La maggior parte delle notizie dei giornali sui cambiamenti climatici ora è accurata

Ma i giornali conservatori pubblicano ancora inesattezze ed emerge un nuovo negazionismo più subdolo per ritardare l’azione climatica

[26 Agosto 2021]

Buone notizie: secondo il recente studio “Balance as bias, resolute on the retreat? Updates & analyses of newspaper coverage in the United States, United Kingdom, New Zealand, Australia and Canada over the past 15 years”, pubblicato recentemente su Environmental Research Letters, «I principali mezzi di stampa di 5 Paesi hanno rappresentato il cambiamento climatico in modo molto concreto, raggiungendo un tasso di precisione del 90% negli ultimi 15 anni».

Secondo gli autori dello studio, guidati da Lucy McAllister della Technische Universität München e dell’università del Colorado – Boulder, «La copertura scientificamente accurata del cambiamento climatico causato dall’uomo sta diventando meno prevenuta, mettendo in evidenza l’idea che la stampa non presenti più il cambiamento climatico come qualcosa di controverso». Ma c’è un ambito nel quale il team ha trovato ancora una copertura parziale: i media conservatori.

Un’autrice dello studio, Meaghan Daly  dell’università del New England – Biddeford ha spiegato che « Sappiamo che in passato, la segnalazione “bipartisan” sui cambiamenti climatici ha perpetuato la percezione imprecisa che vi sia ancora un significativo disaccordo scientifico su questo tema. La buona notizia è che questo studio dimostra che nei media della carta stampata, questo tipo di segnalazione problematica è in gran parte caduta nel dimenticatoio».

La McAllister  concorda: « Due decenni fa, la carta stampata spesso dava pari credito sia agli esperti climatici legittimi che ai negazionisti del clima anomali. Ma negli anni più recenti abbiamo scoperto che i media di tutto il mondo in realtà sono stati dalla parte della ragione la maggior parte delle volte. Tuttavia, i fatti ora superano il dibattito. 9 articoli su 10 sui media hanno riportato accuratamente la scienza sui contributi umani al cambiamento climatico. Non è più presentato come un dibattito a due facce».

I ricercatori hanno analizzato quasi 5.000 articoli pubblicati su 17 dei principali quotidiani di 5 Paesi  – Usa, Regno Unito, Nuova Zelanda, Australia e Canada –  in 15 anni, dal 2005 al 2019, aggiornando così la precedente ricerca di uno degli autori del nuovo studio, Max Boykoff del Cooperative Institute for Research in Environmental Sciences (CIRES) dell’UC – Boulder, che aveva esaminato come la normalità giornalistica del giornalismo “moderato” abbia contribuito a presentare un’immagine distorta della scienza climatica. La McAllister  ricorda che «Molti continuano a citare l’articolo di Max Boykoff e Jules Boykoff del 2004, con dati che terminano nel 2002, come prova dei pregiudizi persistenti nei media. Era assolutamente necessaria un’analisi aggiornata».

Il team di ricerca ha letto gli articoli per determinare se ognuno trasmettesse il punto di vista del consenso scientifico secondo cui il cambiamento climatico è causato principalmente dall’uomo e ne è venuto fuori che 2.397 articoli hanno rappresentato con precisione la causa principalmente umana del cambiamento climatico, 150 hanno offerto un falso equilibrio e 113 hanno espresso punti di vista contrarian o negazionisti.

Anche se i media di tutto il mondo stanno diventando sempre meno prevenuti quando si tratta di clima, il team ha scoperto che i media conservatori, come il National Post in Canada, il Daily Telegraph e il Sunday Telegraph in Australia e il Daily Mail and Mail on Sunday del Regno Unito, tutti storicamente iper-conservatori e liberisti, hanno una copertura molto meno accurata dei cambiamenti climatici.

Il National Post ha avuto la copertura meno accurata, con circa il 71% di articoli che riflette il consenso scientifico sulla causa del cambiamento climatico. I giornali di destra hanno anche pubblicato meno articoli sulle  causa del cambiamento climatico.

La copertura più accurata c’è stata da parte dei giornali progressisti: il canadese Toronto Star (97,37%) e i britannici The Guardian e Observer (95%) che ha avuto anche il maggior numero di articoli analizzati.

Dallo studio emerge che «Anche gli eventi mondiali hanno influenzato l’accuratezza dei media: la copertura mediatica era significativamente meno accurata nel 2010 subito dopo lo scandalo dell’hacking delle e-mail dell’università dell’East Anglia alla fine del 2009 e i negoziati delle Nazioni Unite sull’Accordo di Copenaghen. E la copertura è stata significativamente più accurata nel 2015, durante il periodo dei negoziati dell’Accordo di Parigi».

Boykoff  conferma: «In questi  print outlets i rapporti accurati hanno ampiamente superato quelli imprecisi, ma questo non è motivo di compiacimento. Negli ultimi anni il terreno del dibattito sul clima si è fortemente postato dalla semplice negazione dei contributi antropici al cambiamento climatico a un indebolimento più sottile e continuo del sostegno alle politiche specifiche volte ad affrontare in modo sostanziale i cambiamenti climatici».

I ricercatori sottolineano che «Le persone raramente leggono ricerche scientifiche sui cambiamenti climatici sottoposte a peer-reviewed ed è più probabile che ne vengano a conoscenza attraverso i media. Pertanto, studi come questo sono fondamentali per comprendere come vengono seguite le ricerche scientifiche e le politiche in corso nella sfera pubblica. Ci sono anche altre pressioni concorrenti che modellano la nostra consapevolezza del cambiamento climatico, come le conversazioni con familiari e amici, l’intrattenimento e leader di cui ci si fida».

I risultati dello studio suggeriscono che l’analisi dei media deve andare oltre la nozione di falso equilibrio. La McAllister fa notare che «La maggior parte dei principali mezzi della stampa potrebbe riferire accuratamente i cambiamenti climatici, ma sorgono nuove domande, come ad esempio il modo in cui vengono discusse le soluzioni. Quali idee stanno avendo più testo o copertura in prima pagina e perché? Inoltre, i ricercatori dovrebbero esaminare i tipi di copertura nei Paesi che affrontano gli impatti più estremi del nostro cambiamento climatico».

Per la Daly, oltre a esaminare la rappresentazione del cambiamento climatico in televisione e sui social media, i ricercatori dovrebbero prestare attenzione a nuove e più sottili forme di negazionismo: «Dato che  è diventato più difficile negare l’esistenza del cambiamento climatico – poiché sempre più persone osservano direttamente gli impatti del cambiamento climatico nella loro vita quotidiana – invece, stanno emergendo nuove strategie per ritardare un’azione climatica significativa. Quindi, per i ricercatori sarà importante esaminare i modi più subdoli con i quali gli oppositori dell’azione climatica stanno lavorando per minare gli sforzi per affrontare le cause e le conseguenze del cambiamento climatico».

Boykoff conclude: «Raggiungere una copertura mediatica costantemente accurata non è ancora la soluzione proiettile d’argento per innescare un’azione collettiva. Il nostro lavoro aiuta a fornire approfondimenti su come i media stanno descrivendo i contributi umani al cambiamento climatico, ma questo deve essere fatto in modo più chiaro».