Scoperto un legame chimico tra il fumo degli incendi e buco dell’ozono antartico

Se gli incendi diventano più grandi e frequenti, potrebbero bloccare per anni il recupero dell'ozono

[1 Marzo 2022]

I mega-incendi australiani del 2019 e del 2020 sono stati record per quanto lontano e velocemente si sono diffusi, per quanto tempo sono durati e per quanta biomassa hanno bruciato. I devastanti incendi della “Black Summer” hanno divampato su quasi 175.000 Km2 e hanno ucciso o costretto a fuggire quasi 3 miliardi di animali. Gli incendi hanno anche iniettato oltre 1 milione di tonnellate di particelle di fumo nell’atmosfera, giungendo fino a 35 chilometri sopra la superficie terrestre, una massa paragonabile a quella di un vulcano in eruzione.

Ora, lo studio “The influence of iodine on the Antarctic stratospheric ozone hole”. Pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un team internazionale di ricercatori giudato dallo spagnolo Carlos Cuevas del  Consejo Superior de Investigaciones Científicas, hanno scoperto che «Il fumo di quegli incendi ha innescato reazioni chimiche nella stratosfera che hanno contribuito alla distruzione dell’ozono, che protegge la Terra dalle radiazioni ultraviolette in arrivo».  Si tratta del primo studio a stabilire un legame chimico tra il fumo degli incendi e l’esaurimento dell’ozono.

Nel marzo 2020, poco dopo che gli incendi si erano placati, il team che comprendeva scienziati del Massachusetts Institute of Technology (MIT), delle università del Saskatchewan, di Jinan e del Colorado – Boulder e del National Center for Atmospheric Research Usa, ha osservato un forte calo del biossido di azoto nella stratosfera che, spiegano i ricercatori «E’ il primo passo di una ricaduta chimica nota per finire con l’esaurimento dell’ozono».

Lo studio ha scoperto che «Questo calo del biossido di azoto è direttamente correlato alla quantità di fumo che gli incendi hanno rilasciato nella stratosfera» e stima che «Questa chimica indotta dal fumo abbia esaurito la colonna di ozono per l’1%. Per contestualizzare, l’eliminazione graduale dei gas dannosi per l’ozono nell’ambito di un accordo mondiale per interromperne la produzione ha portato a un recupero di circa l’1% di ozono rispetto alle precedenti diminuzioni di ozono negli ultimi 10 anni, il che significa che gli incendi hanno cancellato in un breve periodo quei guadagni diplomatici duri da ottenere».

Se, come si prevede a causa del cambiamento climatico, i futuri incendi diventano più forti e frequenti, la ripresa dell’ozono potrebbe essere ritardata di anni.

La principale autrice, Susan Solomon del Department of Earth, Atmospheric, and Planetary Sciences del MIT, evidenzia che « Finora, gli incendi australiani sembrano il più grande evento, ma mentre il mondo continua a scaldarsi, ci sono tutte le ragioni per pensare che questi incendi diventeranno più frequenti e più intensi. E’ un altro campanello d’allarme, proprio come lo era il buco dell’ozono antartico, nel senso di mostrare quanto le cose potessero effettivamente essere brutte».

Al MIT spiegano: «E’ noto che massicci incendi generano pirocumulonembi, imponenti nuvole di fumo che possono raggiungere la stratosfera, lo strato dell’atmosfera che si trova tra circa 15 e 50 chilometri sopra la superficie terrestre. Il fumo degli incendi australiani è arrivato fino alla stratosfera, fino a 35 chilometri».

Nel 2021, un coautore del nuovo studio, Pengfei Yu dell’università di Jinan, ha condotto uno studio separato sugli impatti degli incendi e ha scoperto che il fumo accumulato riscaldava parti della stratosfera fino a 2 gradi Celsius, un riscaldamento che è durato per 6 mesi . Lo studio ha anche trovato indizi della distruzione dell’ozono nell’emisfero australe in seguito agli incendi.

