I Neanderthal del Mediterraneo occidentale non si sono estinti a causa dei cambiamenti climatici

Lo rivela l’analisi di stalagmiti campionate in alcune grotte dell’altipiano delle Murge, in Puglia. Responsabili della scomparsa dei neandertaliani sarebbero state le tecnologie di caccia più avanzate dell’Homo sapiens

[22 Luglio 2020]

Secondo lo studio “Speleothem record attests to stable environmental conditions during Neanderthal–modern human turnover in southernItaly”, pubblicato su Nature Ecology & Evolution  da un team internazionale di ricercatori che ha visto la partecipazione di hanno partecipato Andrea Columbu, Veronica Chiarini, Jo De Waele e Stefano Benazzi dell’università di Bilogna. «L’Uomo di Neanderthal non scomparve a causa dei cambiamenti climatici, almeno non i numerosi gruppi che fino a circa 42.000 anni fa sono vissuti nell’area mediterranea occidentale».

Lo studio internazionale – che ha visto impegnate anche le università di Innsbruck, Melbourne e Xi’an Jiaotong  – è stato possibile grazie al contributo finanziario delle Grotte di Castellana e della Federazione Speleologica Pugliese, e al grande contributo dato dai gruppi di speleologi locali ed è grazie a questa cooperazione che l’università di Bologna è riuscita a ottenere una dettagliata ricostruzione paleoclimatica dell’ultima era glaciale analizzando una serie di stalagmiti prelevate da alcune grotte pugliesi.
Lo studio si è concentrato sull’altipiano carsico delle Murge, in Puglia, dove neandertaliani e Homo sapiens hanno convissuto per almeno tremila anni, da circa 45.000 a 42.000 anni fa. Un periodo durante il quale i dati estratti dalle stalagmiti non mostrano cambiamenti climatici significativi.

Columbu, il principale autore dello studio, spiega che «L’area pugliese oggetto della nostra ricerca emerge come una “nicchia climatica” durante la transizione fra Neanderthal e Uomo Moderno. E’ dunque inverosimile che siano state drastiche variazioni del clima ad indurre la scomparsa dei neandertaliani in Puglia e, per estensione, in aree climatiche mediterranee simili».

L’’estinzione dell’Uomo di Neanderthal in Europa è avvenuta circa 42.000 anni fa e tra le diverse ipotesi avanzate per spiegarla quella climatica ha ottenuto un notevole consenso tra gli studiosi. All’università di Bologna evidenziano che «Secondo questa teoria, la causa primaria della scomparsa dei neandertaliani sarebbero stati i drastici e rapidi cambiamenti climatici avvenuti durante l’ultima era glaciale, che nel giro di pochi secoli hanno portato a climi più freddi e aridi. Testimonianze di queste nette variazioni del clima emergono in effetti dalle analisi di carote di ghiaccio della Groenlandia e da altri archivi paleoclimatici relativi all’Europa continentale. Quando però si considerano alcune aree del Mediterraneo, all’interno delle quali l’Uomo di Neanderthal è stato ben presente a partire da 100.000 anni fa, i dati a disposizione non offrono le stesse conclusioni. In particolare, nell’area mediterranea occidentale, una zona ricca di reperti preistorici, fino ad oggi non esistevano ricostruzioni paleoclimatiche di dettaglio dalle regioni che sono state popolate dai Neanderthal».

Per ottenere informazioni sul passato climatico del Mediterraneo occidentale, il gruppo di ricerca bolognese ha allora rivolto la sua attenzione all’altipiano pugliese delle Murge e Cplumbu sottolinea che «La Puglia è di fondamentale importanza per la comprensione delle dinamiche antropologiche, perché sappiamo che fu abitata sia dai Neanderthal che dall’Homo sapiens a partire da circa 45.000 anni fa. E’ una delle poche aree al mondo entro le quali le due specie abbiano condiviso un territorio relativamente limitato in estensione, e per questo rappresenta un unicum per lo studio dei fattori climatici e bio-culturali alla base della transizione fra Sapiens e Neanderthal».

