La doppia faccia del particolato: mortale per la salute, mitiga il riscaldamento globale

Per capire tutta la storia dei cambiamenti climatici bisogna guardare lontano

Cina e India hanno contribuito e contribuiranno meno del Nord America al cambiamento climatico

[18 Dicembre 2018]

La scienza è molto chiara: nell’ultimo secolo le attività antropiche hanno contribuito ad aumentare l’effetto serra sulla superficie terrestre. Gran parte delle discussioni ai summit internazionali sui cambiamenti si concentrano su come i singoli Paesi o regioni stanno contribuendo ad aumentare il problema, e cosa faranno (o non faranno) per invertire la tendenza.

Ma AR Ravishankara della Colorado State University, che si occupa di chimica e scienze atmosferiche, dice che il quadro completo è più complesso e risale nel tempo più di quanto sembri e che «Implica un’eredità dalle azioni passate, nonché impegni irreversibili per il futuro».

Ravishankara  ha appena pubblicato Science  insieme a Daniel Murphy della National oceanic and atmospheric administration Usa (Noaa)  lo studio “Trends and patterns in the contributions to cumulative radiative forcing from different regions of the world” su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) che, attraverso un nuovo calcolo, fornisce una visione di lungo periodo su come 9 diverse regioni del mondo hanno contribuito al cambiamento climatico dal 1900 ad oggi, dimostrando anche come probabilmente questa suddivisione regionale sarà entro il 2100, secondo i vari scenari di emissioni.

Ravishankara e Murphy  hanno chiamato il loro calcolo “cumulative radiative forcing” perché integra il fluire e rifluire dei fattori climatici nel corso del secolo scorso, invece di fornire un’istantanea della situazione odierna. Il forcing radiativo serve a misurare l’energia solare che viene trattenuta dalla Terra. Il riscaldamento globale è il risultato di un forcing radiativo positivo, o di più energia che viene trattenuta dalla Terra invece che disperdersi nello spazio.

Lo studio pubblicato su PNAS evidenzia anche «l’insidioso ruolo a due facce dell’inquinamento da particolato nell’atmosfera, risultante dalla combustione di combustibili fossili, incendi e altre attività umane che hanno disperso l’inquinamento e la polvere nell’atmosfera per molti decenni». I ricercatori spiegano che «Questi aerosol sono di breve durata nell’atmosfera, ma hanno un effetto di raffreddamento netto dovuto alla loro interazione con la luce solare e le nuvole. Mentre l’anidride carbonica e altri gas serra permangono nell’atmosfera e continuano a contribuire al riscaldamento per molti anni, gli aerosol si dissipano più rapidamente, insieme ai loro effetti di raffreddamento netto. In totale, la presenza di aerosol ha mascherato alcuni degli effetti del riscaldamento globale».

Per esempio, Ravishankara e Murphy  hanno scoperto che «Tra il 1910 e il 2017, la Cina, l’Europa e il Nord America hanno avuto ciascuno periodi di quasi nessun contributo netto al riscaldamento. Questi periodi sono stati caratterizzati da una rapida industrializzazione e crescita del Pil, quando le emissioni di combustibili fossili sono aumentate, ma sono stati applicati pochi controlli sulla qualità dell’aria». Lo studio dimostra inoltre che il contributo di ciascuna regione al forcing radiativo dovuto alle emissioni di biossido di carbonio (e di altri gas serra) «dal 2018 al 2100 sarà maggiore del riscaldamento totale apportato durante il secolo scorso».

Secondo Ravishankara, «Ad oggi, la Cina ha contribuito molto poco. La Cina ha sostanzialmente pagato le proprie emissioni di anidride carbonica con una cattiva qualità dell’aria». Ma ancse la Cina continuerà ad applicare i suoi standard per l’aria pulita,  e le sue emissioni aumenteranno a un ritmo più lento, la sua quota di contributo al cambiamento climatico aumenterà comunque. Attualmente il maggior emettitore di gas serra è il Nord America e lo rimarrà anche nel 2100.

La doppia faccia degli aerosol – raffreddamento di breve durata, ma dannosi per la salute umana – è ben illustrata in un altro studio, “Premature Mortality due to PM2.5 over India: Effect of Atmospheric Transport and Anthropogenic Emissions”, pubblicato su  GeoHealth  da un team guidato da Liji David della Colorado State University . di cui fanno parte Ravishankara e altri scienziati statunitensi, indiani e britannici, dal quale emerge che «Più di 1 milione di decessi prematuri all’anno in India siano dovuti all’esposizione a “particolato ambientale” – inquinamento atmosferico sotto forma di particelle respirabili come aerosol di solfato, polvere e fuliggine. In India, l’uso di energia residenziale – la combustione di biomassa nelle case per il riscaldamento e cucinare – è il contributo principale a questo tasso di mortalità prematura».

Secondo le stime, delle circa 1,1 milioni di morti premature da particolato fine avvenute in India nel 2012, circa il 60% erano dovute a inquinanti antropogenici emessi nella regione.

Nello studio pubblicato su PNAS, Murphy e Ravishankara dimostrano che, «Fino ad oggi, il contributo dell’India al cambiamento climatico è stato minimo e che lo sarà anche per il 2100, rispetto ad altre nazioni». La cosa paradossale è che le politiche indiane per ripulire le sue metropoli dallo smog venefico che le soffoca ridurranno le morti premature ma potrebbero far aumentare il suo ruolo nel cambiamento climatico a causa dell’aerosol che svolgerà un ruolo minore nel compensare i cambiamenti climatici.

Ravishankara conclude: «Le persone dovrebbero considerare gli effetti delle emissioni in modo olistico. I futuri scenari climatici devono tenere conto di tutti i contributi al riscaldamento che ci sono stati fino ad oggi e degli effetti che proseguono di tali contributi. Le riduzioni delle emissioni non aiuterebbero solo il clima, ma anche la salute umana. Ridurre le emissioni di anidride carbonica e altre emissioni, per il bene del pianeta e per la salute umana, sono le uniche opzioni praticabili. Dobbiamo chiederci non solo qual è il nostro impegno in futuro, ma anche qual sia la nostra eredità».