La Solomon si è chiesta se il fumo degli incendi potesse aver impoverito l’ozono attraverso una chimica simile agli aerosol vulcanici e spiega a sua volta. Le grandi eruzioni vulcaniche possono raggiungere anche la stratosfera e nel 1989 la Solomon scoprì che il particolato di queste eruzioni può distruggere l’ozono attraverso una serie di reazioni chimiche: «Quando le particelle si formano nell’atmosfera, raccolgono umidità sulle loro superfici. Una volta bagnate, le particelle possono reagire con le sostanze chimiche in circolazione nella stratosfera, incluso il pentossido di diazoto, che reagisce con le particelle per formare acido nitrico. Normalmente, il pentossido di azoto reagisce con il sole per formare varie specie di azoto, incluso il biossido di azoto, un composto che si lega con sostanze chimiche contenenti cloro nella stratosfera. Quando il fumo vulcanico converte il pentossido di azoto in acido nitrico, il biossido di azoto scende e i composti del cloro prendono un’altra strada, trasformandosi in monossido di cloro, il principale agente artificiale che distrugge l’ozono. Questa chimica, una volta superato quel punto, è ben consolidata. Una volta che hai meno biossido di azoto, devi avere più monossido di cloro e questo esaurirà l’ozono».

Nel nuovo studio, supportato in parte dalla National Science Foundation e dalla NASA, la Solomon e i suoi colleghi hanno esaminato come sono cambiate le concentrazioni di biossido di azoto nella stratosfera in seguito agli incendi australiani. Se queste concentrazioni fossero diminuite in modo significativo, avrebbero segnalato che il fumo di un incendio esaurisce l’ozono attraverso le stesse reazioni chimiche di alcune eruzioni vulcaniche.

Il team ha studiato le osservazioni del biossido di azoto effettuate da tre satelliti indipendenti che hanno esaminato l’emisfero australe per periodi di tempo variabili, poi ha confrontato i dati di ciascun satellite nei mesi e negli anni precedenti e successivi agli incendi australiani e «Tutti e tre i record hanno mostrato un calo significativo del biossido di azoto nel marzo 2020. Per il record di un satellite, il calo ha rappresentato un minimo record tra le osservazioni degli ultimi 20 anni».

Per verificare che la diminuzione del biossido di azoto fosse un effetto chimico diretto del fumo degli incendi, i ricercatori hanno effettuato simulazioni atmosferiche utilizzando un modello tridimensionale globale che simula centinaia di reazioni chimiche nell’atmosfera, dalla superficie fino alla stratosfera. Il team internazionale ha iniettato una nuvola di particelle di fumo nel modello, simulando quel che è stato osservato dagli incendi australiani. I ricercatori presumevano che le particelle, come gli aerosol vulcanici, raccogliessero umidità. Hanno quindi eseguito il modello più volte e confrontato i risultati con le simulazioni senza la nuvola di fumo. E’ così che hanno scoperto che in ogni simulazione che comprendeva il fumo di un incendio, «All’aumentare della quantità di particelle di fumo nella stratosfera, le concentrazioni di biossido di azoto diminuivano, corrispondendo alle osservazioni dei tre satelliti».

La Solomon evidenzia che «Il comportamento che abbiamo visto – sempre più aerosol e sempre meno biossido di azoto – sia nel modello che nei dati, è un’impronta digitale fantastica. E’la prima volta che la scienza ha stabilito un meccanismo chimico che collega il fumo degli incendi all’esaurimento dell’ozono. Potrebbe essere solo un meccanismo chimico tra i tanti, ma è chiaramente lì. Ci dice che queste particelle sono bagnate e devono aver causato una riduzione dell’ozono».

Il team internazionale di ricerca sta ora esaminando altre reazioni innescate dal fumo degli incendi che potrebbero contribuire ulteriormente alla riduzione dell’ozono. Al MIT ricordano che «Per il momento, il principale fattore di riduzione dell’ozono rimangono i clorofluorocarburi, o CFC, sostanze chimiche come i vecchi refrigeranti che sono stati banditi dal Protocollo di Montreal, sebbene continuino a permanere nella stratosfera. Ma poiché il riscaldamento globale porta a incendi più forti e frequenti, il loro fumo potrebbe avere un impatto serio e duraturo sull’ozono».

La Solomon conclude: «Il fumo degli incendi è una miscela tossica di composti organici che sono bestie complesse. E temo che l’ozono venga preso a pugni da tutta una serie di reazioni che ora stiamo lavorando furiosamente per rivelarle».