Nell’acqua calda. Gli impatti del riscaldamento degli oceani sulla natura e gli esseri umani

Le sfide e le soluzioni per non annegare nell’oceano del riscaldamento globale

[6 Settembre 2016]

«Il riscaldamento degli oceani colpisce direttamente gli resseri umani e gli impatti si fanno già sentire, compresi quelli sugli stock di pesci e i rendimenti agricoli, la violenza degli eventi e climatici e l’aumento dei rischi provenienti dalle malattie trasmesse attraverso l’acqua». E’ questo, in estrema sintesi, quanto emerge dallo studioExplaining ocean warming: Causes, scale“, presentato al World conservation congress dell’International union for conservation of nature (Iucn) in corso alle Hawaii come il più completo disponibile sull’argomento.

Il rapporto, redatto da 80 scienziati di 12 Paesi,  studia gli effetti del riscaldamento degli oceani sulle specie e gli ecosistemi e i benefici che i mari e gli oceani del pianeta offrono (gratis) all’umanità, presentando le prove scientifiche degli impatti antropici sulla vita marina, dai microrganismi fino ai più grandi mammiferi del mondo, e afferma chiaramente che tali effetti «sono suscettibili di aumentare significativamente anche nel caso dello scenario a basse emissioni».

Presentando il rapporto, la direttrice generale dell’Iucn, Inger Andersen, ha detto che «il riscaldamento degli oceani è uno dei problemi nascosti più importanti di questa generazione e per il quale siamo totalmente impreparati. Il solo modo per preservare la ricca diversità della vita marina è di conservare la protezione e le risorse che l’oceano ci fornisce e di diminuire rapidamente e significativamente le emissioni di gas serra».

Ma il riscaldamento di mari e oceani sta colpendo già tutti gli ecosistemi, dalle regioni polari a quelle tropicali, e porta gruppi interi di specie, come i plancton, le meduse, le tartarughe e gli uccelli marini a spostarsi di 10 gradi di latitudine verso i poli.

I modelli di distribuzione delle specie pelagiche come il tonno, aringhe e sgombri dell’Atlantico, spratti e acciughe europei si stanno gradualmente spostando in risposta alle mutevoli temperature dell’oceano. Alcuni pesci si spostano di decine o centinaia di Km per decennio. Ma non tutte le specie sono in grado di far fronte al rapido riscaldamento del mare. Negli ultimi tre decenni, mentre il pianeta si riscaldava, la frequenza di sbiancamento dei coralli è aumentata di tre volte. Nella Western Australia, vaste aree di foreste sottomarine di kelp sono state spazzate via durante una ondata di caldo marino. Nell’Oceano meridionale, il riscaldamento progressivo è stato associato a declino del krill, che a sua volta ha portato a un declino delle popolazioni di uccelli marini e foche.

«Questo – dicono gli scienziati della World commission on protected areas  (Wcpa) dell’Iucn – innesca la perdita delle aree di riproduzione per le tartarughe e gli uccelli marini e danneggia le chance di successo della riproduzione dei mammiferi marini. Distruggendo l’habitat dei pesci e spingendo le specie a spostarsi verso delle acque più fredde, il riscaldamento degli oceani danneggia gli stock di pesci in alcune aree e dovrebbe comportare una riduzione delle catture nelle regioni tropicali».

Per esempio, in Africa orientale e nell’Oceano Indiano occidentale il riscaldamento degli oceani ha ridotto l’abbondanza di alcune specie di pesci uccidendo alcune parti delle barriere coralline dalle quali essi dipendevano, andando ad aggiungersi alle perdite causate dalla sovra-pesca e dalle tecniche di pesca distruttive. Nel sud-est asiatico la quantità di pescato dovrebbe diminuire dal 10 al 30% entro il 2050 rispetto ai livelli del periodo  1970 – 2000, perché la ripartizione delle specie di pesci si modificherà nel caso di uno scenario di mantenimento dello status quo per le emissioni di gas serra.

