In Bangladesh ci sono già 6 milioni di profughi climatici

Una grande sfida per lo sviluppo: la maggioranza dei migranti climatici è senzatetto e vive in povertà estrema

[3 Gennaio 2022]

Mentre il cambiamento climatico sta costringendo sempre più persone ad abbandonare i luoghi in cui vivevano, il Bangladesh deve affrontare la difficile sfida di promuovere condizioni di vita dignitose per i migranti continuando a perseguire lo sviluppo socio-economico. Shakhawat Hossain, che insegna  Disaster Science and Management all’università di Dhaka, ha spiegato all’agenzia stampa turca governativa Anadolu che  «Se una parte della popolazione conduce una vita agiata, mentre un’altra parte è costretta a vivere in condizioni di povertà o estrema povertà… questo non è vero sviluppo. Dobbiamo andare avanti in modo equilibrato»,

Secondo i dati ufficiali, in Bangladesh attualmente ci sono 6 milioni di migranti climatici su 170 milioni di abitanti e molti di loro vivono in miseria e senza proprietà in diverse baraccopoli, nelle aree a più basso reddito o direttamente per le strade. Secondo gli analisti dicono economici, il governo del Bangladesh dovrebbe prestare attenzione alle terribili condizioni di vita deii migranti climatici e Hossain evidenzia che «Il governo deve affrontare la crisi di un numero così elevato di migranti climatici se vuole raggiungere il suo obiettivo di diventare un Paese a reddito medio entro il 2030 e una nazione sviluppata entro il 2041. Un gran numero migranti climatici hanno perso le loro ex case a causa dell’erosione delle sponde fluviali e questo li ha costretti invece a radunarsi in aree urbane già sovraffollate. Molti di loro hanno perso la casa e le proprietà e non hanno altre fonti di reddito. Di conseguenza, sono emigrati nelle aree urbane, in particolare nelle megalopoli, compresa la capitale Dhaka, nella speranza di guadagnare il minimo per sopravvivere, e un gran numero di loro vive sulle strade, in diverse stazioni di autobus e treni e nelle baraccopoli».

Un migrante climatico del distretto costiero meridionale di Barguna, il sessantenne Mohammad Harun Hawlader ,ha detto all’agenzia Anadolu: «Avevo enormi terreni coltivati ​​e una grande casa vicino alla riva del fiume Baleshwari.  Ma la devastante erosione del fiume mi ha privato di tutto. Ora sono completamente impoverito» e, guardando un panorama fluviale, ha aggiunto: «Voi, la gente, godete principalmente della bellezza naturale stagionale del fiume, ma noi ne conosciamo l’aspetto spettrale. Durante il catastrofico ciclone Sidr, nel 2007, ho perso mia madre, insieme ad altri 7 membri della mia famiglia e tutte le mie proprietà terriere e la mia casa sono state inghiottite dal fiume gigante. Centinaia di altri come me, provenienti a dalla mia località ora sono senzatetto a causa dell’erosione fluviale, molti sono emigrati a Dhaka e in altre città e paesi».

Intervenendo alla 26esima Conferenza delle parti Unfccc di Glasgow il ministro degli esteri del Bangladesh, Shahriar Alam ha avvertito «Il cambiamento climatico costa al mio Paese l’1% del suo PIL ogni anno. L’innalzamento del livello del mare dovuto ai cambiamenti climatici rappresenta una grave minaccia. Entro il 2050, l’innalzamento del livello del mare sommergerà circa il 17% delle terre costiere del Bangladesh e provocherà lo sfollamento di circa 20 milioni di persone. Il mio Paese è settimo nel Global Climate Risk Index 2020 come nazione più rischiosa».

Secondo Hossain, il governo del Bangladesh «Deve decentralizzare le opportunità di sostentamento e altre necessità per coprire i migranti climatici» e ha sottolineato «La necessità di ulteriori ricerche sulla riduzione del rischio di catastrofi, nonché di garantire un’istruzione di qualità per tutti, compresi i migranti, per costruire una nazione climaticamente resilient».

Molti migranti climatici pensano che se il Bangladesh vuole davvero una Paese sviluppato dovrebbe prima migliorare le condizioni di chi è stato scacciato dalle sue terre dal cambiamento climatico, consentendo loro di contribuire all’economia.

Mohammad Shahjahan, un profugo climatico che vive a Korail Bastee, la più grande baraccopoli di  Dhaka,  non viene dal Delta ma dal distretto settentrionale di Tangail da dove è emigrato dopo aver perso la sua casa e la sua terra a causa dell’erosione provocata dal fiume Jamuna quasi un decennio fa. Shahjahan è un piccolo commerciante informale dei  bassifondi che ogni giorno cerca a fatica di guadagnarsi da vivere con i suoi 4 figli ed espone semplicemente e crudamente la differenza tra la propaganda del governo e la realtà quotridiana: «Vediamo storie di sviluppo e progresso in televisione e sui giornali. Ma cosa ho? Se sono povero, non ho alcun interesse per lo sviluppo del Paese».  Dopo aver perso tutto a causa di disastri climatici decine di migliaia di indigenti come lui sono emigrati  a Dhaka e ora vivono in questa mega-baraccopoli dove cresce la rabbia e la disperazione.

Nel settembre 2021, intervenendo al meeting del Global Center on Adaptation (GCA) tenutosi a  Rotterdam, Il ministro degli esteri Momen ha invitato i Paesi ricchi ed emergenti che sono i maggiori emettitori di carbonio ad aiutare ad aiutare il Bangladesh a sostenere i migranti sfollati dalle loro case e privi di mezzi di sussistenza a causa del cambiamento climatico, ma al Paese non arrivano nemmeno tutti i finanziamenti promessi per assistere i campi profughi dei Rohingya fuggiti dal Myanmar a causa dalle persecuzioni dei militari e della destra buddista e la comunità internazionale sembra ritenere i milioni di profughi climatici a ambientali sempre più numerosi in molti Paesi poveri come un loro problema interno, mentre sono un problema globale – del riscaldamento globale –  e il frutto umano avvelenato di uno sviluppo distorto e suicida.