Il Pakistan: i Paesi ricchi ci risarciscano per la catastrofe climatica che hanno provocato

«I Paesi del primo mondo sono i principali inquinatori, ma sono i poveri a pagare il conto»

[7 Settembre 2022]

Mentre un diluvio infinito continua a seminare moti, distruzione e malattie in Pakistan, il primo ministro del Pakistan, Shehbaz Sharif, ha esortato i pakistani a «Donare generosamente per le vittime delle inondazioni, la maggior parte delle quali fa affidamento sull’aiuto del governo per sopravvivere». Sharif ha chiesto più volte alla comunità internazionale di inviare più aiuti alle vittime delle inondazioni e ha detto che «Il Pakistan sta affrontando una tragedia indotta dal cambiamento climatico».

Ma a fare scalpore a livello ingternazionale è quello che ha detto la ministro per il clima del Pakistan,  Sherry Rehman, che ha denunciato che «I Paesi inquinatori che sono i maggiori  responsabili del collasso  climatico “distopico” hanno infranto le loro promesse di ridurre le emissioni e aiutare i Paesi in via di sviluppo ad adattarsi al riscaldamento globale».

Intervistata da The Guardian la Rehman ha detto che «Data la natura accelerata e implacabile delle catastrofi climatiche che colpiscono Paesi come il Pakistan, gli obiettivi di emissioni globali e le riparazioni devono essere riconsiderati. Il riscaldamento globale è la crisi esistenziale che deve affrontare il mondo e il Pakistan è il ground zero, eppure abbiamo contribuito per meno dell’1% alle emissioni Sappiamo tutti che le promesse fatte nei forum multilaterali non sono state mantenute».

La 61enne ministra, ex giornalista, senatrice ed ex ambasciatrice del Pakistan negli Usa, ha evidenziato che «Ci sono così tante perdite e danni con così poche riparazioni ai paesi che hanno contribuito così poco all’impronta di carbonio del mondo che ovviamente l’accordo fatto tra il nord e il sud del mondo non funziona. Dobbiamo spingere molto duramente per un ripristino degli obiettivi perché, il cambiamento climatico sta accelerando molto più velocemente del previsto. Sul territorio questo è molto chiaro».

Come ricorda il senatore Mustafa Nawaz Khokar, che dal 2009 al 2013 è stato consigliere per i diritti umani del primo ministro del Pakistan, «Il nord globale ha resistito a lungo a tali richieste di istituire un fondo per aiutare i Paesi poveri a far fronte agli effetti dell’emergenza climatica e a risarcire i danni. Forse è perché sarebbe interpretata come un’ammissione di colpa. Come conseguenza della recente catastrofe climatica in Pakistan, milioni di vite sono state distrutte. E’ probabile che migliaia di persone vengano spinte al di sotto della soglia di povertà. I bambini abbandoneranno la scuola e molte madri moriranno durante il parto. Gli effetti delle inondazioni saranno a lungo termine e catastrofici. Ora stiamo vivendo una crisi che non è stata creata da noi».

Mentre un terzo di uno dei Paesi più grandi e popolati del mondo è sott’acqua e sono crollati più di 200 ponti e 3.000 miglia di linee di telecomunicazioni sono scomparse o te o danneggiate, la Rehman ricorda quale sia la tragedia umana che sta vivendo il suo Paese: «Almeno 33 milioni di persone sono state colpite, una cifra che dovrebbe aumentare dopo che le autorità completeranno le indagini sui danni la prossima settimana. Nel distretto di Sindh, che produce metà del cibo del Paese, il 90% dei raccolti è andato  in rovina. Interi villaggi e campi agricoli sono stati spazzati via. Il principale colpevole è la pioggia torrenziale senza precedenti, con alcune città chehanno ricevuto dal 500 al 700% in più di precipitazioni rispetto alla norma di agosto. Grandi aree di territorio sono ancora sotto più di 3 metri d’acqua, il che rende estremamente difficile paracadutare cibo o montare tende. La marina sta effettuando missioni di soccorso in aree normalmente aride dove le barche non erano mai state viste. L’intera area sembra un oceano senza orizzonte, niente di simile è mai stato visto prima. Ho un sussulto quando sento la gente dire che si tratta di disastri naturali. Questa è proprio l’età dell’antropocene: questi sono disastri causati dall’uomo. Molti sono fuggiti dalle zone rurali inondate in cerca di cibo e riparo nelle città vicine che non sono attrezzate per farvi fronte, e non è chiaro quando – o se – potranno mai tornare indietro. Il numero totale delle persone rimaste bloccate in aree remote, in attesa di essere soccorse, rimane sconosciuto. L’acqua impiegherà mesi per defluire e, nonostante una breve pausa nelle precipitazioni, sono previste piogge più intense per metà settembre».

