L’agenzia meteorologica dell’Onu : nel 2018 si confermano segnali e conseguenze del cambiamento climatico

Gli ultimi 4 anni sono stati i più caldi, Wmo: «Il mondo non è sulla buona strada per rallentare il cambiamento climatico» (VIDEO)

Petteri Taalas: «Siamo la prima generazione a comprendere davvero i cambiamenti climatici e l’ultima a poterne contrastare le conseguenze».

[30 Novembre 2018]

Dopo aver letto il WMO provisional Statement on the State of the Climate in 2018, anche il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha espresso tutta la sua preoccupazione su Twitter: «Gli ultimi quattro anni sono stati i più caldi mai registrati e questa tendenza al riscaldamento è proseguita nel 2018. Il nuovo rapporto @ WMO è un altro invito urgente a un’ambiziosa # ClimateAction .https://bit.ly/2AtKi8C»

E Guterres ha ragione afd essere preoccupato perché il rapporto della World meteorological organization (Wmo) conferma che «La tendenza del riscaldamento a lungo termine è proseguita nel 2018, temperatura media sulla superfice del globo è sulla strada per figurare al quarto posto più in alto. Gli ultimi 22 anni contano i 20 anni più caldi mai registrati e i 4 ultimi anni sono in testa alla classifica. Altri segni rivelatori del cambiamento climatico, come l’innalzamento del livello del mare, della temperatura e dell’acidificazione degli oceani, così come lo scioglimento della banchisa e dei ghiacciai continuano a manifestarsi, mentre i fenomeni estremi hanno fatto danni in tutti i continenti»

Basandosi sui contributi di un ampio ventagli di partnership del sistema dell’Onu, il rapporto provvisorio sullo stato del clima, pubblicato a pochi giorni dall’inizio della Cop24 Unfccc in Polonia, descrive dettagliatamente le conseguenze del cambiamento climatico econferma che «Per i primi mesi dell’anno, la temperatura media in superficie del globo è stata superiore di quasi 1° C ai valori dell’epoca pre-industriale (1850-1900)». Risultati che sono stati calcolati a partire dai 5 maggiori data sets a livello  mondiale, indipendentemente l’uno dall’altro.

Il segretario generale della Wmo, Petteri Taalas, ha evidenziato che «Non siamo sulla strada per raggiungere gli obiettivi fissati nel contesto del cambiamento climatico e per ostacolare l’aumento della temperatura. Le concentrazioni di gas serra hanno ancora una volta raggiunto dei livelli record e, se la tendenza prosegue, la temperatura rischia di aumentare da 3 a 5°C entro la fine del secolo. Se sfrutteremo la totalità delle risorse conosciute di combustibili fossili, l’aumento della temperatura sarà nettamente più alto. Bisogna insistere ancora e ancora: siamo la prima generazione a comprendere davvero i cambiamenti climatici e l’ultima a poterne contrastare le conseguenze».

La segretaria generale aggiunta della Wmo. Elena Manaenkova, ha ricordato che «Nello special report on Global Warming of 1.5°C dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) è indicato che la temperatura media alla superficie del globo calcolata per il decennio 2006-2015 è stata superiore di 0,86°C rispetto ai valori dell’epoca preindustriale. L’aumento medio, in rapporto a questi livelli di riferimento per il decennio più recente (2009-2018) è stato di circa 0,93°C e per questi 5 ultimi anni (2014-2018), di 1,04°C. Queste cifre sono da prendere sul serio. Ogni riscaldamento sarà solo una frazione delle conseguenze sulla salute umana e sull’accesso all’acqua e al cibo, sui rischi di estinzione delle specie vegetali e animali e sulla sopravvivenza delle barriere coralline e delle specie marine. Ogni aumento della temperatura, per quanto minima sia, ha degli effetti sulla produttività economica, la sicurezza alimentare e la capacità di adattamento delle infrastrutture e delle città, sul ritmo di scioglimento dei ghiacciai, sulle risorse idriche e sul futuro delle isole che si innalzano poco sul livello del mare e sulle comunità costiere. Ogni aumento in più ha importanza».

Il WMO provisional Statement on the State of the Climate in 2018 completa le prove scientifiche definitive sulle quali si baseranno i negoziati della 24esima conferenza delle parti dell’United Nations framework convention on climate change che si terrà a Katowice dal 2 al 4 dicembre e che dovrebbe approvare le linee guida per l’attuazione dell’Accordo di Parigi. Alla stesura del rapporto hanno collaborato i servizio meteorologici e idrologici nazionali, come quelli Usa che hanno stilato l’ultimo rapporto federale – sconfessato dal presidente Donald Trump e dal suo staff subito dopo la pubblicazione – che espone dettagliatamente le conseguenze dei cambiamenti climatici su ambiente, agricoltura, risorse energetiche e idriche, trasporti, salute umana e benessere della popolazione, conseguenze che potrebbero aggravare le minacce alle infrastrutture e ai beni privati statunitensi e frenarne la crescita economica.

