Il sud-est dell’Amazzonia non è più un pozzo di carbonio. Nell’atmosfera non ci sono muri

L'Amazzonia è diventata una fonte di carbonio a causa di incendi, deforestazione e cambiamento climatico

[16 Luglio 2021]

Dopo lo studio “Carbon loss from forest degradation exceeds that from deforestation in the Brazilian Amazon”, pubblicato a maggio su Nature Climate Change da un team internazionale di ricercatori, che evidenziava come, a causa soprattutto del suo degrado, nell’ultimo decennio la foresta pluviale amazzonica abbia emesso più carbonio di quanto ne abbia immagazzinato, il nuovo studio “Amazonia as a carbon source linked to deforestation and climate change”, pubblicato su Nature da un team di ricercatori guidato da  Luciana Gatti dell’Instituto Nacional de Pesquisas Espaciais (INPE) brasiliano,  conferma e amplifica questo allarme evidenziando che «Le regioni amazzoniche con deforestazione intorno al 30% o superiore hanno mostrato un importante cambiamento nella stagione secca (principalmente agosto, settembre e ottobre), che sta diventando più secca, più calda e più lunga, rappresentando un periodo di grande stress per la foresta. Queste regioni avevano un’emissione di carbonio 10 volte maggiore rispetto alle regioni con meno del 20% di deforestazione».

Lo Studio presenta i risultati di 9 anni di ricerca realizzata con circa 600 voli con piccoli aerei (circa 8mila campioni raccolti da 4,4 km di altezza a 300 metri dalla superficie), in 4 località dell’Amazzonia, rappresentative delle regioni nordeste, sudeste, sudoeste e noroeste dell’Amazzonia, e mostra la variazione delle emissioni di carbonio tra le 4 regioni e la sua relazione con la deforestazione e il cambiamento climatico nell’intera regione del sud dell’Amazzonia.

All’INPE spiegano che «Il gruppo di ricerca strategicamente utilizzato un tipo di misura che ha una rappresentazione su scala regionale, dove sono state utilizzate raccolte con aerei da 4,4 km di altezza fino in prossimità della superficie e su 9 anni (2010-2018) per permettere di ottenere una media coerente di ciò che l’Amazzonia rappresenta nel bilancio globale del carbonio. Il lungo periodo di studio scelto è dovuto all’osservazione, in studi precedenti, che l’Amazzonia presenta una grande variabilità di anno in anno nel bilancio del carbonio. I 4 siti di studio aerei sono stati scelti per rappresentare la maggior parte della regione amazzonica».

Presentando il nuovo studio, Nature ricorda che «Almeno dall’inizio delle moderne registrazioni dei livelli di anidride carbonica atmosferica negli anni ’50, c’è stato un piccolo eccesso globale (circa il 2%) della quantità di CO 2 assorbita dalle piante terrestri per la fotosintesi, rispetto alla quantità emessa come risultato della decomposizione del materiale organico. Dal 1960, questo pozzo di carbonio terrestre ha assorbito circa il 25% di tutte le emissioni di combustibili fossili».

Un pozzo di carbonio si forma grazie a una combinazione dell’aumento della crescita della vegetazione che si verifica in risposta all’aumento dei livelli di CO2 e altri nutrienti, cambiamenti nella gestione del territorio e risposte degli ecosistemi ai cambiamenti climatici. Le foreste tropicali sono gli ecosistemi più produttivi della Terra, ma non si stanno riprendendo dai disturbi antropici del passato come hanno fatto le foreste alle medie latitudini, né stanno beneficiando delle stagioni di crescita notevolmente più lunghe associate ai cambiamenti climatici, come fanno gli ecosistemi boreali e artici.

Lo studio dimostra che la deforestazione riduce la capacità della foresta amazzonica di assorbire CO22 dall’atmosfera e nelle quattro regioni studiate sono state riscontrate diversi gradi di deforestazione: «Le regioni più deforestate (>30%) hanno avuto una stagione secca più stressante per la foresta: più secca, più calda e più lunga. Questo stress sta facendo sì che l’Amazzonia, in queste regioni, emetta 10 volte più carbonio (lato est: stati del Pará e del Mato Grosso), rispetto alle aree con meno del 20% di deforestazione. Questa emissione molto maggiore si verifica sia perché presenta una grande emissione da combustione, sia per un minor assorbimento di CO2 da parte della foresta. Nei mesi di agosto, settembre e ottobre la riduzione delle precipitazioni (>25%) è molto accentuato in queste regioni e presenta un aumento della temperatura >2° C, oltre alla maggiore durata della stagione secca. Questa condizione favorisce un aumento dell’infiammabilità del bosco e della mortalità degli alberi tipici di una foresta tropicale umida».

