Una politica climatica equa potrebbe aiutare a ridurre la povertà estrema

L'effetto sulla povertà globale di politiche di equa ridistribuzione delle entrate delle “carbon tax”

[5 Maggio 2021]

Lo studio “Combining ambitious climate policies with efforts to eradicate poverty”, pubblicato recentemente su Nature Communications da un team di ricercatori del Potsdam-Instituts für Klimafolgenforschung (PIK). Smentisce  clamorosamente la convinzione diffusa (e propagandata) che le politiche di mitigazione del cambiamento climatico, compreso le “carbon tax”, siano una cosa da ricchi che finiranno per penalizzare i più poveri. Dallo studio viene fuori, al contrario, che «Politiche climatiche ambiziose potrebbero aiutare a ridurre la povertà estrema nei paesi in via di sviluppo», ma – è probabilmente è questo che non piace a molti –  «Per trasformare le politiche climatiche e la riduzione della povertà in una situazione vantaggiosa per il pianeta e le persone, sono fondamentali una ridistribuzione progressiva delle entrate derivanti dai prezzi delle emissioni e un’equa condivisione degli oneri internazionali».

Il principale autore dello studio, Bjoern Soergel, sottolinea che  «Le politiche climatiche salvaguardano le persone dagli impatti dei cambiamenti climatici come i rischi meteorologici estremi o i fallimenti dei raccolti. Tuttavia, possono anche comportare un aumento dei prezzi di energia e cibo. Questo potrebbe comportare un onere aggiuntivo soprattutto per i poveri del mondo, che sono già più vulnerabili agli impatti climatici. La riduzione della povertà deve quindi essere inclusa nella progettazione delle politiche climatiche».

Nello studio, gli scienziati del PIK prevedono che, se continueremo con l’attuale sviluppo socioeconomico, nel 2030 nel mondo ci saranno ancora circa 350 milioni di persone in condizioni di estrema povertà, che cioè vivranno con meno di 1,90 dollari al giorno. Una cifra che però non tiene conto della pandemia di Covid-19 in corso – che ha ed avrà forti ripercussioni economiche – e degli effetti negativi del cambiamento climatico. Quindi, l’Obiettivo di sviluppo sostenibile (SDG) Onu di eliminare la povertà estrema entro il 2030 sembra destinato a non essere raggiunto. Se fossero introdotte le ambiziose politiche climatiche coerenti con l’obiettivo di 1,5° C dell’accordo di Parigi, nell’attuale situazione, questo potrebbe addirittura spingere verso la povertà estrema altri 50 milioni di persone.

Soergel evidenzia che «Per compensare tutto questo, dovremmo integrare il prezzo delle emissioni con una progressiva ridistribuzione dei ricavi. Ciò potrebbe essere ottenuto tramite un “dividendo climatico”: le entrate vengono restituite equamente a tutti i cittadini, il che trasforma le famiglie più povere con emissioni tipicamente inferiori in beneficiarie nette del programma. Inoltre, si raccomandano trasferimenti internazionali di finanziamenti per il clima dai Paesi ad alto reddito ai Paesi a basso reddito. Insieme, questo potrebbe di fatto trasformare il trade-off tra azione per il clima e sradicamento della povertà in una sinergia».

Per giungere a questi risultati, i ricercatori tedeschi hanno prima esaminato le politiche climatiche su scala globale, attuate attraverso prezzi di emissione ambiziosi nei Paesi industrializzati e prezzi inizialmente più bassi nei Paesi in via di sviluppo. Inoltre, hanno esaminato come si sviluppa la povertà globale senza e con una ridistribuzione progressiva delle entrate. I loro risultati dimostrano che «La ridistribuzione può alleviare gli effetti collaterali negativi delle politiche climatiche sulla povertà. Insieme, questo porterebbe persino a una piccola riduzione della povertà globale di circa 6 milioni di persone nel 2030».

Ma le entrate nazionali sono state ritenute insufficienti per compensare gli effetti collaterali delle politiche nella maggior parte dei paesi dell’Africa subsahariana, la regione in cui anche la povertà estrema è prevalente.

In una seconda fase gli scienziati hanno esaminato la condivisione degli oneri a livello internazionale. Uno degli zautori dello studio, Nico Bauer spiega a sua volta: «Per condividere i costi della mitigazione del cambiamento climatico in modo equo, i Paesi industrializzati dovrebbero compensare finanziariamente i Paesi in via di sviluppo». Secondo lo studio, «Già una piccola frazione come il 5% dei proventi dei prezzi di emissione dei Paesi industrializzati sarebbe sufficiente a più che compensare gli effetti collaterali delle politiche anche nell’Africa subsahariana. Questo trasferimento finanziario potrebbe portare a una riduzione netta della povertà globale di circa 45 milioni di persone nel 2030».

In questo scenario, i contributi che sarebbero richiesti ai Paesi ad alto reddito ammontano a circa 100 miliardi all’anno, che è quanto si sono già impegnati a fare per rispettare l’Accordo di Parigi. Soergel  aggiunge: «I leader dei Paesi ad alto reddito devono capire che la riduzione delle emissioni interne e la finanza internazionale per il clima sono davvero due facce della stessa medaglia: solo la combinazione delle due consentirà anche alle economie emergenti e in via di sviluppo di partecipare».

Elmar Kriegler, coautore dello studio, conclude: «La combinazione della ridistribuzione nazionale delle entrate derivanti dai prezzi delle emissioni con i trasferimenti finanziari internazionali potrebbe quindi fornire un importante punto di entrata verso una politica climatica giusta ed equa nei Paesi in via di sviluppo».