Nascite a minimi storici, l’Italia si ferma a 58,8 mln di abitanti perdendone 179mila in un anno

Istat: la crisi climatica uccide, accelerando il declino della popolazione italiana

«I cambiamenti climatici stanno assumendo rilevanza crescente anche sul piano della sopravvivenza, nel contesto di un Paese a forte invecchiamento»

[7 Aprile 2023]

Dopo gli allarmi lanciati a più riprese negli ultimi anni, sia dall’Istituto superiore di sanità sia dal ministero della Salute, l’Istat conferma oggi che la crisi climatica in corso sta giocando un ruolo crescente nel declino della popolazione nazionale, contribuendo alla morte dei soggetti più fragili.

Nel nuovo rapporto sugli indicatori demografici, pubblicato oggi e incentrato sui dati dell’ultimo anno, l’Istituto nazionale di statistica documenta che la popolazione residente in Italia al 1° gennaio 2023 è pari a 58 milioni e 851mila unità, 179mila in meno sull’anno precedente.

Nel corso del 2022 ci sono stati infatti meno di 7 neonati e più di 12 decessi per 1.000 abitanti, mentre il saldo migratorio – nonostante una lieve crescita degli stranieri residenti, oggi pari a poco più di 5 mln di persone (l’8,6% della popolazione) – non è riuscito a compensare l’effetto negativo del pesante bilancio della dinamica naturale.

Nel frattempo l’Italia continua a invecchiare. La speranza di vita alla nascita nel 2022 è stimata in 80,5 anni per gli uomini e in 84,8 anni per le donne, seppure si siano persi sei mesi rispetto al periodo pre-pandemico.

«Sebbene il rallentamento della speranza di vita delle donne rispetto agli uomini costituisca un processo ravvisabile già in anni precedenti la pandemia, quest’ultima può aver acuito il trend. L’impatto della crisi sul sistema sanitario, e la conseguente difficoltà nella programmazione di visite e controlli medici, potrebbero esser state particolarmente forti per le donne, più inclini degli uomini a fare prevenzione», spiegano dall’Istat.

Ma c’è un altro fattore, oltre alla pandemia, che sta contribuendo a mietere vite: la crisi climatica e il conseguente aumento degli eventi meteo estremi, cresciuti del 55% solo nel 2022 secondo i dati Legambiente.

Nel 2022 il numero più alto dei decessi in Italia «si è avuto in concomitanza dei mesi più rigidi, gennaio e dicembre, e nei mesi più caldi, luglio e agosto. In questi soli quattro mesi si sono osservati 265mila decessi, quasi il 40% del totale, dovuti – sottolinea l’Istat – soprattutto alle condizioni climatiche avverse che hanno penalizzato nella maggior parte dei casi la popolazione più anziana e fragile, composta principalmente da donne».

Non è la prima volta che accade: «Situazioni analoghe si erano già verificate in passato, quando l’eccesso di mortalità rispetto all’anno precedente era dovuto all’elevato numero di decessi dei mesi estivi e invernali […] Se si esclude il 2020, contraddistinto dall’impatto pandemico, è opportuno rilevare che delle quattro annualità sin qui riconosciute come caratterizzate da livelli di mortalità superiori all’atteso ben tre (2015, 2017, 2022) siano concentrate nell’arco di soli otto anni, mentre una soltanto (2003) risalga a venti anni fa. Un segnale, apparentemente inequivocabile, di quanto i cambiamenti climatici stiano assumendo rilevanza crescente anche sul piano della sopravvivenza, nel contesto di un Paese a forte invecchiamento».

Paese che però non sta facendo abbastanza per contribuire a risolvere la crisi climatica: nell’ultimo anno le emissioni di CO2 sono anzi tornate ad aumentare, ampliando il ritardo nel percorso di decarbonizzazione indicato dall’Ue per il 2030.

L. A.