Gestire la ritirata. Arretrare dalle coste per non perdere la guerra contro il cambiamento climatico

Allontanarsi dalla costa e dalle inondazioni può ampliare le opzioni resilienti per l’umanità

[24 Giugno 2021]

Dallo studio “Reframing strategic, managed retreat for transformative climate adaptation”, pubblicato su Science da Katharine Mach, della Rosenstiel school of marine and atmospheric science dell’università di Miami, e da A. R. Siders, del Disaster research center dell’universita del Delaware, emerge che «Quando si tratta di discutere di adattamento ai cambiamenti climatici, è arrivato il tempo di mettere tutte le opzioni sul tavolo» e che tra queste c’è anche la ritirata gestita: lo spostamento intenzionale di persone, edifici e altri beni dalle aree vulnerabili che finora veniva considerato come l’ultima risorsa.  Invece, secondo la Siders, «Se utilizzato in modo proattivo o in combinazione con altre misure Può essere un potente strumento per ampliare la gamma di possibili soluzioni per far fronte all’innalzamento del livello del mare, alle inondazioni e ad altri effetti del cambiamento climatico».

Nello studio, le due ricercatrici statunitensi forniscono una roadmap prospettica per riconcettualizzare il futuro utilizzando la ritirata gestita e la Siders sottolinea che «Il cambiamento climatico sta colpendo le persone in tutto il mondo e tutti stanno cercando di capire cosa fare al riguardo. Una potenziale strategia, allontanarsi dai pericoli, potrebbe essere molto efficace, ma spesso viene trascurata. Stiamo esaminando i diversi modi in cui la società può sognare in grande quando pianifica la reazione al cambiamento climatico e come i valori e le priorità della comunità svolgono un ruolo in questo».

Un po’ come delle guerrigliere climatiche, le due scienziate sono convinta  che «Ritirata non significa sconfitta» e fanno notare che «Il ritiro gestito avviene da decenni in tutti gli Stati Uniti su scala molto ridotta con il supporto statale e/o federale». La Siders ha ricordato che gli uragani Harvey e Florence sono stati «Eventi meteorologici che hanno indotto i proprietari di case vicino al Golfo del Messico a cercare il sostegno del governo per il trasferimento. A livello locale, città come Bowers Beach, vicino alla costa del Delaware, hanno utilizzato gli espropri per rimuovere case e famiglie dalle aree soggette a inondazioni, un’idea che stanno valutando anche Southbridge a Wilmington».

Le persone spesso si oppongono all’idea di lasciare le loro case, ma la Siders è convinta che «Pensare seriamente a una ritirata gestita , prima e nel contesto con altri strumenti disponibili, può rafforzare le decisioni stimolando colloqui difficili. Anche se le comunità decidono di rimanere sul posto, identificare le cose che i membri della comunità apprezzano può aiutarli a decidere cosa vogliono mantenere e cosa vogliono cambiare in proposito. Se gli unici strumenti a cui pensi sono il ripascimento della spiaggia e la costruzione di dighe, stai limitando ciò che puoi fare, ma se inizi ad aggiungere l’intero kit di strumenti e a combinare le opzioni in modi diversi, puoi creare una gamma di futuri molto più ampia».

Nello studio, Siders e Mach sostengono che «L’adattamento a lungo termine comporterà il ritiro. Anche le visioni del futuro tradizionalmente accettate, come la costruzione di dighe contro le inondazioni e il sollevamento delle strutture minacciate, comporteranno una ritirata su piccola scala per fare spazio a argini e drenaggio. Potrebbe essere necessario una ritirata su larga scala per trasformazioni più ambiziose, come la costruzione di quartieri o città galleggianti, la trasformazione delle strade in canali nel tentativo di convivere con l’acqua o la costruzione di città più dense e compatte su un terreno più elevato».

