Peggiora ancora la disuguaglianza di reddito, e oltre la metà dei giovani (soprattutto 25-34enni) risulta deprivato su una o più dimensioni del benessere

Non solo Pil: a che punto è il Benessere equo e sostenibile (Bes) in Italia

Istat: dall’analisi degli aspetti ambientali emerge una «prevalenza di segnali positivi», ma più per caso che per una precisa strategia di sviluppo

[20 Dicembre 2019]

L’Istat ha presentato la VII edizione del rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes), che grazie ai suoi 130 indicatori – ambientali, sociali, economici – restituisce una fotografia dello sviluppo italiano ben più articolata di quella che è in grado di offrire l’andamento del Pil. Vista la complessità dell’approccio ne emerge inevitabilmente un chiaroscuro: circa la metà degli indicatori mostra un miglioramento del benessere in Italia, sia nell’ultimo anno sia rispetto al 2010 (anche se a distanza di nove anni il 37,7% degli indicatori è ancora in peggioramento).

In particolare, dall’analisi degli aspetti ambientali presi in esame dal Bes emerge una «prevalenza di segnali positivi», ma più per caso che per una precisa strategia di sviluppo: In un decennio segnato da un forte rallentamento della crescita economica, anche la pressione che il sistema economico, nel suo insieme, esercita sull’ambiente è diminuita in alcune delle sue componenti fondamentali (emissioni di gas serra, consumo materiale interno) […] benché non ci siano ancora evidenze sufficienti (soprattutto per il perdurare di una fase di debolezza del ciclo economico) di un’effettiva rottura del legame fra crescita economica e pressione sull’ambiente».

Migliorano gli indicatori della qualità dell’aria nelle città (PM10 e NO2) e quelli relativi alla gestione del ciclo dei rifiuti urbani (ma sono solo due quelli considerati nel report, ovvero il conferimento in discarica di rifiuti urbani e la percentuale di raccolta differenziata, non potendo così documentare le numerose criticità che attanagliano il settore), mentre il consumo di suolo continua ad avanzare e la superficie complessiva dei siti contaminati oggetto di procedure di bonifica ambientale ammonta a quasi 370 mila ettari nel Paese.

Nell’ultimo decennio – dal 2008 al 2017 – la quota del consumo finale lordo di energia coperta da fonti rinnovabili è passata dall’11,5% al 18,3%, raggiungendo così in anticipo l’obiettivo nazionale (17%) fissato dall’Ue per il 2020, ma la posizione dell’Italia «resta ancora lontana da quelle dei paesi più avanzati nel campo delle energie rinnovabili: Svezia, Finlandia, Lettonia e Danimarca, con quote comprese fra il 35% e il 55%». Soprattutto, i progressi su questo fronte sono in stallo: le rinnovabili italiane sono cresciute solo di un punto percentuale nell’arco degli ultimi cinque anni.

Lo stesso si può dire per quanto riguarda le emissioni di gas serra: «Nel 2018 si stima che le emissioni di CO2 e altri gas climalteranti, responsabili dell’effetto serra, siano state lievemente inferiori a quelle degli ultimi anni: 7,3 tonnellate pro capite, dopo che nel triennio 2015-2017 il valore si era mantenuto stabile sulle 7,4 tonnellate. Si tratta di una variazione modesta, che non interrompe una fase di stabilizzazione delle emissioni iniziata nel 2015, dopo i notevoli progressi registrati a partire dal 2006».

Una buona notizia arriva invece dal Consumo materiale interno (Cmi,ovvero l’estrazione interna di risorse materiali e il saldo degli scambi di merci con l’estero): nel 2017 si è interrotta una fase di stabilità che durava dal 2013, con il Cmi che è calato dell’8,3% rispetto all’anno precedente fermandosi a quota 444,1 milioni di tonnellate di materie prime consumate. «Date le dimensioni della sua economia l’Italia – osserva al proposito l’Istat – è tra i paesi Ue che consumano più risorse in assoluto (dopo Germania, Francia, Polonia, Regno Unito e Spagna), ma è quello che ne consuma meno in rapporto alla propria popolazione: 7,4 tonnellate pro capite, poco più di metà della media dei 28 Stati membri (13,8)». Anche in questo caso sono però necessari almeno due distinguo: da una l’Italia continua a consumare molte più materie prime rispetto a quelle derivanti da riciclo (il tasso di circolarità è appena al 17,1% secondo gli ultimi dati Eurostat), dall’altra – un rilievo che vale anche per le emissioni di gas serra – questi indicatori «rappresentano solo pressioni ambientali generate direttamente dai residenti in Italia, non essendo inclusi in essi ciò che nel resto del mondo è necessario prelevare e restituire all’ambiente, né le emissioni che è necessario generare, per mettere a disposizione dei residenti italiani ciò che essi consumano» (quando sappiamo ad esempio che almeno un terzo dei gas serra generati per soddisfare i consumi europei arriva da fuori Ue).

C’è dunque ancora molto da migliorare, attraverso politiche di sviluppo che non lascino al caso i miglioramenti – o peggioramenti – sui trend ambientali, ma anzi ne facciano uno strumento di progresso socio-economico: non c’è sostenibilità in un Paese dove continua ad aumentare la disuguaglianza (aumentata in Italia da 5,9 a 6,1 per quanto riguarda i redditi) e dove manca una visione di futuro. Esattamente quanto sta purtroppo succedendo in Italia, dove l’Istat rileva che oltre la metà dei giovani – il 52,2% dei giovani risulta deprivato su una o più dimensioni del benessere.

Una condizione questa dove «sono senza dubbio i giovani adulti di 25-34 anni ed essere affetti da una molteplicità di svantaggi», in ulteriore peggioramento dal 2012: «Un punto di particolare attenzione che emerge dall’analisi – conclude nel merito il rapporto – è la dimensione del benessere che fa riferimento alle reti sociali e alla partecipazione politica. È infatti questo l’ambito dove è più intenso il disagio dei giovani e per il quale si è registrato un notevole peggioramento nell’ultimo quinquennio. La deprivazione negli aspetti della coesione sociale è risultata, inoltre, strettamente associata a quella dell’ambito dell’inclusione attiva (scuola/lavoro), una dimensione più direttamente indirizzabile da specifiche politiche».