L’impatto dei cambiamenti climatici sul cibo potrebbe causare 500.000 morti in più nel 2050

Tre quarti dei decessi legati a clima e cibo avverranno in Cina e India, ma ci sono rischi anche per Europa e Italia

[4 Marzo 2016]

Secondo lo studio “Global and regional health effects of future food production under climate change: a modelling study”, pubblicato su  The Lancet da un team di ricercatori dell’Oxford Martin Programme on the Future of Food e dell’ International Food Policy Research Institute (IFPRI) « Entro il nel 2050, iI cambiamenti climatici potrebbero uccidere più di 500.000 adulti in tutto il mondo, a causa di cambiamenti nelle diete e  della riduzione del peso corporeo e della produttività delle colture».

All’Oxford Martin Programme on the Future of Food, sono convinti che la ricerca, pubblicata da  The Lancet  d sia  la prova più evidente che «Il cambiamento climatico potrebbe avere conseguenze dannose per la produzione alimentare e la salute in tutto il mondo».

Lo studio del team guidato da Marco Springmann, è il primo del suo genere a valutare l’impatto dei cambiamenti climatici sulla composizione della dieta e il peso corporeo e a stimare il numero di morti che questi due fattori causeranno nel 2050 in 155 Paesi e rivela che, se non si interviene per ridurre le emissioni globali,  entro il 2050 i cambiamenti climatici potrebbero ridurre di circa un terzo il previsto miglioramento della disponibilità di cibo e portare a riduzioni pro-capite medie del 3,2% (99 kcal al giorno ) per  disponibilità di cibo, del 4,0% (14.9 g al giorno per frutta e verdura)  e dello 0,7% (0,5 g al giorno) di consumo di carne rossa

Springmann spiega che «Abbiamo scoperto che, nel 2050, questi cambiamenti potrebbero essere responsabili di circa 529.000 morti in più. Abbiamo esaminato gli effetti sulla salute dei cambiamenti nella produzione agricola che possono derivare da cambiamenti climatici e abbiamo scoperto che una riduzione, anche modesta, nella disponibilità di cibo pro-capite potrebbe portare a cambiamenti nel contenuto energetico e nella composizione di diete e questi cambiamenti avrebbero importanti conseguenze per la salute».

I Paesi che potrebbero sub ire le maggiori conseguenze sono quelli a reddito medio e basso, soprattutto nel  Pacifico occidentale (264.000 morti in più) e nel Sud-Est asiatico (164.000), con quasi i tre quarti di tutti i decessi legati al clima che dovrebbero verificarsi in Cina (248.000) e India (136.000).

Il modello utilizzato dai ricercatori prevede che le riduzioni di frutta e verdura potrebbero portare a 534.000 le morti legate al clima, superando di gran lunga i benefici per la salute derivanti da una riduzione del consumo di carne rossa (29.000 decessi evitati).

I maggiori impatti delle variazioni riguardanti frutta e verdura rischiano di farsi sentire in tutti i Paesi ad alto reddito (pari al 58% di tutte le modifiche dei decessi), nei Paesi a basso e medio reddito (LMIC) del Pacifico occidentale (74% ), in Europa (60%) e nel Mediterraneo orientale (42%). L’Africa (49%) e il Sud-Est asiatico (47%)  sono in cima alla classifica per le morti negli adulti legate al sotto-peso.

Gli autori del rapporto dicono che «Un taglio delle emissioni potrebbe avere notevoli benefici per la salute, riducendo il numero di decessi legati al clima, dal 29 al 71% a seconda della forza degli interventi. Ad esempio, in uno scenario delle emissioni medio (aumenti della temperatura media globale dell’aria in  superficie di 1,3 – 1,4° C nel 2046-65 rispetto al 1986-2005), il numero di morti legati alla dieta e al peso potrebbero essere ridotti di circa un terzo (30%) rispetto al caso peggiore, lo scenario ad alte emissioni».

Secondo Springmann, «Il cambiamento climatico può avere un notevole impatto negativo sulla mortalità futura, anche in presenza di scenari di ottimistici, gli sforzi di adattamento devono essere realizzati rapidamente. Programmi della sanità pubblica, volti  a prevenire e curare con la dieta fattori di rischio legati al peso, come l’aumento di frutta e verdura, devono essere rafforzati prioritariamente per contribuire a mitigare gli effetti sulla salute legati al clima».

Commentando su The Lancet le implicazioni dello studio, Alistair Woodward, dell’niversità neozelandese di Auckland, e John Porter dell’università danese di Copenhagen, scrivono, «Restringere il nostro punto di vista sulle conseguenze dei cambiamenti climatici a ciò che potrebbe accadere nel prossimo 30-40 anni è comprensibile, in termini di preoccupazioni convenzionali, per la qualità dei dati e la stabilità del modello, ma potrebbero sottostimare la dimensione dei rischi futuri e, quindi, sottovalutare le azioni presenti necessarie per mitigare e adattarsi. Springmann e colleghi hanno spostato il dibattito su clima e  cibo in una direzione necessaria, mettendo in evidenza sia la sicurezza alimentare che nutrizionale, ma resta una montagna di rilevanti questioni politiche che richiedono un attento esame».