Fragile come una montagna

Le proposte dell’UNCEM e la necessità per mettere in sicurezza territori e comunità

[23 Maggio 2023]

Le recenti calamità naturali, le alluvioni e il dissesto idrogeologico si originano da un combinato disposto complesso che ha nei cambiamenti climatici e abbandono dei territori le cause primarie di quanto avvenuto – e purtroppo rischia di succedere nuovamente. Un binomio sul quale occorre una riflessione politica e istituzionale, sulla quale montare investimenti e processi duraturi di intervento

Troppe risorse sono ferme, non spese. Il PNRR ha solo 2,5 miliardi di euro previsti per la prevenzione del dissesto idrogeologico. Ne servono molti di più. Almeno 10 miliardi di euro. Che si sommino alle risorse finora non spese, accantonate in diverse leggi di bilancio. Occorre arrivare a investire 10 miliardi in 10 anni, per 100 miliardi di euro complessivi, per riduzione del rischio, prevenzione del dissesto. Il PNRR non ha aggiunto di fatto risorse, procedendo invece con un cambio di matrice e di cespite: le risorse stanziate in leggi di bilancio ai Comuni sono state spostate sul PNRR per un artificio contabile. Intervenire per accelerare la spesa è urgente.

La pianificazione territoriale è necessaria per rendere i territori “più resilienti”. Occorrono specifici studi sulle aste fluviali, nelle sezioni montane, che molti Enti territoriali (Comunità montane e Unioni montane) hanno avviato d’intesa con ingegneri idraulici, geologi, dottori forestali. Negli alvei sono cresciute porzioni di foresta che devono poter essere eliminate. Sulla rimozione di materiali e detriti dagli alvei occorrono chiarimenti. Si ricorda che il legno, i tronchi e le radici possono essere portati via da chiunque voglia. Inoltre, i Piani di Protezione civile dei Comuni – fatti insieme, a livello di ambito territoriale, dunque di valle, di asta fluviale – devono essere accessibili dalla popolazione, non invece dei documenti chiusi in un cassetto.

La prevenzione del dissesto ha un asse fondamentale nell’attuazione della Strategia forestale nazionale. Era previsto 1 miliardo di euro nel PNRR per realizzare la SFN, poi eliminato, gravemente. Abbiamo in Italia 11 milioni di ettari di boschi, un terzo della superficie complessiva del Paese. Il dissesto si origina anche da foreste non gestite, non pianificate, e che non drenano più. Versanti troppo carichi, foreste non certificate, boschi d’invasione. E ancora, proprietà troppo piccole, parcellizzazione dei fondi che poi sono abbandonati. Facciamo insieme con il Governo e il Parlamento una seria analisi su questo fronte. Che è dovuto all’abbandono, allo spopolamento della montagna.

Troppi condoni, molto abusivismo. Anche nelle aree montane. Nel tempo si sono succeduti interventi non efficaci per tutelare ecosistemi e per dare sicurezza alle popolazioni. Si è costruito male in molte aree e non è da escludere, in particolare nei fondovalle, che aree residenziali debbano essere spostate. Dire stop al consumo di suolo nelle aree urbane significa anche verificare dove l’abusivismo del passato può fare enormi danni oggi. Fermare l’abusivismo, ma anche intervenire per limitare lo spopolamento e l’abbandono nelle aree montane, dove il vero problema è l’abbandono del suolo e delle superfici, con muretti a secco che crollano per incuria e pezzi di versante non presidiati che franano a valle.

Italia Sicura, la Struttura di Missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, nasce il 27 maggio 2014. Italia Sicura venne creata sbloccare fondi e cantieri delle opere decise per sanare i problemi creati dal dissesto idrogeologico, su tutto il territorio italiano. Nell’arco di tre anni, grazie ad Italia Sicura si ottennero risultati importanti. Vennero investiti 2.260 milioni di euro in 1.781 opere. e vennero sbloccate opere per oltre un miliardo di euro rimaste ferme nelle contabilità locali per inutili lungaggini. Grazie alla Struttura, in 30 giorni i Presidenti di Regione (commissari straordinari al dissesto ) potevano dare tutte le autorizzazioni allo sblocco delle opere che, precedentemente, restavano ferme per intoppi burocratici. Non sarebbe utile riattivarla?

