Riceviamo e pubblichiamo

Le mobilitazioni per il clima ci stanno consegnando una nuova narrazione del “possibile”, e dovremmo sfruttarla

L’idea che i giovani siano quelli delle “marcia per il clima” ma anche la “EasyJet generation” è una contraddizione insostenibile, che può però diventare un atto di rivendicazione per un cambiamento sistemico

[4 Ottobre 2019]

Le nostre generazioni stanno vivendo negli anni delle mobilitazioni per il clima. È ancora più o meno vivido in noi il ricordo della protesta globale del 27 settembre dove migliaia di giovani hanno occupato le strade per protestare contro la mancanza di risposte politiche alla crisi climatica ed ambientale. Poche settimane dopo, dal prossimo lunedì per la precisione, il gruppo non violento di attivisti Extinction Rebellion darà inizio in moltissime città del mondo alla “Rebellion Week”, una serie di atti di disobbedienza civile per riportare alla nostra attenzione la crisi climatica ed ambientale.

Diciamo la verità, queste non sembrano essere più vere e proprie notizie – breaking news – ed è in parte dovuto al fatto che le proteste per il clima sono così frequenti da rischiare di essere quasi normalizzate. Affinché la normalizzazione non si compia – poiché causerebbe una “depoliticizzazione” della lotta alle minacce climatiche – è necessario compiere un esercizio di riflessione critica che, però, non viene troppo spesso svolto. La maggior parte delle volte i media si accontentano di documentare il numero delle persone scese per strada oppure di annotare con cura e dovizia le reazioni – molto spesso triviali e vuote d’ogni contenuto – del mondo della politica. Eppure, come direbbe il celebre giornalista del The Guardian George Monbiot – recentemente apparso in un video con Greta Thunberg[1] – queste mobilitazioni hanno molto altro da offrirci. Esse, infatti, possono rappresentare vere e proprie narrazioni di un’alternativa[2] da opporre a quella narrazione dominante di un mondo sedotto da un sistema sociale ed economico che giustifica e finanzia l’estrazione insostenibile delle risorse naturali e l’utilizzo sconsiderato dei combustibili fossili.

Tuttavia, si pone un problema che molto spesso attira l’attenzione di maggior parte dell’opinione pubblica. Ovvero, i Fridays for Future e molti altri gruppi meno conosciuti in Italia, come gli Extinction Rebellion, non offrono una chiara soluzione al problema che vanno denunciando. Non si tratta, tanto per intenderci, delle mobilitazioni contro la guerra in Vietnam che potevano costruirsi attorno all’obiettivo ben preciso di non andare ad invadere un paese straniero. La questione climatica e ambientale evade ogni genere di semplificazione e richiede soluzioni sistemiche che riguardano il modo in cui produciamo, consumiamo, pensiamo, ci relazioniamo con la natura e con noi stessi: in altre parole, il modo in cui viviamo.

Non esistono, dunque,“pallottole d’argento” né tanto meno chiare rivendicazioni che gruppi come i Fridays for Future possano fare. Per questo le mobilitazioni per il clima e per l’ambiente vengono molto spesso accusate di non avere un fine concreto. Parlando con attivisti di numerosi gruppi ambientalisti spesso emerge che l’obiettivo è creare consapevolezza e partecipazione attiva, poiché ad offrire soluzioni definitive si correrebbe il rischio di romanticizzare un’alternativa piuttosto che un’altra. Questa posizione viene molto spesso fraintesa come ipocrisia degli attivisti che non sanno proporre alternative concrete. Tuttavia è da tenere in conto che coloro che ci vogliono indurre a credere che, in realtà, una chiara e facile soluzione esiste, agiscono molto spesso in malafede. Il “capitalismo sostenibile” e l’idea che affidare un valore di mercato alla natura e alle emissioni di CO2 risolverà la crisi climatica ed ambientale è una feticizzazione che non ci permette di constatare che le leggi del mercato non ci salveranno e che sono profondamente ingiuste[3].

