Uno studio internazionale coordinato dai ricercatori dell’università di Pisa

Ipossia e acidificazione mettono a rischio la salute dei mari e il clima del pianeta

I depositi di carbonio nei fondali marini sono minacciati dai cambiamenti climatici e dall'attività umana

[10 Ottobre 2019]

Secondo lo studio “Ocean acidification and hypoxia alter organic carbon fluxes in marine soft sediments” pubblicato su Global Change Biology «Si chiamano ipossia e acidificazione i due pericoli che insieme possono minacciare gravemente la salute degli oceani e l’intero clima del nostro pianeta. L’unione di questi due stress ambientali di origine antropica è infatti in grado di minare l’equilibrio dei fondali marini, un ecosistema fragile ma fondamentale per contribuire alla cattura ed al sequestro di CO2 dall’atmosfera».  Alcuni organismi marini non sono in grado di far fronte contemporaneamente all’aumento di biossido di carbonio e bassi livelli di ossigeno, un rischio ambientale è stato per la prima volta messo a fuoco da un team di ricercatori coordinato dall’università di Pisa e. a una ricerca – finanziata in parte dal ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca attraverso il progetto Tetris – condotta da Chiara Ravaglioli e Fabio Bulleri del Dipartimento di biologia dell’ateneo pisano, in collaborazione con il Saskia Rühl della Southampton University, Helen Findlay, Stephen Widdicombe e Ana Queirós del Plymouth Marine Laboratory, e Sophie J. McCoy della Florida State University.

Secondo i ricercatori «A minacciare l’equilibrio dei fondali marini sarebbe proprio l’azione congiunta di questi due fenomeni in gran parte dipendenti dalle attività umane. L’acidificazione corrisponde infatti ad un aumento della concentrazione di CO2 nei mari provocato da un incremento delle emissioni di CO2 nell’atmosfera; l’ipossia è invece un fenomeno che deriva da una diminuzione di ossigeno negli oceani causato da accumulo eccessivo di nutrienti, legato per esempio all’uso dei fertilizzanti in agricoltura».

Al Plymouth Marine Laboratory fanno notare che «Se esposti a una combinazione di aumento di CO2 e dell’ipossia, non vi è stato alcun aumento dell’assorbimento di carbonio da parte degli organismi. Ciò indica che gli organismi non sono in grado di gestire entrambi i fattori di stress in tandem. Quindi, anche un evento ipossico a breve termine potrebbe indebolire le capacità degli organismi di resistere in condizioni di aumento di CO2 nell’oceano».

La ricerca ha anche esaminato gli impatti dei fattori di stress sul sedimento e sui flussi di carbonio che vi hanno luogo e i ricercatori dicono che «Sia l’ipossia che l’aumento di CO2 hanno portato alla sepoltura di più carbonio nei sedimenti, a causa dei cambiamenti nei processi metabolici degli organismi e della minore qualità dei nutrienti. Ciò potrebbe avere un impatto notevole sui cicli biogeochimici, che potrebbero persino portare all’espansione di queste zone a basso contenuto di ossigeno».

La Ravaioli, autrice principale dello studio, spiega che «Eventi di ipossia, come quello simulato nel nostro studio, si osservano frequentemente lungo le zone marine costiere e la previsione è che si intensifichino ulteriormente a causa dei cambiamenti climatici. Valutarne gli effetti legati all’azione simultanea dell’acidificazione è quindi fondamentale per capire come gli ecosistemi marini risponderanno a queste condizioni in un possibile scenario futuro».

All’università di Pisa sottolineano che «Per condurre la sperimentazione, i ricercatori hanno utilizzato dei “mesocosmi” di ultima generazione, cioè dei laboratori in cui vengono simulate le condizioni degli ecosistemi marini. Durante i test, gli scienziati hanno marcato le alghe con carbonio-13 per seguire il flusso di carbonio, dalla sua assunzione da parte degli invertebrati marini sino al successivo accumulo nel sedimento».

Bulleri evidenzia che «I risultati della nostra ricerca forniscono indicazioni importanti per la gestione dei sistemi marini, Ad esempio, la riduzione di uno stress che agisce su scala locale o regionale, come ad esempio un apporto eccessivo di nutrienti, può mitigare gli impatti del cambiamento climatico come l’acidificazione sui sedimenti marini».

La Ravaglioli, che ha completato le sue ricerche al Plymouth Marine Laboratory , aggiunge. «Gli invertebrati marini sono i fattori chiave del ciclo del carbonio nei sedimenti molli. Nonostante il crescente numero di fattori di stress che agiscono contemporaneamente sui sistemi marini, gli impatti cumulativi dei fattori di stress umani sulle comunità bentoniche molli e i processi ecosistemici che mediano rimangono in gran parte sconosciuti. Prendendo in considerazione i processi bentonici guidati dalla fauna e contribuendo a mettere a punto strategie di gestione adeguate di fronte ai cambiamenti climatici. i risultati del nostro studio aumentano la nostra comprensione degli impatti di molteplici fattori di stress sui flussi di carbonio nei sedimenti marini».

La Queirós, Senior benthic ecologist del Plymouth Marine Laboratory che ha collaborato strettamente con la Ravaglioli, conclude: «Questo studio mette in evidenza la rilevanza degli ecosistemi dei sedimenti per una nostra più ampia comprensione della regolamentazione del clima, nonché di come il cambiamento climatico incida sul feedback degli habitat dei fondali marini per poi influire sul clima, attraverso il ciclo del carbonio alterato. Ancora non comprendiamo appieno la capacità dell’oceano di immagazzinare carbonio, e quindi potremmo inavvertitamente contribuire ad esacerbare i cambiamenti climatici attraverso attività umane che incidono sugli habitat dei fondali marini. Ma comprendendo in modo più completo questi processi che collegano gli habitat dei fondali marini, lo stoccaggio del carbonio e il clima, attraverso ricerche come questa, possiamo utilizzare meglio le risorse a nostra disposizione per aiutare ad affrontare i cambiamenti climatici e proteggere gli ecosistemi marini».

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