La Coppa del mondo di Rugby e l’ingiustizia climatica

Le isole del Pacifico devono affrontare i brutali assalti climatici dei Paesi sviluppati

[20 Settembre 2019]

Oggi in Giappone prende il via la coppa del Mondo di Rugby proprio mentre il tifone faxai porta morte e distruzione e  i ragazzi di tutto il mondo iniziano gli scioperi globali per il clima. Una situazione che Cristian Aid ha riassunto efficacemente nel rapporto “World in disunion: Climate change and the Rugby World Cup”  che mette in evidenza come tre dei paesi più piccoli Paesi che prendono parte alla Coppa del Mondo di Rugby, Figi, Tonga e Samoa, sono minacciati dell’eccessivo consumo di combustibili fossili di alcuni dei Paesi più ricchi partecipanti alla manifestazione, come Australia, Stati Uniti, Giappone e i Paesi europei, Italia compresa.

Secondo l’ONG religiosa britannica, «Questa ingiustizia climatica rispecchia quella del rugby mondiale in cui questi stessi Paesi vanno a caccia dei migliori giocatori delle Isole del Pacifico ed escludono tuttavia quei Paesi dal processo decisionale e hanno persino proposto di escludere Figi, Tonga e Samoa dai futuri maggiori tornei. Sia che si tratti di giocatori attuali come Manu Tuilagi dell’Inghilterra e Talupe Faletau del Galles o di grandi del passato come Jonah Lomu della Nuova Zelanda, Lote Tuqiri dell’Australia, Pat Lam di Samoa e Waisale Serevi delle Fiji, i giocatori polinesiani hanno arricchito le nazionali del rugby di tutto il mondo».

“World in Disunion” mostra come le isole del Pacifico stanno affrontano un assalto climatico mentre il mondo si riscalda, mentre le nazioni più ricche di rugby bloccano i progressi per affrontare il cambiamento climatico e cristiana id fa l’elenco dei giganteschi problemi che devono affrontare queste piccole nazioni insulari e i loro piccoli popoli: « Gli oceani più caldi e più acidi, a causa dei livelli più elevati di anidride carbonica prodotta dai combustibili fossili, uccidono le barriere coralline dalle quali dipendono popolazioni di pesci e comunità di pescatori. L’aumento del livello del mare inghiottirà la terra, aumenterà le inondazioni e salinizzerà le riserve idriche. E’ inoltre probabile che la regione subisca più tempeste di livello da 3 a 5, come il ciclone Gita dell’anno scorso, che è stato il ciclone tropicale più forte a colpire Tonga da quando sono si sono iniziati a raccogliere i dati. Gli impatti dei cambiamenti climatici minacciano di minare le economie insulari, scoraggiando i turisti, rendendo la vita sempre più dura e allontanando i giovani, mettendo a dura prova la capacità di quei Paesi di schierare squadre di rugby competitive. I ricercatori avvertono che, a seguito del cambiamento climatico, è possibile una migrazione di massa dalle isole nei prossimi decenni. – Uno studio ha suggerito che, entro il 2050, nella regione fino a 1,7 milioni di persone potrebbero essere costrette a trasferirsi dalle loro case a causa dei cambiamenti climatici. Entro tale data ci saranno solo altri 8 Mondiali di Rugby: meno dei 9 che sono già stati giocati».

Il samoano Jonathon Sauaga Fa’amatuainu, più conosciuto come Jonny Fa’amatuainu, terza ala di fama internazionale, nazionalizzato neozelandese e che ha giocato nel Bath Rugby in Inghilterra e per club gallesi e giapponesi, ha detto: «Il nostro pianeta sta affrontando un’emergenza climatica. Luglio 2019 è stato il mese più caldo mai registrato. Il 2019 è sulla buona strada per essere l’anno più caldo mai registrato. Gli impatti climatici sono ovunque guardiamo, dall’accelerazione della fusione del ghiaccio in Groenlandia, agli uragani sempre più selvaggi nell’Atlantico e alle gravi siccità in Australia. Come giocatore di rugby nelle isole del Pacifico, affrontare la crisi climatica mi tocca da molto vicino. Due anni fa, a causa dei cambiamenti climatici, i miei nonni e altre famiglie che vivevano in un villaggio sulla costa delle Samoa si trasferiti nell’entroterra. Le isole del Pacifico sono l’anima del nostro sport e abbiamo prodotto alcuni dei giocatori più dinamici ed entusiasmanti del pianeta. Tuttavia, come sottolinea questo rapporto, Samoa, Tonga e Figi stanno affrontando rischi sempre più elevati a causa dell’innalzamento del livello del mare e delle condizioni meteorologiche estreme. Il cambiamento climatico è una crisi che non hanno causato questi Paesi, ma è una lotta per la quale soffrono di più. È una lotta per la quale hanno bisogno dell’aiuto della comunità del rugby per vincerla. Mentre la Coppa del mondo di rugby prende il via, i leader mondiali saranno a New York per un summit globale sul clima ospitato dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres che ha chiesto ai governi di fare di più per proteggere i più vulnerabili e quei governi possono e dovrebbero fare di più. Degli isolani del Pacifico che rappresentano altri Paesi alla Rugby World Cup, li  esorto a utilizzare quel palcoscenico per aiutarci nella la sfida climatica».