La Rehman è stata nominato ministro per i cambiamenti climatici ad aprile, dopo una crisi politica  ed economica che ha portato alla destituzione dell’ex primo ministro Imran Khan che ha definito il colpo di mano parlamentare un golpe ordito su mandato degli Usa.  Ma la Rehman  ora ha altro a cui pensare e assicura che «Il governo stava facendo tutto il possibile, ma le missioni di soccorso e di aiuto sono state ostacolate dalla pioggia incessante e dall’enormità del bisogno». Pur essendo solidale con i Paesi sviluppati che stanno affrontando le sfide economiche globali causate dalla pandemia di Covid e dalla guerra in Ucraina, è fermamente convinta che  «I paesi più ricchi devono fare di più. Le ingiustizie storiche devono essere ascoltate e ci deve essere un certo livello di equità climatica in modo che il peso del consumo irresponsabile di carbonio non venga addebitato alle nazioni vicino all’equatore che ovviamente non sono in grado di creare da sole infrastrutture resilienti».

E la ministra pakistana è d’accordo anche con chi chiede alle compagnie dei combustibili fossili – che stanno realizzano profitti record grazie alla speculazione sulla guerra in Ucraina – di pagare i danni causati dal riscaldamento globale ai Paesi in via di sviluppo: «I grandi inquinatori spesso cercano di ripulire le loro emissioni, ma non possono sfuggire alla realtà che le grandi companies che hanno profitti netti più grandi del PIL di molti Paesi devono assumersi la loro responsabilità».

Il Pakistan è uno dei Paesi più vulnerabili al riscaldamento globale e le attuali catastrofiche inondazioni arrivano dopo quattro ondate di caldo consecutive con temperature che all’inizio di quest’anno hanno spurato in alcuni luoghi i  53° C. E’ un Paese che ospita 7.200 ghiacciai – più che ovunque al di fuori dei poli – che si stanno sciogliendo molto più velocemente a causa dell’aumento delle temperature, aumentando la portata dei fiumi già ingrossati dalle piogge.

Il Pakistan è il presidente di turno del gruppo 77 più Cina che rappresenta i Paesi in via di sviluppo all’Unfccc e promette battaglia alla COP27 che si terrà a novembre in Egitto. La Rehman conclude: «Premeremo duramente affinché gli inquinatori paghino dopo un anno di devastante siccità, inondazioni, ondate di caldo e incendi boschivi. Saremo molto chiari e inequivocabili su ciò che vediamo come i nostri bisogni e doveri, così come su dove vediamo andare la serie di obiettivi globali più grandi. Ma le perdite e il pericolo per il Sud, che è già in preda a una distopia climatica accelerata, dovranno far parte dell’accordo alla Cop27. Finora i Paesi più ricchi e inquinanti sono stati lenti a sborsare il denaro promesso per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad adattarsi agli shock climatici e ancora più riluttanti a impegnarsi in negoziati significativi sul finanziamento delle perdite e dei danni subiti dalle nazioni più povere come il Pakistan, che hanno contribuito in modo trascurabile alle emissioni di gas serra. La discussione sulle riparazioni è stata per lo più bloccata, lasciando i Paesi vulnerabili come il Pakistan ad affrontare il peso maggiore del consumo sconsiderato di carbonio degli altri. Come si può vedere, il riscaldamento globale non è diminuito, anzi. La sola cosa che possiamo fare è moltissimo adattamento. Lo scioglimento dei ghiacciai, le inondazioni, la siccità, gli incendi boschivi… niente li fermerà senza che i serissimi impegni presi vengano onorati. Siamo in prima linea e intendiamo mantenere le perdite, i danni e l’adattamento alle catastrofi climatiche al centro delle nostre argomentazioni e negoziazioni. Non ci sarà alcun allontanamento da questo».