I governi spendono 5,3 trilioni di dollari all’anno in sussidi ai combustibili fossili

Lagarde (Fmi): «Il momento per una carbon tax mondiale è ora»

Lord Nicholas Stern: «Agire per non rinchiuderci da soli in modelli di sviluppo insostenibili»

[9 Ottobre 2015]

Intervenendo all’annual meeting del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca Mondiale, tenutosi a Lima, la direttrice dell’Fmi,  Christine Lagarde, ha detto che «il cambiamento climatico è ormai una questione macro-critica» e ha chiesto ai Paesi del mondo di adottare una carbon tax. La definizione di “macro-criticità” è importante, perché, come spiegano da Sierra Club – una delle più importanti associazioni ambientaliste statunitensi – l’Fmi definisce in questo modo i problemi fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi del programma macroeconomico o per  l’attuazione di specifiche disposizioni dello stesso Fondo monetario.

Steve Herz, senior attorney dell’International climate program di Sierra Club, ha dichiarto a ThinkProgress che «l’Fmi ha correttamente riconosciuto, dopo aver assunto un atteggiamento più sobrio rispetto alle gravi minacce per la stabilità a lungo termine di tutti i Paesi, che il cambiamento climatico pone minacce per la stabilità e la vitalità delle economie di tutto il mondo».

Quella di Lima è l’ultima di una serie di dichiarazioni dell’Fmi sui danni economici causati da sistemi che supportano i combustibili fossili. Il Fondo monetario internazionale – il cui scopo primario è quello di “garantire la stabilità del sistema monetario internazionale” – ha fatto scalpore all’inizio di quest’anno, quando ha rivelato che i governi spendono 5,3 trilioni di dollari (5.300.000.000.000 $) all’anno in sussidi per combustibili fossili.

Secondo Herz, «il programma completo per il cambiamento climatico della Lagarde per l’Fmi è storico, sia per il suo contenuto che per la sua tempistica, prima dei negoziati internazionali sul clima a Parigi». La Lagarde a Lima ha fatto un altro passo avanti e, intervenendo il 7 ottobre alle Conversation on Climate Change ha affermato che «ora è il momento di eliminare gradualmente le sovvenzioni per l’energia. L’Fmi, che svolge la sua missione attraverso il monitoraggio, il prestito e l’assistenza tecnica, non può investire direttamente. Quello che possiamo certamente fare è  fornire un forte sostegno per interventi come la rimozione di sovvenzioni che in realtà vanno nelle tasche sbagliate. Quello che possiamo fare è fornire ai Paesi gli strumenti per fissare effettivamente il prezzo giusto, comprensivo delle esternalità».

Così non solo si apre la strada alla carbon tax, ma si tagliano le sovvenzioni ai combustibili fossili, come gli incentivi fiscali agli Stati Usa (e non solo) per l’esplorazione petrolifera e gasiera. Certo la carbon tax  è più difficile a far digerire, anche se, secondo il rapporto “Implementing Effective Carbon Pricing” di New Climate Economy, già oggi  40 Paesi e più di 20 città, Stati e regioni statunitensi, canadesi, cinesi e giapponesi hanno dato un prezzo alle emissioni di carbonio  e coprono circa il 12% delle emissioni di gas serra,  una percentuale che potrebbe schizzare verso l’alto se, dopo la sperimentazione in corso, anche la Cina adotterà un sistema simile all’Emission trading system dell’Unione europea (Eu Ets).

Anche se lo stesso Eu Ets ha mostrato diversi problemi (che da tempo approfondiamo anche all’interno del think tank della nostra redazione, Ecoquadro) e deve essere riformato, il rapporto di New Climate Economy sottolinea che «il carbon pricing funziona e avrebbe funzionato ancora meglio se i governi avessero alzato i costi per gli inquinatori».

Anche negli Usa non mancano gli esempi di carbon tax che funzionano, come la Regional Greenhouse Gas Initiative (Rggi), alla quale aderiscono 9 stati del nord-est, che avrebbe fatto crescere l’economia locale per  1,3 miliardi di dollari e fatto risparmiare 460 milioni di dollari in bolletta ai consumatori.

Per la strutturazione di un carbon pricing “globale”, la Lagarde sembra pensare ad esempi come i ricavi della Rggi, fondi statali che sostengono gli investimenti in programmi di efficienza energetica ed energia pulita: un fondo derivante dalle cabon tax nazionali che venga investito a  livello internazionale per sostenere le energie rinnovabili nei Paesi in via di sviluppo, ai quali sono stati promessi 100 miliardi di dollari per aiutarli a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.

Ma per anni gli economisti statunitensi hanno chiesto una neutral carbon tax, un programma che prevede che gli emettitori di CO2 vengano tassati, ma che il denaro vada nelle casse del governo, ma venga restituito ai consumatori, possibilmente sotto forma di rimborso fiscale. Visto che non porterebbe dollari allo Stato, la neutral carbon tax fa l’occhiolino ai fan del liberismo, ma anche gli ambienalisti possono vederci un deterrente efficace al continuo investimento in fonti di energia ad alta intensità di carbonio.

Ma, qualunque sia la soluzione – statalista o liberista – in questo momento  i sostenitori del carbon pricing vogliono battere il ferro finché è caldo (e i prezzi energetici sono bassi). Il rapporto di New Climate Economy sottolinea dunque che «ora le condizioni sono particolarmente favorevoli sia per i prezzi del carbonio che per una riforma delle sovvenzioni al consumo di combustibili fossili, a causa del calo dei prezzi del petrolio a livello mondiale nel corso dell’ultimo anno, in combinazione con i prezzi più bassi del gas e del carbone».

«E’ il momento giusto per introdurre carbon prices in tutto il mondo – chiosa lord Nicholas Stern, co-presidente della Global Commission on the Economy and Climate, la casa madre di New Climate Economy – ma anche per perseguire misure complementari, come la riforma dei sussidi ai combustibili fossili, che agiscono come carbon prices negativi. L’economia mondiale sta attraversando un periodo straordinario di transizione e dobbiamo agire ora per evitare di rinchiuderci da soli in modelli di sviluppo insostenibili».