Ma, da quanto si apprende dalla stampa, i giocatori di Australia e Giappone non sono autorizzati a parlare di nient’altro che riguardi il mondiale di rugby, quindi niente clima e niente adesione all’appello Onu a smettere di costruire centrali a carbone.

Il rapporto dimostra anche che le Isole del Pacifico stanno sopportando il peso maggiore del cambiamento climatico ma hanno fatto pochissimo  per causarlo, mentre le altre nazioni della Coppa del Mondo sono tra le più inquinanti del pianeta. Le Figi producono solo 1,6 tonnellate di Co2 procapite, Tonga 1.3 e Samoa 0,7 mentre l’Australia ne produce 16,5, gli Stati Uniti 15,7, la Russia 12,3, il Giappone 10,4 e l’Irlanda 8,2 come il Sudafrica, la Nuova Zelanda 7,8, l’Italia 6,1, la Gran Bretagna5,7 e la Francia 5,2 . Questo significa che un australiano medio produce 24 volte più CO2 di un samoano. E due dei peggiori inquinatori del mondo, Russia e Giappone apriranno la Coppa del Mondo di Rugby.

Secondo una valutazione fatta da Climate Action Tracker, un consorzio di organizzazioni per la ricerca sul clima e l’energia, tutti i 12 n maggiori inquinatori che partecipano al torneo hanno piani insufficienti per ridurre le emissioni. Un’ingiustizia climatica che è ad agosto stata messa a nudo durante il meeting del Pacific Forum che ha rischiato il fallimento completo dopo l’intransigenza mostrata dal governo conservatore e negazionista climatico australiano sulle sue politiche pro-carbone e sui cambiamenti climatici. Il vice primo ministro australiano, Michael McCormack del National Party, ha detto che gli Stati insulari del Pacifico sopravvivono solo raccogliendo i frutti dell’Australia: «Mi è venuto un po’ a noia vedere delle persone in quel tipo di Paesi che puntano il dito contro l’Australia e dicono che dovremmo chiudere tutti i nostri settori delle risorse in modo che, sapete, loro continueranno a sopravvivere. Continueranno a sopravvivere perché molti dei loro lavoratori vengono qui e raccolgono i nostri frutti».

Un nazionalista di destra e xenofobo come McCormack non poteva riassumere meglio il pensiero di una classe dirigente australiana che ha cancellato il proprio passato coloniale e il fatto che l’Australia sia nata impossessandosi di risorse e terre che appartenevano ai popoli aborigeni che oggi tratta da parassiti e rompiscatole climatici. Patricia Mallam, una attivista figiana di 350.org Pacific, ha ribattuto:  «Indipendentemente dall’opinione piuttosto scarsa che il vice primo ministro australiano ha sulle stesse persone che lavorano per fare in modo che gli australiani abbiano cibo sulla loro tavola, come attivista contro il crisi climatica, scelgo di concentrarmi sulla questione più pericolosa per la vita, che è l’inazione da parte dei paesi che continuano a sostenere l’industria dei combustibili fossili. E il ricatto di continuare a sostenere le operazioni di estrazione del carbone e poi presentare offerte di aiuto al meeting regionale per compensare tutto questo, è un’ingiustizia assoluta».

La principale autrice del rapporto, Katherine Kramer, global climate lead di Christian Aid, ha evidenziato che «il cambiamento climatico è il problema dell’ingiustizia finale e da nessuna parte è dimostrato più chiaramente che riguardo alle nazioni che partecipano alla Coppa del Mondo di Rugby.  Le nazioni insulari del Pacifico sono tra le più vulnerabili al mondo e non hanno fatto quasi nulla per causare la loro situazione. I principali colpevoli della causa della crisi climatica sono le nazioni europee e i principali bruciatori di carbone come Australia, Stati Uniti e Giappone. Non solo hanno causato l’attuale disastrosa situazione, ma stanno anche ostacolando la necessaria transizione verso un’economia zero-carbon. L’inno della Coppa del mondo di rugby è “World in Union” Il testo dice: “Dobbiamo attraversare mari agitati, dobbiamo prendere il nostro posto nella storia e vivere con dignità”. Per i più vulnerabili nelle isole del Pacifico i mari agitati rappresentano una minaccia crescente per la loro capacità di vivere con dignità. Ciò di cui abbiamo bisogno è che i leader dei Paesi ricchi prendano davvero il loro posto nella storia e si impegnino a ridurre le loro emissioni di CO2 all’UN climate summit a New York».

Il tifone Faxai ha reso evidente il legame tra clima e Coppa del Mondo di Rugby: ha colpito okyo causando morte e devastazione, quasi un milione di persone sono rimaste senza energia e la gigantesca tempesta tropicale ha ritardato la partenza della squadra australiana di rugby per i Mondiali e ha bloccato la squadra inglese all’aeroporto di Tokyo.

Cristian Aid non demorde. «Nonostante i progressi vergognosamente lenti di alcuni Paesi nella lotta ai cambiamenti climatici, i leader mondiali avranno l’opportunità di migliorare il loro gioco la prossima settimana nel vertice speciale a New York ospitato dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. Il Climate Action Summit si svolgerà il 23 settembre con Guterres che invita i leader a rafforzare i loro impegni».