A Genova al via la nuova edizione di Slow Fish

Il clima in fondo al mare: come il surriscaldamento globale sta mettendo in crisi il Mediterraneo

È in corso una riduzione della biodiversità che causa squilibri ecosistemici. Würtz: «La preoccupazione è che gli strati superficiali si riscaldino al punto da bloccare il rimescolamento con le acque profonde»

[29 Giugno 2021]

La crisi climatica nel Mediterraneo avanza veloce, e anche se i cambiamenti che avvengono sotto il pelo dell’acqua sono meno visibili non importa: «Se il mare cambia, cambieranno le attività che sarà possibile fare», spiega l’ittiologo dell’Università di Genova Federico Betti in vista di Slow Fish, la manifestazione organizzata da Slow Food e Regione Liguria che si terrà da giovedì 1 a domenica 4 luglio nel centro storico genovese.

«Se la temperatura sale, come sta effettivamente accadendo, alcune specie scompaiono. Il loro posto verrà preso da altri organismi più adatti a vivere nelle mutate condizioni», osserva ad esempio Betti.

«Negli ultimi venti o trent’anni, le acque nei pressi delle coste del Mar Ligure hanno fatto registrare un aumento di temperatura pari a uno o due gradi centigradi – prosegue l’ittiologo – Detto così sembra un dato quasi trascurabile, ma in realtà gli ecosistemi marini sono cambiati completamente e gli effetti in mare sono molto gravi. Da oltre vent’anni assistiamo a periodiche morie di massa, le più gravi delle quali sono state nel 1999 e nel 2003. Le ondate di caldo forte e prolungato hanno colpito gli organismi del fondo come ad esempio le gorgonie, che sono coralli molto grandi e importanti perché ospitano molti pesci nelle fasi giovanili, ma anche spugne, molluschi come l’arca di Noè, e recentemente anche la pinna nobilis, un mollusco endemico del Mediterraneo, è a rischio estinzione per via di un’infezione da parte di un protozoo favorito, presumibilmente, proprio dall’aumento delle temperature delle acque».

Fenomeni di questo genere, che avvengono sott’acqua e perciò pressoché sconosciuti al grande pubblico, hanno gravi conseguenze: «Assistiamo alla cosiddetta omogeneizzazione del fondale e significa che nei nostri mari vivono sempre meno specie arborescenti e spugne: una riduzione della biodiversità che causa squilibri ecosistemici e innesca interazioni tra organismi differenti da quelle consuete». In altre parole, l’ecosistema si semplifica: «Quando accade non è mai un segnale positivo, perché significa che l’ambiente è meno resiliente e meno resistente, quindi più fragile», conclude Betti.

In un ecosistema con le caratteristiche del Mediterraneo, l’aumento della temperatura dell’acqua marina rischia di spezzare alla base un delicato equilibrio: «La preoccupazione è che gli strati superficiali si riscaldino al punto da bloccare i flussi verticali delle masse d’acqua, e che pertanto non si crei quel rimescolamento con le acque profonde che assicura il ripopolamento e rende possibile la pesca di grandi predatori come i tonni», spiega Maurizio Würtz, professore emerito presso il dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Genova. Un rimescolamento che «consente di “concimare” gli strati superficiali e quindi di generare condizioni favorevoli» all’intera catena alimentare.

Che fare, dunque? Se da un lato occorre mitigare gli effetti del cambiamento climatico, dall’altro è indispensabile che la politica si impegni per «salvaguardare la funzionalità ecologica e i processi che rendono il Mediterraneo un mare ricco di biodiversità, pur essendo ridotto come superficie rispetto ai grandi oceani», conclude Würtz.