In molte occasioni, negli ultimi 10 anni, se ne è parlato. Uncem ne ha sostenuto l’importanza e la necessità. Una Carta di Identità degli Edifici per rilanciare il sistema delle costruzioni e mettere in sicurezza il patrimonio costruito. Ma prima ancora per dire cosa è quell’immobile, condominio o unifamigliare, come e quando è stato costruito, quali sono le caratteristiche, quali le necessità, quali le qualità architettoniche, dei materiali, della struttura. Nella Carta – per edifici privati e pubblici – devono essere indicate le necessarie certificazioni energetiche per portare l’edificio a rispondere alle richieste di riduzione dei consumi e delle emissioni. Non bastano bonus e direttive UE. Lo stato del patrimonio edilizio privato esistente va tenuto costantemente sotto controllo.

Da sempre lo diciamo: abbiamo il miglior sistema di Protezione Civile del mondo. Che nel post-emergenze è efficace e capace sempre di sorprenderci. Il Dipartimento nazionale è strutturato presso la Presidenza del Consiglio. Prefetti e Sindaci sono lo snodo sui territori. Insieme con Vigili del Fuoco, Esercito, Forze dell’Ordine, mondo scientifico e della ricerca, è decisivo il volontariato. I Comuni più piccoli hanno visto in vent’anni strutturarsi un efficace rete di volontariato di Protezione Civile. Fa la differenza, fanno la differenza decine di migliaia di volontari in Italia, capaci di lavorare insieme, con modelli codificati, che nel caso di terremoti e alluvioni dimostrano che l’unità è la forza del Paese. E il volontariato conta.

Occorre intervenire, secondo Uncem, per facilitare il recupero di superfici agricole, per superare la frammentazione fondiaria con le “associazioni fondiarie” [che non possono però da sole sostituire in Italia la mancanza di un profondo intervento per la ricomposizione fondiaria, come fatto in Francia ad esempio], per dare forza e attuazione alla Strategia forestale nazionale, per rigenerare muretti a secco, “Patrimonio dell’Umanità” ma oggi in abbandono, e ancor prima per agevolare chi vuole reinsediarsi recuperando attività agricole e zootecniche sui versanti. Sono loro, questi reinsediamenti, il primo antidoto ad abbandono e fragilità. Garantiscono servizi ecosistemici-ambientali all’intero Paese.

L’acqua unita alla forza di gravità ha un valore. Permette di avere risorsa potabile in tutte le case e le imprese, di produrre energia elettrica. E molto altro. La forza di gravità per la montagna significa anche dissesto, acqua che scava, che separa, che rende più fragili i versanti. Occorre introdurre un meccanismo di valorizzazione del servizio ecosistemico-ambientale acqua + forza di gravità. Come quello del Piemonte, che sin dal 1997 ha una piccola porzione di tariffa idrica pagata da tutti i piemontesi (4 euro l’anno a famiglia) destinata ai territori montani per interventi di prevenzione del dissesto. Venti milioni di euro l’anno. Se non ci fossero, la situazione sarebbe ben peggiore, anche nelle città del fondovalle. Ecco perché occorre ripartire da qui, in tutte le Regioni italiane.

Costruire male sui versanti genera enormi problematiche. La pianificazione urbanistica – anche a livello sovracomunale – deve essere congiunta e potersi sovrapporre alla pianificazione forestale e alla pianificazione della protezione civile, con i Piani strutturati alla luce di quanto disposto dal Codice nazionale in particolare a livello di “ambiti ottimali”. Anche in questa direzione occorre potenziare la Strategia nazionale per le Green Communities e la Strategia per le aree montane e interne che deve vedere al centro i Comuni che imparano a lavorare insieme, nelle valli alpine e appenniniche, a pianificare (anche la pianificazione forestale è imprescindibile “di valle”) e a investire insieme.