Lo scenario peggiore è quello verificato nella regione sudeste dell’Amazzonia (Pará meridionale e Mato Grosso settentrionale), dove la foresta è già diventata una fonte netta di emissione di carbonio nell’atmosfera che sta aumentando ogni anno, oltre a presentare le maggiori estensioni di superficie forestale bruciata. All’INPE evidenziano che «Questa regione dell’Amazzonia è quella che genera più preoccupazione, poiché il degrado è estremo, portando ad un aumento della mortalità degli alberi. Durante i mesi di stress idrico e temperature più elevate, oltre al verificarsi di incendi nelle aree deforestate, il fuoco penetra nella foresta che non è stata disboscata, ma è molto secca e più infiammabile. Durante questo periodo, a causa dello stress climatico, si ha anche una maggiore emissione di carbonio rispetto all’assorbimento da parte della foresta. Questo significa che, oltre alla deforestazione che rappresenta un’emissione di carbonio nell’atmosfera, altera la condizione climatica in Amazonia e fa sì che la foresta non disboscata si trasformi in una fonte di carbonio per l’atmosfera, oltre ad aumentare la sua infiammabilità».

Quindi, il nuovo studio dimostra che l’Amazzonia rappresenta già una fonte di carbonio nell’atmosfera, soprattutto a causa degli incendi. I ricercatori spiegano che «Le regioni all’interno dell’Amazzonia brasiliana rappresentano le maggiori emissioni di carbonio nell’atmosfera. Il bilancio del carbonio (bilancio finale tra assorbimenti ed emissioni) dell’Amazzonia sudamericana (7,25 milioni di km2) determinato nel periodo dal 2010 al 2018, ha presentato un’emissione di 1,06 miliardi di tonnellate di CO2 immesse in atmosfera all’anno, e quella dall’Amazzonia brasiliana (4,2 milioni di km2) è stata di 0,87 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno. Le emissioni da combustione rappresentano la principale fonte di carbonio, con un’emissione di 1,51 miliardi di tonnellate di CO2 nell’atmosfera nell’Amazzonia sudamericana (1,06 milioni di tonnellate di CO2/anno dall’Amazzonia brasiliana). Questo significa che nella foresta amazzonica gli assorbimenti rappresentano solo il 30% delle emissioni totali per incendio e nell’Amazzonia brasiliana gli assorbimenti rappresentano solo il 18% delle emissioni per incendio. Se non ci fossero incendi e deforestazione, l’Amazzonia panamericana rimuoverebbe dall’atmosfera 0,45 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, mentre l’Amazzonia brasiliana rimuoverebbe 0,19 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, poiché è qui che si concentrano la maggior parte della deforestazione e degli incendi».

La Gatti e il suo team dimostrano che la transizione delle foreste amazzoniche orientali da pozzo di carbonio a fonte di carbonio durante la stagione secca è associata a forti tendenze al riscaldamento regionale. Nature ricorda che «I siti dell’Amazzonia orientale si sono riscaldati fino a circa 0,6 °C per decennio durante la stagione secca negli ultimi 40 anni. Questo è più di tre volte il tasso di riscaldamento globale e circa lo stesso tasso dell’Artico. Anche la stagione delle piogge e le foreste dell’Amazzonia occidentale si sono riscaldate, ma a un ritmo molto più lento. I tassi di riscaldamento nella stagione secca per l’Amazzonia orientale potrebbero essere stati amplificati dalla deforestazione e dal degrado delle foreste». Per i ricercatori l’aumento degli incendi, dello stress fisiologico, della mortalità e della decomposizione degli alberi in quest’area, è associato all’aumento della perdita di carbonio dagli ecosistemi regionali.

All’INPE concludono: «Azzerare la deforestazione e gli incendi, oltre a ridurre le emissioni di CO2, aumenterebbe anche la capacità della foresta pluviale amazzonica di assorbire carbonio, contribuirebbe ad aumentare le precipitazioni e a ridurre la temperatura, il che a sua volta aumenterebbe ulteriormente la capacità di assorbire carbonio formando un ciclo positivo, non solo per l’Amazzonia, ma anche per il resto del Brasile, del Sud America e del pianeta, poiché siamo tutti interconnessi. Nell’atmosfera non ci sono muri».