Gli effetti sulla sicurezza alimentare saranno maggiori nei Paesi tropicali e subtropicali, dove si prevedono le maggiori riduzioni della pesca. Ma, oltre ai forti effetti del riscaldamento dell’oceano sulla produttività della pesca marina, il rapporto spiega che in molti di questi Paesi saranno la crescita della popolazione e la qualità della gestione delle risorse ad avere probabilmente una maggiore influenza sulla disponibilità pro capite di pesce per i prossimi decenni.

Ma c’è un altro aspetto sconcertante: mentre gli uomini stanno distruggendo le foreste costiere di mangrovie per far posto ad allevamenti di gamberi, porti e strutture turistiche, il rapporto evidenzia che «in tutto il mondo, le mangrovie stanno invadendo gli ecosistemi dominati dalle paludi, il che rappresenta uno dei più drammatici cambiamenti odierni nell’areale delle piante».

Il principale autore dello studio, Dan Laffoley,  vice-presidente per l’Ambiente marino della Wcpa, spiega che «una gran parte del calore prodotto dal riscaldamento antropico dagli anni ’70 in poi – uno sconcertante 93% – è stato assorbito dagli oceani, che agiscono come tampone di fronte ai cambiamenti climatici. Ma questo ha un costo. Siamo rimasti profondamente sorpresi dalla scala e dall’ampiezza degli effetti del riscaldamento dell’oceano su interi ecosistemi, cosa che il rapporto ha ben dimostrato».

Explaining ocean warming” presenta anche le prove che il riscaldamento degli oceani provoca un aumento delle malattie nelle popolazioni animali e vegetali e ha un impatto profondo sulla salute umana, «perché gli agenti patogeni  (in particolare i batteri portatori del colera e certe proliferazioni algali responsabili di malattie neurologiche come la ciguatera) si diffondono più facilmente nelle acque più calde».

Il riscaldamento degli oceani danneggia anche il clima, con diverse ripercussioni sugli esseri umani: secondo il rapporto «il numero di uragani violenti è aumentato a un tasso del 25 – 30% per ogni grado Celsius di aumento del riscaldamento globale».

Il riscaldamento degli oceani ha inoltre portato a un aumento delle precipitazioni alle medie latitudini e nelle aree monsoniche e a una diminuzione delle precipitazioni in diverse regioni sub-tropicali e «questi cambiamenti avranno degli effetti sui rendimenti delle colture in importanti regioni agricole come l’America del Nord e l’India. La protezione offerta dagli oceani e dai loro ecosistemi contro i cambiamenti climatici – come l’assorbimento di grandi quantità di  CO2 e la protezione dalle tempeste e dall’erosione – si potrebbe ridurre parallelamente al riscaldamento degli oceani».

Anote Tong, ex presidente della Repubblica di Kiribati, la nazione insulare meno elevata sul livello del mare, ha detto: «Tutti si preoccupano per gli orsi polari. Anche noi, ma nessuno si preoccupa per noi, perché anche noi perderemo le nostre case per il ghiaccio che si scioglie e l’innalzamento del livello del mare».

Le raccomandazioni del rapporto comprendono: il riconoscimento della gravità degli impatti del riscaldamento degli oceani sugli ecosistemi oceanici e dei vantaggi offerti all’umanità da questi immensi ecosistemi, lo sviluppo delle Aree marine protette, l’attuazione di una protezione giuridica per l’alto mare, una migliore valutazione dei rischi sociali ed economici legati al riscaldamento degli oceani, la riduzione delle lacune nelle conoscenze scientifiche e la riduzione rapida e significativa delle emissioni di gas serra.

«Dobbiamo proteggere i nostri oceani come se le nostre vite dipendessero da loro, perché è proprio così», conclude Sylvia Earle, “Ocean Elder” e fondatrice di Mission Blue.