Fao: deforestazione e pratiche agricole restano la principale fonte di emissioni nel settore agroalimentare

L’impronta di carbonio della filiera agroalimentare si vede nei supermercati

Aumentano i gas serra da trasformazione alimentare, imballaggio, trasporto, vendita al dettaglio, consumo domestico, smaltimento dei rifiuti e produzione di fertilizzanti

[9 Novembre 2021]

Secondo il nuovo studioPre- and post- production processes along supply chains increasingly dominate GHG emissions from agri-food systems globally and in most countriesrealizzato dalla Fao e da un team internazionale di ricercatori e attualmente in fase di revisione su Earth Systems Science Data Discussions – ESSD,  «La filiera alimentare è sulla strada per superare l’agricoltura e l’utilizzo del suolo come il maggior contributore di gas serra dal sistema agroalimentare in molti paesi, a causa della rapida crescita guidata da trasformazione alimentare, imballaggio, trasporto, vendita al dettaglio, consumo domestico, smaltimento dei rifiuti e produzione di fertilizzanti».

Infatti, dallo studio emerge che «Fattori non correlati alle attività agricole e ai cambiamenti nell’utilizzo  del suolo rappresentano già più della metà delle emissioni di anidride carbonica dei sistemi agroalimentari nelle regioni avanzate e la loro quota è più che raddoppiata negli ultimi tre decenni nei Paesi in via di sviluppo».

Il nuovo studio del team guidato dallo statistico senior della Fao Francesco Tubiello  si basa su molti recenti lavori per quantificare i trend dei gas serra per facilitare le misure di mitigazione e allertare i responsabili politici sull tendenze emergenti. Per la Fao «E’ importante sottolineare che la base dati, relativa a 236 Paesi e territori nel periodo 1990-2019 e da aggiornare annualmente, è ora facilmente accessibile e utilizzata attraverso il portale FAOSTAT, che offre dettagli su tutte le componenti dei sistemi agroalimentari. Questo rende più facile la comprensione per gli agricoltori e i pianificatori ministeriali e per i Paesi una migliore comprensione delle connessioni tra le loro azioni climatiche pianificate nell’ambito dell’Accordo di Parigi. In definitiva, può essere utilizzato per aiutare i consumatori a comprendere l’intera impronta di carbonio di particolari materie prime attraverso le catene di approvvigionamento globali».

Presentando lo studio, l’economista capo della Fao, Maximo Torero, ha detto che «La Fao è lieta di offrire questo bene pubblico globale, un insieme di dati che affronta direttamente e in dettaglio la più grande sfida del nostro tempo e che è ora disponibile per tutti. Questo tipo di conoscenza può stimolare una consapevolezza e un’azione significative».

I nuovi dati rilevano che il 31% delle emissioni totali di gas serra di origine antropica, o 16,5 miliardi di tonnellate, provengono dai sistemi agroalimentari mondiali, un aumento del 17% rispetto al 1990, quando la popolazione mondiale era più piccola. Si tratta di un dato in linea con studi precedenti, che indicavano un range compreso tra il 21 e il 37%.

Inoltre, utilizzando un dataset più ampio e un approccio più definito e delineato in un brief analitico, il nuovo studio ha rilevato  che «Le emissioni del sistema agroalimentare derivanti dall’utilizzo del suolo – come la trasformazione delle foreste in terreni coltivati ​​- cambiano pur rimanendo uno dei più importanti determinanti dell’agricoltura: le emissioni dei sistemi alimentari sono diminuite del 25% nello stesso periodo, mentre le emissioni all’interno dell’impresa agricola sono aumentate solo del 9%. Questo evidenzia come i fattori della catena di approvvigionamento stiano guidando l’aumento delle emissioni complessive di gas serra del sistema agroalimentare».

Tubiello evidenzia che «La tendenza più importante nel periodo di 30 anni dal 1990 evidenziato dalla nostra analisi è il ruolo sempre più importante delle emissioni legate al cibo generate al di fuori dei terreni agricoli, nei processi di pre e post produzione lungo le filiere alimentari, a tutti i livelli: globale, regionale e nazionale. Questo ha ripercussioni importanti per le strategie di mitigazione nazionali alimentari rilevanti, se si considera che fino a poco tempo queste si sono concentrate principalmente sulla riduzione dei non-CO2 entro l’azienda agricola e su quelle dii CO2 derivanti dal cambiamento di utilizzo del suolo». Questo nuovo dataset, presentato alla COP26 Unfccc in corso a Glasgow, oltre a consentire l’attuazione mirata di alcuni degli impegni assunti dai Paesi per perseguire la carbon neutraliy, serve come nuovo elemento di discussione al vertice climatico.