Secondo un altro rapporto pubblicato il 26 novembre nel Regno Unito, entro il 2070 in estate l’aumento delle temperature potrebbe raggiungere i 5,4° C e il calo della piovosità il 47%, mentre l’innalzamento del livello del mare entro il 2100 potrebbe provocare un innalzamento di 1,15 m del livello del Tamigi a Londra.

In Svizzera, un rapporto sugli scenari climatici pubblicato il 13 novembre indica che il Paese sta diventando più caldo e più secco, ma che in futuro dovrà comunque fare i conti con precipitazioni più intense e che nelle sue celebri stazioni sciistiche ci sarà molta meno neve.

Il chief scientist e direttore della ricerca della Wmo, Pavel Kabat. Ha sottolineato che «La comunità meteorologica favorisce la traduzione dei risultati in servizi resi alla popolazione, il che aiuta a stabilire degli scenari e delle previsioni climatiche a livello nazionale e a mettere in atto dei servizi climatologici personalizzati, al fine di ridurre i rischi legati al cambiamento climatico e alla crescita dei fenomeni meteorologici estremi. La Wmo lavora anche a mettere a punto degli strumenti integrati, per sorvegliare e gestire le emissioni di gas serra e i pozzi del carbonio».

Il rapporto provvisorio della Wmo presenta alcuni dei fatti salienti:

Temperature: L’inizio del 2018 è stato segnato da un episodio de La Niña di debole intensità che è proseguito fino a marzo. Ma a ottobre le temperature di superficie del mare nell’est del Pacifico tropicale sembravano indicare il ritorno di condizioni associate in generale al fenomeno di El Niño, anche se nell’atmosfera queste condizioni non si sono ancora manifestate. Se si concretizzerà un episodio El Niño, il 2019 sarà senza dubbio più caldo del 2018.

Gas serra: Nel 2017, le concentrazioni di CO2, metano e ossido di diazoto hanno raggiunto un nuovo picco  e nel 2018 sono continuate ad aumentare.

Oceani. Gli oceani assorbono più del 90% dell’energia intrappolata dai gas serra e del 25% delle emissioni antropiche di CO2, il che fa aumentare la loro temperatura e acidità. Per ogni trimestre anteriore a settembre 2018, il contenuto termico dell’oceano è stato al primo o al second posto di quelli più elevati mai registrati.  A gennaio a luglio 2018 il livello medio del mare è stato superiore c di circa 2 – 3 mm rispetto a quello del 2017.

Ghiacci marini: Dall’inizio dell’anno, l’estensione della  banchisa artica è stata di molto inferiore alla norma, raggiungendo record minimi in gennaio e febbraio. Il massimo annuale osservato a metà marzo è il terzo più basso mai registrato. Il minimo stagionale di settembre si piazza al sesto posto tra quelli mai registrati e i 12 minimi stagionali più bassi coincidono con gli ultimi 12 anni. Dall’inizio dell’anno, anche l’estensione della banchisa antartica è stata inferiore alla norma: il minimo stagionale è stato raggiunto alla fine di febbraio ed è uno dei due più bassi mai registrati.

Pio ci sono le condizioni meteorologiche estreme:

Tempeste. Il numero di tempeste nel 2018 è stato superiore alla media in 4 bacini oceanici dell’emisfero nord, arrivando a 70 il 20 novembre, la norma era di 53, e facendo numerose vittime. La stagione ciclonica è stata particolarmente attiva nel Pacifico del Nord-Est, dove l’energia ciclonica accumulata è stata la più importante che sia mai stata registrata dall’inizio delle osservazioni satellitari. Due dei cicloni tropicali più intensi sono stati il Mangkhut, che ha colpito le Filippine, Hong Kong e le coste cinesi, e l’Yutu, che ha fatto enormi danni nelle Isole Marianne. mente Jebi è stato il tifone più violento che abbia colpito il Giappone dal 1993  e il Son-Tinh ha provocato inondazioni in Vietnam e Laos, mentre il Soulik ha contribuito alle alluvioni nella penisola coreana. Gli uragani Florence e Michael hanno fatto vittime e grossi danni negli Usa. Nel Sud Pacifico, Gita è stato il ciclone più intenso e costoso che abbia mai colpito Tonga.

Inondazioni.  In agosto, lo Stato indiano del Kerala ha subito le peggiori inondazioni dal 1920 e sono state evacuati 1,4 milioni di persone, mentre 5,4 milioni di persone hanno subito danneggiamenti. Tra fine giugno e inizio luglio, gran parte del Giappone orientale è stato colpito da inondazioni devastanti che hanno fatto almeno 230 vittime e distrutto migliaia di abitazioni. In Africa orientale, le inondazioni a marzo e aprile  hanno colpito numerose regioni, in particolare in Kenya e Somalia, che precedentemente avevano patito una grave  e prolungata siccità, così come l’Etiopia e le regioni del nord e del centro della Tanzania. Un sistema depressionario particolarmente attivo accompagnato da venti violenti si è sviluppato nel Mediterraneo a fine ottobre, provocando inondazioni, danni anche alle foreste e perdite di vite umane, anche in Italia.

