I sedimenti dell’Oceano Artico rivelano come si è sciolto il permafrost nel passato

Le nuove scoperte mettono in guardia su quello che potrebbe succedere nel prossimo futuro

[19 Ottobre 2020]

I sedimenti del fondo marino dell’Oceano Artico possono aiutare gli scienziati a capire come il permafrost risponde al riscaldamento climatico. E’ quello che emerge dallo studio “Remobilization of dormant carbon from Siberian-Arctic permafrost during three past warming events” pubblicato su Science Advances da un team multidisciplinare internazionale guidato dall’università di Stoccolma che ha trovato le prove di un passato scongelamento del permafrost durante gli eventi di riscaldamento climatico alla fine dell’ultima era glaciale.

Le nuove scoperte mettono in guardia su quello che potrebbe succedere nel prossimo futuro: che un riscaldamento dell’Artico di solo pochi gradi centigradi possa innescare un massiccio disgelo del permafrost, l’erosione costiera e il rilascio di anidride carbonica (CO2) e metano (CH4) nell’atmosfera.

I ricercatori dell’università di Stoccolma ricordano che «Il permafrost artico immagazzina più carbonio dell’atmosfera. Quando il permafrost si scioglie, questo carbonio può essere convertito in gas serra (CO2 e CH4) che poi entrano nell’atmosfera e possono influenzare il sistema climatico». Per migliorare le previsioni sulle future emissioni di gas serra provenienti dal permafrost, gli scienziati hanno cominciato a guardare al passato, esplorando come un precedente riscaldamento climatico, ad esempio alla fine dell’ultima era glaciale, abbia influenzato il permafrost e la sua vasta riserva di carbonio.

Il principale autore dello studio, Jannik Martens dell’università di Stoccolma, sottolinea che «Il nostro nuovo studio mostra per la prima volta l’intera storia di come il riscaldamento alla fine dell’ultima era glaciale abbia innescato lo scongelamento del permafrost in Siberia. Questo suggerisce anche il rilascio di grandi quantità di gas serra. Sembra probabile che il passato congelamento del permafrost in periodi di riscaldamento climatico, circa 14.700 e 11.700 anni fa, sia stato in parte anche correlato all’aumento delle concentrazioni di CO2 che si osserva in questi tempi nelle carote di ghiaccio dell’Antartide. Sembra che il riscaldamento dell’Artico di pochi gradi centigradi sia sufficiente a disturbare vaste aree coperte dal permafrost e potenzialmente a influenzare il sistema climatico».

Nel nuovo studio, gli scienziati hanno utilizzato una carota di sedimenti di 8 metri che è stata recuperata nel 2014 dal fondo del mare a una profondità di oltre 1.000 metri nell’Oceano Artico durante la spedizione SWERUS-C3, a bordo della nave rompighiaccio svedese Oden. Per ricostruire lo scongelamento del permafrost a terra, gli scienziati hanno utilizzato la datazione al radiocarbonio (14C) e l’analisi molecolare per rintracciare i resti organici che vennero rilasciati dallo scongelamento del permafrost e poi dilavati nell’Oceano Artico.
Örjan Gustafsson, dell’università di Stoccolma e leader del programma di ricerca, spiega che  «Da questo nucleo abbiamo anche appreso che l’erosione delle coste del permafrost è stata un’importante forza trainante per la distruzione del permafrost alla fine dell’ultima era glaciale. L’erosione costiera continua fino ai giorni nostri, anche se dieci volte più lentamente che durante questo periodo di rapido riscaldamento. Con le recenti tendenze al riscaldamento, tuttavia, assistiamo nuovamente a un’accelerazione dell’erosione costiera in alcune parti dell’Artico, che dovrebbe rilasciare gas serra per degradazione della materia organica rilasciata. Qualsiasi rilascio dallo scongelamento del permafrost significa che nel bilancio del sistema terra-clima c’è ancora meno spazio per il rilascio di gas serra di origine antropica prima che vengano raggiunte soglie pericolose».

Gustafsson, Martens e i loro colleghi sono di nuovo nell’Oceano Artico, bordo della nave di ricerca russa Akademik Keldysh, per prendere parte all’International Siberian Shelf Study (ISSS-2020), una spedizione ha lasciato il porto di Arkhangelsk il 26 settembre ed è attualmente nel Mar della Siberia orientale, alla ricerca di più risposte su come il cambiamento climatico può innescare il rilascio di carbonio, compresi i gas serra, dai sistemi del permafrost artico, tra i quali l’erosione costiera e il permafrost sotto il fondo del mare preservato dalla passata era glaciale.