Inoltre, la narrazione delle mobilitazioni per il clima e per l’ambiente verrebbe presumibilmente ostacolata dalla mancanza di coerenza dei giovani attivisti. Siamo tutti familiari con i commenti di chi sostiene che la maggior parte dei giovani che scendono in piazza siano impreparati e non sappiano perché si marcia. Oppure chi dice che prima i giovani marciano per il clima e poi, senza alcun rimorso, prendono aerei per farsi i selfie a Londra. Lasciar emergere queste contraddizioni non è di per sé una pratica sbagliata. Certo, è pericoloso criticarle per il puro piacere di affondare una nuova e forte rivendicazione di autorità politica e morale dei giovani. È pura codardia, a dire il vero. Occorre che i giovani sfruttino proprio queste contraddizioni per creare, finalmente, la narrazione di un’alternativa, di un mondo diverso.

Tutti quanti, ma soprattutto i giovani, figli di una delle più devastanti crisi economiche, sono vittime di dinamiche di marginalizzazione e sfruttamento che non possono realmente contrastare a livello individuale. Chiariamo con un esempio personale. Abito in Olanda da tre anni e sono venuto qui in cerca di un futuro che in Italia non credo avrei mai avuto. Studio politiche ambientali e sono io stesso un attivista. Ciononostante, per tornare in Italia dalla mia famiglia prendo l’aereo perché non posso permettermi il treno e non ho tempo perpassare 50 ore su un autobus, perché il mio lavoro come stagista non mi dà pressoché alcuna flessibilità. L’idea che la mia generazione sia quella delle “marcia per il clima” ma anche la “EasyJet generation” mi fa rabbrividire, ma penso che la nostra storia debba partire proprio da questo ribrezzo. Dobbiamo domandare un sistema che ci permetta di liberarci da queste contraddizioni insostenibili che molto spesso – ma non sempre, ovviamente – sono troppo grandi (sistemiche, appunto) da affrontare individualmente.

È necessario disfarci di questa idea dominante che l’ambientalismo è qualcosa di individuale. Piuttosto, serve creare una narrazione fatta di partecipazione attiva e collettiva dove l’ambientalismo, al contrario, diventa un atto di rivendicazione per un cambiamento sistemico. Chiediamo che i sussidi ai combustibili fossili vengano ridiretti verso fonti rinnovabili. Chiediamo che il mondo del lavoro non sfrutti il lavoratore e conceda orari più flessibili e adatti a spostamenti internazionali sostenibili. Qualcuno dice che, addirittura, dovremmo “decrescere” economicamente. Come si è detto prima, non esiste una singola soluzione definitiva e per questo dobbiamo collettivamente richiedere e – se necessario – lottare per soluzioni ambiziose e sistemiche che contengano tutto questo. La prossima volta che qualcuno ci attaccherà riferendosi alle nostre contraddizioni, noi dobbiamo rivendicare le origini di queste e diventare, infine, “politici”.

Chiaramente, non intendo che dobbiamo tutti diventare militanti di un partito politico. Fare qualcosa di “politico”, secondo il celebre filosofo slavo Slavoj Zizek[4], significa compiere un atto di rottura con quel sistema che stabilisce come funzionano le cose. Più poeticamente, Zizek dice che un autentico atto politico è l’arte dell’impossibile. Io credo che mobilitazioni come quelle che in questi ultimi anni stanno diventando sempre più popolari abbiano la possibilità di essere “politiche” in questo senso. E questo è vero fintanto che le contraddizioni di cui siamo vittime vengono utilizzate per definire una nuova narrazione fatta di rivendicazioni e che ha il coraggio di immaginare un mondo e un futuro diverso e più sostenibile. Creare, in altre parole, spazio di possibilità per l’impossibile.

Dunque, la prossima volta che migliaia di giovani occuperanno per protesta le strade delle città di tutto il mondo, teniamo a mente che non si tratta de “l’ennesima mobilitazione per il clima”. Bensì pensiamo che, nonostante differenze enormi, chi marcia sta marciando verso un futuro diverso. Magari non si conoscono ancora i dettagli di quel mondo, ma di sicuro si inizia ad intuirne lo spirito costituente: ribelle, tenace e coraggioso.

[1]https://www.theguardian.com/environment/video/2019/sep/19/greta-thunberg-and-george-monbiot-make-short-film-on-solutions-to-the-climate-crisis-video

[2]https://newint.org/features/web-exclusive/2017/10/09/out-of-the-wreckage

[3]https://eeb.org/library/decoupling-debunked/

[4]Žižek, S. (1999b). The Ticklish Subject  – The Absent Centre of Political Ontology. London, Verso.