Il problema era però come fare a ricostruire il clima di quell’area in un tempo. «La risposta sta nelle stalagmiti – dicono i ricercatori –  formazioni calcaree che emergono dal suolo delle grotte carsiche formandosi per la caduta continua di gocce d’acqua ricche di calcite» e De Waele, professore dell’università di Bologna che ha coordinato lo studio, aggiunge: «Le stalagmiti sono degli eccellenti archivi paleoclimatici e paleoambientali. La loro formazione necessita l’infiltrazione di acqua piovana dall’esterno e questo le rende quindi un’evidenza indiscutibile della presenza o assenza di pioggia; inoltre, gli isotopi del carbonio e dell’ossigeno della calcite di cui sono composte danno indicazioni sullo stato del suolo e sulla quantità di pioggia durante tutto il loro periodo di formazione. Tutte queste informazioni possono poi essere intrecciate con datazioni radiometriche che permettono di ricostruire con precisione nel tempo le diverse fasi di “crescita’ delle stalagmiti”».

E il  primo elemento significativo messo in evidenza dallo studio è stato proprio il ritmo di formazione delle stalagmiti e le analisi dei ricercatori hanno mostrato che «Le stalagmiti pugliesi sono state caratterizzate da una deposizione continua durante tutto l’ultimo ciclo glaciale, ed anche nei cicli glaciali precedenti. Questo significa che nel corso dei millenni considerati non c’è stata nessuna drastica variazione climatica: un calo significativo delle precipitazioni piovose avrebbe infatti causato uno stop nella formazione delle stalagmiti. Tra tutte quelle analizzate, una stalagmite in particolare ha permesso di ottenere informazioni rilevanti. Campionata nella grotta di Pozzo Cucù, nell’area di Castellana Grotte, in provincia di Bari, è una stalagmite lunga circa 50 centimetri sulla quale sono state realizzate 27 datazioni ad altissima risoluzione e circa 2.700 analisi degli isotopi stabili del carbonio e dell’ossigeno. Le datazioni hanno permesso di stabilire che il suo periodo di formazione è compreso tra circa 106.000 e 27.000 anni fa, rendendola così la testimonianza paleoclimatica basata su una stalagmite cronologicamente più estesa di tutta l’area mediterranea occidentale ed europea per quando riguarda l’ultimo periodo glaciale. E anche in questo caso non è stata trovata traccia di drastiche variazioni climatiche che potrebbero essere correlate con l’estinzione dei NeanderthaL».

De Waele fa notare che «Le nostre analisi mostrano lievi escursioni delle precipitazioni piovose nel periodo compreso tra circa 50.000 a 27.000 anni fa, ma non tali da generare una variazione della vegetazione presente sui suoli al di sopra della grotta. Durante tutto questo periodo, e quindi anche durante la convivenza di 3.000 anni fra Sapiens e Neanderthal e durante la fase di scomparsa dei neandertaliani, gli isotopi del carbonio indicano una bioproduttività dei suoli tutto sommato costante, indice dell’assenza di modificazioni drastiche della vegetazione, e quindi del clima».

Dallo studio emerge che le grandi variazioni del clima avvenute durante l’ultima era glaciale  sarebbero state assorbite in modo diverso nell’area del Mediterraneo rispetto all’Europa continentale e alle alte latitudini della Groenlandia, «E questo porterebbe a escludere l’ipotesi climatica come causa dell’estinzione dei neandertaliani».
Ma allora come e perché sono scomparsi i Neanderthal dopo pochi millenni di convivenza con l’uomo moderno? Secondo il paleoantropologo Benazzi, «I risultati di questa ricerca rendono ancora più plausibile l’ipotesi portata avanti da diversi studiosi secondo cui alla base dell’estinzione dei Neanderthal ci sia una motivazione tecnologica. Secondo questa teoria sarebbe stata in particolare la tecnologia di caccia, molto più avanzata per l’Homo sapiens rispetto al Neanderthal, ad aver contribuito in maniera primaria alla supremazia del primo rispetto al secondo, inducendo la scomparsa dei neandertaliani dopo circa 3.000 anni di convivenza fra le due specie».