Ondate di caldo e siccità: À partire dalla fine della primavera e durante tutta l’estate 2018, une gran parte dell’Europa ha conosciuto un caldo e una siccità eccezionali che hanno innescato degli enormi incendi boschivi in Scandinavia. A luglio e agosto sono stati battuti numerosi record di caldo nel Circolo Polare Artico e delle temperature elevate sono durate per un numero di giorni record, in particolare a Helsinki (Finlandia) dove per 25 giorni consecutivi sono stati superati i 25°C. In alcune regioni della Germania le temperature massime hanno superato i 30°C per lunghi periodi, mentre la Francia è stata colpita da un’ondata di caldo che ha fatto molte vittime. Ha fatto eccezionalmente caldo e secco anche in Gran Bretagna e in Irlanda. All’inizio di agosto, Spagna e Portogallo sono state colpiti da una breve ma molto intensa ondata di caldo. La siccità è durata particolarmente a lungo in Germania, Repubblica Ceca, Polonia occidentale, Olanda e Belgio e in alcune regioni della Francia. À metà ottobre il Reno ha stabilito il record di portata minima, il che ha comportato gravi difficoltà per la navigazione fluviale. Nel 2018 l’Australia orientale ha subito una forte siccità, in particolare nel New South Wales e nel  sud del Queensland, nei primi 9 mesi dell’anno le precipitazioni sono state di oltre il 50% inferiori alla norma in gran parte della regione. A fine 2017 – inizio 2018, una grave siccità, con pesanti perdite agricole, ha colpito l’Uruguay e il nord e il centro dell’Argentina. Il Giappone con 41,1° C e la Corea del sud  con 41,0° C hanno registrato i nuovi record nazionali delle temperature. A giugno, in Oman è stata segnalata una temperatura minima notturna di 42,6° C, una delle più elevate mai registrate. A luglio l’Algeria ha battuto il record nazionale di caldo con 51,3° C.

Freddo. A febbraio e inizio marzo, una delle ondate di freddo più intense degli ultimi anni ha fatto rabbrividire gran parte dell’Europa.

Incendi boschivi. Il 23 luglio Atene era circondata da incendi che hanno fatto numerose vittime. Nella British Columbia (Canada) gli incendi hanno bruciato una superficie record per il secondo anno consecutivo. La California è stata ripetutamente colpita da violenti incendi tra cui il “Camp Fire” a novembre  che è stato il più mortale ad aver devastato uno Stato Usa da un secolo.

Altre conseguenze. Il WMO provisional Statement on the State of the Climate in 2018  contiene anche anche dati dettagliati sulle conseguenze dei cambiamenti climatici che si basano sulle informazioni fornita da Fao, International Organization for Migration (Iom), United Nations Environment Programme (Unep); Intergovernmental Oceanographic Commission (Ioc) dell’Unesco, United Nations High Commission for Refugees (Unhcr) e World Food Programme (Wfp), e che verranno ulteriormente sviluppate nelle versione finale del rapporto che sarà pubblicata a marzo 2019.

Quello che intanto emerge con chiarezza è che «La vulnerabilità dei diversi settori agricoli agli estremi climatici minaccia di ridurre i benefici ottenuti nel quadro della lotta alla malnutrizione. Secondo gli ultimi dati, la fame del mondo è di nuovo in aumento mente re era calata durevolmente». Secondo il  rapporto State of Food Security and Nutrition in the World 2018, di Fao, Wfp, International Fund for Agricultural Development, Unicef e Organizzazione mondiale della sanità, nel 2017 «Il numero di persone sotto-alimentate era aumentato raggiungendo gli 821 milioni» e «I fenomeni climatici hanno avuto l’incidenza più marcata sull’insicurezza alimentare acuta e la malnutrizione di cui sono vittime 59 milioni di persone in 24 Paesi, che necessitano di un aiuto umanitario urgente. La vulnerabilità e la variabilità del clima sono in gran parte associate ai sistemi di coltivazione nei terreni secchi e dei pascoli per la pastorizia che occupano  un posto di primo piano nei mezzi di sussistenza del 70 – 80% della popolazione rurale»

Secondo le cifre disponibili a settembre 2018, «Su 17,7 milioni di persone sfollate all’interno dei loro Paesi censite dall’Iom, 2,3 milioni sono fuggite a causa di catastrofi legate a dei fenomeni meteorologici o climatici.  In Somalia, la nostra ex dimenticata colonia, tra gennaio  e luglio l’Unhcr ha segnalato almeno 642.000 nuovi profughi interni. Le principali cause di questi esodi sono le inondazioni (43 %), la siccità (29%) e le guerre (26%).

Agenzie Onu come l’Ioc-Unesco e l’Unep, vigilano sulle conseguenze del cambiamento climatico sull’ambiente, come lo sbiancamento delle barriere coralline, la diminuzione del livello di ossigeno negli oceani e la scomparsa del “Blue Carbon” associato agli ecosistemi costieri come le mangrovie e le paludi salate. Inoltre, a causa dei cambiamenti climatici, le torbiere attualmente protette dal permafrost rischiano di scongelarsi e quindi di emettere più metano e di accrescere la dispersione del carbonio, mentre l’innalzamento del livello del mare aumenta il rischio di erosione costiera e di salinizzazione delle torbiere.

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