La carbon bomb: l’impatto climatico da perdita di foreste tropicali vergini è il 626% in più di quanto si credesse

Progetti come REDD+ si basano su convinzioni e che fanno perdere grosse opportunità

[31 Ottobre 2019]

Il nuovo studio “Degradation and forgone removals increase the carbon impact of intact forest loss by 626%”, pubblicato su Science Advances da un team di ricercatori australiani, britannici, statunitensi e canadesi afferma che «Gli impatti del carbonio causati dalla perdita di foreste tropicali intatte sono stati gravemente sottostimati».

Lo studio, frutto della Forest for Life Partnership che sostiene la Trillion Trees vision che punta a piantare entro il 2050 un trilione di alberi in tutto il mondo, ha messo insieme i dati sulla foresta tropicale vergine andata persa tra il 2000 e il 2013, dimostrando così un incredibile aumento del 626% degli impatti netti a lungo termine del carbonio fino al 2050. Il totale rivisto equivale a due anni di tutte le emissioni globali prodotte dai cambiamenti nell’utilizzo del suolo .

Gli autori dello studio, provenienti da Wildlife Conservation Society (WCS), università del Queensland, Maryland e della Northern British Columbia University of Oxford, Zoological Society of London, World Resources Institute, hanno scoperto che il taglio delle foreste tropicali vergini ha portato a solo il 3,2% delle emissioni lorde di carbonio di tutta la deforestazione tropicale, ma quando hanno preso in considerazione l’ammontare completo del carbonio, che prende in considerazione la rimozione del carbonio dimenticata (lo stoccaggio del carbonio che si verificherebbe annualmente nel futuro se la foresta disboscata o degradata fosse rimasta intatta dopo l’anno 2000), il disboscamento selettivo, gli effetti sulle atre limitrofe e declino delle specie di alberi ad alta densità di carbonio specie a causa della caccia agli animali che disperdono i semi, hanno scoperto che «la cifra saliva alle stelle di un fattore di oltre 6 volte».

Secondo il principale autore dello studio, Sean Maxwell, della WCS e dell’università del Queensland, «I nostri risultati rivelano che la continua distruzione di foreste tropicali vergini è una bomba a orologeria per le emissioni di carbonio. C’è un urgente bisogno di salvaguardare questi territori perché svolgono un ruolo indispensabile nello stabilizzare il clima».

Secondo stime del 2013, rimangono 549 milioni di acri di foreste tropicali vergini. Solo il 205 delle foreste tropicali può essere considerato “intatto”, ma questi habitat stoccano circa il 40% carbonio fuori terra che si trova in tutte le foreste tropicali. Gli autori dello studio fanno notare che «La conservazione delle foreste intatta raramente attira finanziamenti dai programmi designati ad evitare cambiamenti nell’utilizzo del suolo e della copertura del suolo e delle emissioni nei Paesi in via di sviluppo».

Alla WCS spiegano che «In particolare, l’approccio Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation (REDD+) consente ai Paesi in via di sviluppo di ricevere incentivi finanziari per migliorare gli stock di carbonio o evitare la perdita di carbonio che altrimenti verrebbe emessa a causa dei cambiamenti dell’utilizzo del suolo e della copertura del suolo. Tra le altre attività, REDD copre il sostegno alla conservazione delle foreste non immediatamente minacciate ed è stato formalmente adottato dalle parti della United Nations Framework Convention on Climate Change nel 2008 in occasione della 14esima Conferenza delle Parti in Polonia. Da allora, tuttavia, il sostegno finanziario e l’attuazione si sono concentrati principalmente su aree con alti tassi storici di deforestazione (ad esempio le “frontiere della deforestazione”). Si ritiene che ciò comporti riduzioni delle emissioni più immediate e più chiaramente dimostrabili rispetto alla conservazione di aree forestali intatte. Quest’ultime tendono a essere trattato come una fonte trascurabile di emissioni e risultano di un livello più ridotto e conservativo rispetto a quello a cui opera REDD+». Convinzioni che lo studio ritiene sbagliate e che fanno perdere grosse opportunità.

Un altro autore dello studio, Tom Evans della WCS, sottolinea che «Il valore relativo del mantenimento di aree forestali tropicali vergini aumenta se si assume una visione a più lungo termine e si considera il probabile stato delle foreste del mondo entro la metà del secolo: una pietra miliare dell’Accordo di Parigi. L’espansione agricola, il disboscamento, le infrastrutture e gli incendi hanno ridotto l’estensione globale delle foreste intatte del 7,2% tra il solo 2000 e il 2013, ma le eventuali emissioni di carbonio sbloccate da queste perdite non sono state valutate in modo esauriente».

Lo studio evidenzia che «E’ necessaria un’analisi comparabile per le foreste vergini al di fuori dei tropici, come le foreste boreali di Canada e Russia, dato che circa la metà o i due terzi dello stoccaggio del carbonio negli ecosistemi intatti della Terra avvengono al di fuori dei tropici. Senza questo servizio di pulizia globale, la CO2 prodotta dalle attività umane si accumulerebbe nell’atmosfera in modo marcatamente più veloce di quanto non faccia attualmente.

Un co-autore dello studio, James Watson della WCS e dell’università del Queensland, aggiunge: <Chiaramente, il potenziale di mitigazione climatica della conservazione delle foreste vergini è significativo, ma senza un’azione proattiva di conservazione da parte dei governi nazionali, sostenuta dalla comunità globale, questo potenziale continuerà a diminuire».

In almeno il 35% delle foreste intatte studiate vivono popolazioni indigene che le proteggono. Le foreste vergini forniscono anche livelli eccezionali di molti altri servizi ambientali: proteggono i bacini idrografici molto meglio delle foreste degradate, restituiscono umidità all’aria che cade sotto forma di pioggia in regioni distanti, danno rifugio a un gran numero di specie evitandone l’estinzione. Rispetto alle foreste che sono degradate da attività antropiche su vasta scala, le foreste intatte sono più resistenti a shock come gli incendi e la siccità e di solito sono meno accessibili al disboscamento e alla conversione agricola, rendendole uno dei migliori strumenti ambientali di fronte a un clima in rapido cambiamento.