Nel corso dell’ultimo decennio, moltissimi Comuni si sono dotati di sistemi di allertamento della popolazione, con messaggistica inviata sui telefoni cellulari e altri sistemi con app e telefonate in caso di necessità. Anche Google, Meta e i colossi del web hanno attivato modelli per l’allerta. Serve però un sistema nazionale pubblico. E c’è già, si chiama ITAlert. Un sistema gratuito, che sostituisca i sistemi a pagamento utilizzati oggi dai Comuni. Che con notifiche chiari informi, a dimensione nazionale, regionale e locale le popolazioni nel caso di allerta. E informi tutti, non solo i residenti registrati. ITAlert serve per tutti, è costruito dallo Stato, coordinato dal Dipartimento Protezione Civile. È anche per chi passa in quel momento, occasionalmente, in un territorio esposto a rischi, in allerta. Attiviamolo in tempi rapidi.

È particolarmente rilevante poter disporre, a livello comunale e sovracomunale, di progetti cantierabili per la protezione delle aste fluviali e dei versanti, così da poterne dare attuazione appena disponibili le risorse stanziate. Non corrisponde al vero affermare che sta nei Comuni la colpa di un rallentamento dei cantieri e delle procedure. Gli Enti locali devono essere messi nelle condizioni dal legislatore – consentendo ad esempio assunzioni di personale all’interno di Unioni montane e Comunità montane – di poter progettare bene e affidare i lavori post-emergenza e per la prevenzione. E i Sindaci devono essere tutelati, garantiti. Anche eliminando i reato di abuso d’ufficio ed evitando siano responsabili per ogni situazione di emergenza che si verifica sui loro territori.

La ripresa di una azione diffusa e generalizzata di manutenzione territoriale deve fare i conti per il suo successo con tre questioni cruciali: 1) trovare le risorse finanziarie con cui sostenere una azione di manutenzione che non è più un prodotto congiunto (una esternalità positiva) del ciclo di produzione primario; 2) trovare le risorse umane ed organizzative con cui sostenere l’azione di manutenzione da finanziare; 3) acquisire i titoli di legittimazione su un territorio del quale si sono in larga misura persi anche i riferimenti giuridici. Le tre questioni sono tra loro fortemente interconnesse e solo la positiva soluzione di tutte e tre può dare una risposta convincente. Ci sono però positive sinergie tra le risposte possibili e questo può favorire il successo.

Dal 1961, primo censimento della agricoltura italiano, al censimento del 2010, la superficie territoriale direttamente riconducibile al controllo delle aziende agricole è diminuita di 93mila chilometri quadrati (dei 300mila che formano il territorio nazionale). Praticamente un terzo del territorio nazionale è uscito dal controllo dei contadini e meno del 10% di questo territorio agricolo e forestale sottratto all’occhio e alla mano dei contadini è stato cementificato. Quasi 90mila chilometri quadrati sono invece usciti dai nostri radar, confinati nella terra di nessuno dove l’inselvatichimento riduce drammaticamente la funzionalità idraulica di un territorio che è stato largamente antropizzato negli ultimi millenni, riduce i tempi di corrivazione delle piene, aumenta il trasporto solido delle acque. Produce i disastri che abbiamo visto.

Uncem propone di portare al 10% l’aliquota IVA per alcune tipologie di interventi pubblici di primaria importanza per la sicurezza del territorio e la qualità della vita delle comunità, quali: – interventi per la difesa del suolo e la messa in sicurezza di abitati; – interventi di difesa idraulica; – interventi per la manutenzione del territorio e la regimazione idraulica; – interventi per il ripristino di terreni colpiti da incendi; – interventi di miglioramento forestale e prevenzione incendi; – interventi per la fruizione di aree naturali. Trattandosi di interventi a totale carico pubblico, il costo dell’Iva è a oggi eccessivo. A legislazione vigente, un quinto delle risorse economiche di cui gli Enti locali dispongono per questo tipo di iniziative torna infatti allo Stato. È necessario una modifica normativa al fine di garantire una migliore spesa delle risorse disponibili per la salvaguardia di risorse per la salvaguardia del territorio e la prevenzione del dissesto.

La superficie sottoposta a pericolosità elevata per dissesto idrogeologico è molto diffusa in montagna dove investe 20 mila kmq. Gli abitanti che vivono in Comuni con rischio elevato sono 6,7 milioni, e il 58% di questi si trova in montagna. Ripartire da qui, con interventi specifici contro l’abbandono, sbloccando risorse ferme per interventi di tutela e supportando imprese agricole e residenzialità, con opportuni servizi, è una grande esigenza del Paese.

Dossier di Unione nazionale Comuni Comunità Enti montani – UNCEM