Dallo studio, al quale hanno collaborato Unitad Nations Statistics Division, International Energy Agency e ricercatori di Columbia University e Potsdam-Instituts für Klimafolgenforschung, emerge che «Degli 16,5 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra dovute alle emissioni totali globali dei sistemi agroalimentari nel 2019, 7,2 miliardi di tonnellate provenivano dalle imprese agricole, 3,5 dal cambiamento di uso del suolo e 5,8 miliardi di tonnellate dai processi della catena di approvvigionamento».

La Fao fa notare che «Quest’ultima categoria emette già la maggior quantità di anidride carbonica, la metrica chiave man mano che si accumula, mentre le attività in azienda sono state di gran lunga le maggiori emettitrici di metano (CH4) e protossido di azoto (N2O), sebbene il decadimento dei rifiuti alimentari generi significativi quantità di metano».

In termini di singole cause, nel 2019 la deforestazione è stata la principale fonte di emissioni di gas serra con 3.058 Mt CO2, seguita dalla fermentazione enterica (2.823 Mt CO2 eq), letame (1.315 Mt CO2 eq), consumi domestici (1.309 Mt CO2 eq), smaltimento dei rifiuti alimentari (1.309 Mt CO2 eq), utilizzo in azienda di combustibili fossili (1.021 Mt CO2 eq) e il settore della distribuzione alimentare (932 Mt CO2 eq).

La Fao sottolinea che «Mentre la prima componente è in calo e la seconda in crescita solo modesta, le emissioni della vendita al dettaglio – compresi i “gas fluorurati” associati alla refrigerazione e con impatti climatici molto più potenti di CH4 o N02 – sono aumentate di oltre 7 volte dal 1990, mentre quelle provenienti dai consumi delle famiglie sono più che raddoppiate».

Le emissioni di gas serra del sistema agroalimentare dell’’Asia, la regione più popolosa del mondo, sono di gran lunga le maggiori, seguite da Africa, Sud America, Europa, Nord America e Oceania. Ma lo studio ha rilevato che «Le emissioni di gas serra dalle fasi di pre e post produzione della filiera alimentare rappresentavano più della metà del totale del sistema agroalimentare sia in Europa che in Nord America, mentre questa cifra era inferiore al 14% per l’Africa e Sud America».

Una variazione che è marcata a livello di Paese. Per esemio, i gas serra del sistema alimentare dovuti al cambiamento dell’utilizzo del suolo sono trascurabili in Cina, India, Pakistan, Federazione Russa e Stati Uniti d’America, ma sono la componente dominante in Brasile, Indonesia e Repubblica democratica del Congo, i tre Paesi che ospitano le più estese – e deforestate – foreste pluviali del mondo. All’interno della catena di approvvigionamento, i processi di consumo delle famiglie sono risultati principale fonte di emissioni di gas serra in Cina, lo smaltimento dei rifiuti alimentari in Brasile, Repubblica democratica del Congo, Indonesia, Messico e Pakistan, mentre il settore della vendita al dettaglio predomina per emissioni  negli Usa, Russia e Canada . L’utilizzo di energia nelle aziende agricole è la principale fonte di gas serra in India.

La Fao conclude: «Questa variazione indica diverse potenziali strategie di mitigazione e anche probabili tendenze future. Ad esempio, mentre le emissioni del sistema alimentare come quota del totale sono diminuite a livello globale dal 40% nel 1990 al 31% nel 2019, nelle regioni dominate dai moderni sistemi agroalimentari le cose sono andate al contrario: sono aumentate dal 24% al 31% in Europa e dal 17% al 21% in Nord America. In particolare, questa crescita delle emissioni è stata trainata dall’anidride carbonica, a conferma del peso crescente dei processi di pre e post produzione che tipicamente comportano l’uso di energia da combustibili fossili».