Senza un’azione climatica immediata, nel Sahel peggioreranno migrazioni e guerre

Finora “aiutiamoli a casa loro” e stato poco più di uno slogan neocolonialista

[17 Novembre 2022]

Mentre in Italia si continua a discutere di profughi e migranti senza nemmeno provare a capire le cause profonde di quella che è una crisi ambientale, climatica, geopolitica e sociale che ha le sue radici nel colonialismo e nel neocolonialismo, mentre tutto diventa emergenza che impedisce di affrontare le ragioni di qualcosa di epocale, l’United Nations Special Coordinator for Development in the Sahel e l’United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) avvertono che «Senza investimenti urgenti nella mitigazione e nell’adattamento climatico, i Paesi del Sahel rischiano decenni di conflitti armati e sfollamenti esacerbati dall’aumento delle temperature, dalla scarsità di risorse e dall’insicurezza alimentare».

Secondo il nuovo rapporto “Moving from Reaction to Action: Anticipating Vulnerability Hotspots in the Sahel”,  «Lasciata senza controllo, l’emergenza climatica metterà ulteriormente in pericolo le comunità del Sahel, mentre inondazioni devastanti, siccità e ondate di caldo decimeranno l’accesso all’acqua, al cibo e ai mezzi di sussistenza e amplificheranno il rischio di conflitto. Questo alla fine costringerà più persone a fuggire dalle loro case».

Tanto per ricordare come si è tradotto finora lo slogan “aiutiamoli a casa loro” tanto caro qualche anno fa alla destra italiana, il coordinatore speciale Onu per lo sviluppo nel Sahel, Abdoulaye Mar Dieye, ha evidenziato che «Nel Sahel, la crisi climatica si sta combinando con la crescente instabilità e il basso livello di investimenti nello sviluppo per creare un mix depotenziante che sta tassando pesantemente le comunità saheliane, con l’ulteriore rischio di mettere a repentaglio il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Esistono soluzioni, incentrate sulle persone e sugli investimenti su larga scala, ma richiedono impegno e dedizione risoluti da parte di tutti, nonché i dati e l’analisi giusti per sapere cosa sta arrivando al fine di eseguire risposte politiche proattive e di impatto».

Il progetto Sahel Predictive Analytics, su quale si basa il rapporto, punta a consentire ai decision-makers di identificare rapidamente dove si sovrappongono più rischi per programmare una migliore preparazione e supportare l’analisi del contesto, alla pianificazione, alla formazione e allo sviluppo delle capacità, oltre a indicare dove sono necessari ulteriori dati.

Il rapporto compila previsioni a breve, medio e lungo termine grazie a una serie di fonti di dati e metodologie che tracciano l’interazione e i cicli di feedback di cambiamento climatico, sicurezza alimentare, guerre, migrazioni e sfollamenti. Queste organizzazioni fornitrici sono: adelphi, il Climate Hazards Center dell’università della California Santa Barbara,  Barcelona Center for International Affairs, Center for International Earth Science Information Network  della Columbia University, Colorado State University, Institute for Demographic Research della City University of New York, Dansk Flygtningehjælp (DRC), Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik, European Centre for Development Policy Management, Institut de Formation et de Recherche Démographiques,

Il rapporto esamina i 10 Paesi interessati dall’UN Integrated Strategy for the Sahel  e dal  suo  Support Plan in Africa occidentale e centrale: Burkina Faso, Cameru, Ciad, Gambia, Guinea, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria e Senegal e ricorda che «Le comunità di tutto il Sahel dipendono dall’agricoltura e dalla pastorizia, che sono altamente vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico. L’insicurezza alimentare sta già aumentando in tutta la regione, raggiungendo livelli di emergenza in alcune zone. A lungo termine, si prevede che i raccolti di mais, miglio e sorgo diminuiranno a causa degli shock climatici, logorando la resilienza delle popolazioni locali».

Andrew Harper, consigliere speciale dell’UNHCR per l’azione climatica, conferma: «L’aumento delle temperature e le condizioni meteorologiche estreme nel Sahel stanno peggiorando il conflitto armato, che sta già distruggendo i mezzi di sussistenza, interrompendo la sicurezza alimentare e provocando sfollamenti. Solo un massiccio impulso collettivo alla mitigazione e all’adattamento climatico può alleviare le conseguenze umanitarie attuali e future».

Altrimenti quello che ci aspetta, guerra dichiarata o meno alle navi delle ONG che raccolgono solo qualche goccia di questo mare di disperazione, sono nuove ondate migratorie, Come si legge nel rapporto: «Anche con ambiziose politiche di mitigazione climatica, si prevede che le temperature nel Sahel aumenteranno di 2,5° C entro il 2080. Se l’azione urgente viene ulteriormente ritardata, potrebbero aumentare di 4,3° C».

Fortunatamente può essere fattto ancora molto . ma occorre cambiare approccio e paradgma: «Nonostante le tendenze negative, il Sahel è dotato di abbondanti risorse naturali – ricordano Diey e l’UNHCR – La regione si trova su una delle più grandi falde acquifere dell’Africa e ha un immenso potenziale per le energie rinnovabili, tra cui un’abbondante capacità di energia solare e una popolazione giovane e dinamica: circa il 64% dei saheliani ha meno di 25 anni. Se un’azione coraggiosa per la mitigazione e l’adattamento al clima fosse imminente per sostenere i Paesi e le comunità del Sahel, e la collaborazione attraverso i pilastri umanitari, dello sviluppo e della costruzione della pace diventasse rioritaria, c i sarebbe un vasto potenziale per cambiare la traiettoria della regione».

Insomma, bisogna davvero decidere se aiutarli in casa loro o se continuare a far finta, mandando armi al posto di aiuti, formando i cacciatori di profughi invece degli agricoltori e delle agricoltrici e dei tecnici delle energie rinnovabili, continuando a rapinare risorse a Paesi poverissimi invece di aiutarli ad utilizzarle per uscire dalla povertà e ad adattarsi alla nuova realtà climatica.