E quello che può sembrare un futuro fantascientifico o distopico in realtà esiste già: Nei Paesi Bassi, il comune di Rotterdam ha installato nel porto di Nassau case galleggianti che si spostano con le maree, fornendo una vista sostenibile del lungomare per i proprietari di case e facendo spazio a spazi verdi pubblici lungo l’acqua. New York City sta esaminando l’idea di costruire nell’East River per ospitare una diga anti-alluvioni. Entrambe le città utilizzano strategie combinate che sfruttano più di uno strumento di adattamento.

Le decisioni di adattamento non devono essere decisioni “sì o no”, ma è importante ricordare che si tratta di progetti e interventi che richiedono tempo, quindi la pianificazione dovrebbe iniziare ora. E la Siders evidenzia che «Comunità, Paesi e città stanno prendendo ora decisioni che influiscono sul futuro. A livello locale, il Delaware sta costruendo più velocemente all’interno della pianura alluvionale che al di fuori di essa. Stiamo pianificando il ripascimento delle spiagge e dove costruire le dighe. Stiamo prendendo queste decisioni ora, quindi dovremmo considerare tutte le opzioni sul tavolo ora, non solo quelle che mantengono le persone al loro posto. Lo studio è uno spunto di conversazione per ricercatori, responsabili politici, comunità e residenti che si impegnano ad aiutare le comunità a prosperare nel bel mezzo al cambiamento climatico. Queste discussioni, non dovrebbero concentrarsi esclusivamente su dove dobbiamo spostarci, ma anche dove dovremmo evitare di costruire, dove dovrebbero essere incoraggiate nuove costruzioni e come dovremmo costruire in modo diverso».

Secondo la Mach, «La ritirata gestita può essere più efficace nel ridurre il rischio, in modi socialmente equi ed economicamente efficienti, se è una componente proattiva delle trasformazioni guidate dal clima. Può essere utilizzata per affrontare i rischi climatici, insieme ad altri tipi di risposte come la costruzione di dighe o limitare il nuovo sviluppo urbanistico nelle regioni a rischio».

Per la Siders, «A livello globale, gli Stati Uniti sono in una posizione privilegiata, in termini di spazio disponibile, denaro e risorse, rispetto ad altri Paesi che affrontano futuri più complicati. La Repubblica di Kiribati, una catena di isole nell’Oceano Pacifico centrale, per esempio, dovrebbe finire sott’acqua in futuro. Alcune delle sue isole sono già inabitabili».

Infatti,  il governo di Kiribati ha acquistato un terreno nelle Fiji per trasferirci tutta la sua popolazione  (ricreando lì un mini-Stato) e sta sviluppando programmi con Australia e Nuova Zelanda per fornire formazione per forza lavoro qualificata in modo che la gente di Kiribati possa migrare con dignità quando sarà il momento. Ma non  tutti sono d’accordo con lo spostamento di un’intera nazioneo.

In un recente numero speciale del Journal of Environmental Studies and Sciences, curato e introdotto dalla Siders e Idowu (Jola) Ajibade alla Portland State University (Introduction: Managed retreat and environmental justice in a changing climate) diversi ricercatori hanno esaminato le implicazioni sulla giustizia sociale della ritirata gestita in  diversi paesi, compresi Usa,  Isole Marshall, Nuova Zelanda, Perù, Svezia, Taiwan, Austria e Inghilterra. Gli scienziati hanno analizzato il modo in cui la ritirata influisce sui diversi gruppi di persone e, per quanto riguarda gli Usa, hanno preso in considerazione in modo specifico il modo in cui il ritiro colpisce le popolazioni emarginate.

La Siders pensa che l’umanità possa cavarsela solo se penserà a lungo termine: «E’ difficile prendere buone decisioni sul cambiamento climatico se pensiamo fino a 5 – 10 anni. Stiamo costruendo infrastrutture che durano 50 – 100 anni; la nostra scala di pianificazione dovrebbe essere altrettanto lunga».