCC concludono  «I risultati di questo studio fanno ipotizzare infatti che sia necessario considerare questi fattori di confondimento per spiegare perché i profili pressoché identici di PM10 osservati a Milano, Bergamo e Brescia nel primo trimestre del 2020 non abbiano prodotto variazioni simili del tasso di incidenza di Covid-19. Inoltre, questi fattori potrebbero giustificare la differenza nella significatività statistica delle correlazioni che si osserva quando si confronta il sottoinsieme delle 4 regioni del nord Italia con l’intero paese italiano. Anche gli effetti negativi dei cambiamenti climatici sulla salute umana, e il loro potenziale ruolo nella pandemia, saranno ulteriormente indagati e analizzati».