L’Artico continua a bruciare, la regione si sta scaldando due o tre volte la media globale

Si stima che, soltanto nel mese di giugno, gli incendi abbiano emesso l'equivalente di 56 mega tonnellate di anidride carbonica, oltre a importanti quantità di monossido di carbonio e particolato

[2 Settembre 2020]

Negli ultimi mesi, l’Artico ha registrato allarmanti alte temperature, incendi boschivi estremi e una significativa perdita di ghiaccio marino. Anche se il caldo clima estivo non è raro nell’Artico, la regione si sta scaldando due o tre volte la media globale – con un impatto sulla natura e sull’umanità su scala globale. Le osservazioni dallo spazio offrono un’opportunità unica per comprendere i cambiamenti in corso in questa regione remota.

Secondo il servizio Copernicus sul cambiamento climatico – Copernicus climate change service – il mese di luglio 2020 è stato il terzo luglio più caldo mai registrato per il pianeta, con temperature di 0.5°C  sopra la media del periodo 1981-2010. Inoltre, l’emisfero nord ha visto il suo luglio più caldo da quando sono iniziate le misurazioni – superando il record precedente stabilito nel 2019.

L’Artico non è sfuggito al caldo. Il 20 giugno, la città russa di Verkhoyansk, che si trova oltre il Circolo polare artico, ha registrato uno sbalorditivo 38°C. Temperature atmosferiche eccezionali sono state registrate anche nel Canada settentrionale. L’11 agosto, la stazione Eureka di Nunavut, che si trova nell’Artico canadese a una latitudine di 80 gradi nord, ha registrato una massima di 21.9°C – che è stata riportata come la temperatura più alta mai registrata così a nord.

Negli ultimi mesi, l’Artico ha registrato allarmanti alte temperature, incendi boschivi estremi e una significativa perdita di ghiaccio marino. Anche se il caldo clima estivo non è raro nell’Artico, la regione si sta scaldando due o tre volte la media globale – con un impatto sulla natura e sull’umanità su scala globale. Le osservazioni dallo spazio offrono un’opportunità unica per comprendere i cambiamenti in corso in questa regione remota.

Il fumo degli incendi boschivi rilascia una vasta gamma di inquinanti tra cui monossido di carbonio, ossido di azoto e particelle solide di aerosol. Si stima che, soltanto nel mese di giugno, gli incendi nell’Artico abbiano emesso l’equivalente di 56 mega tonnellate di anidride carbonica, oltre a importanti quantità di monossido di carbonio e particolato. Questi incendi influiscono su radiazioni, nuvole e clima su scala regionale, e globale.

L’ondata di caldo artico contribuisce inoltre allo scioglimento del permafrost. Il terreno del permafrost artico contiene grandi quantità di carbonio organico e di materiali lasciati dalle piante morte che non possono decomporsi o marcire, laddove gli strati più profondi di permafrost contengono terreno composto di minerali. Il terreno permanentemente ghiacciato, appena sotto la superficie, copre circa un quarto del territorio nell’emisfero settentrionale.

Quando il permafrost si scioglie, rilascia metano e anidride carbonica nell’atmosfera – aggiungendo questi gas serra nell’atmosfera. Questo, a sua volta, provoca un ulteriore riscaldamento, e ulteriore disgelamento del permafrost – un circolo vizioso.

Secondo il Rapporto speciale del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, le temperature del permafrost sono aumentate fino a  registrare livelli record dagli anni ’80 ad oggi.

Sebbene i sensori del satellite non possono misurare direttamente il permafrost, un recente progetto della Climate change initiative (Cci, iniziativa per il cambiamento climatico) dell’Esa ha combinato dati in situ con le misurazioni da satellite della temperatura della superficie terrestre e della copertura del suolo, per stimare l’estensione del permafrost nell’Artico.

Lo scioglimento del permafrost potrebbe avere inoltre causato il crollo di un serbatoio di carburante che ha riversato più di 20.000 tonnellate di olio nei fiumi vicino alla città di Norilsk, Russia, a maggio.

L’ondata di caldo siberiana è stata riconosciuta aver contribuito ad accelerare il ritrarsi del ghiaccio marino lungo la costa artica russa. L’inizio dello scioglimento è avvenuto fino a 30 giorni prima della media nei mari di Laptev e di Kara, fatto che è stato collegato, in parte, alla persistente alta pressione del livello del mare sopra la Siberia e a una calda primavera da record nella regione.

Secondo il servizio Copernicus sul cambiamento climatico, l’estensione del ghiaccio marino artico a luglio 2020 era alla pari con il precedente minimo di luglio del 2012 – quasi il 27% al di sotto della media 1981-2000.

di Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana