«Dobbiamo abbandonare i combustibili fossili in modo ancora più aggressivo di quanto molte istituzioni stiano prendendo in considerazione»
È molto rischioso scommettere sulle tecnologie a emissioni negative per risolvere la crisi climatica globale
I piani tecnologici per evitare i peggiori impatti di un pianeta in via di riscaldamento potrebbero portare a indesiderati effetti collaterali
[25 Agosto 2020]
Il nuovo studio “Food–energy–water implications of negative emissions technologies in a +1.5 °C future“, pubblicato su Nature Climate Change da un team di ricercatori statunitensi delle Università della Virginia – Charlottesville e del Maryland insieme al Pacific Northwest National Laboratory, avverte che «quando si tratta di cambiamento climatico, il mondo sta facendo una scommessa che potrebbe non essere in grado di onorare». Il team statunitense analizza in particolare come i piani per evitare i peggiori impatti di un pianeta in via di riscaldamento potrebbero portare a indesiderati effetti collaterali.
All’università della Virginia sottolineano che «il pugno di modelli dell’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite e i decision maker di tutto il mondo fanno affidamento sullo sviluppo di strategie per soddisfare gli impegni di carbon neutrality e tutti presumono che, come parte della soluzione, saranno disponibili le tecnologie a emissioni negative».
Le tecnologie a emissioni negative, spesso chiamate NETs, rimuovono l’anidride carbonica dall’atmosfera. I tre approcci più ampiamente studiati sono la bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio, che comporta la coltivazione di colture per produrre combustibile, quindi lo stoccaggio e il seppellimento della CO2 da biomassa bruciata; piantare più foreste; la cattura diretta dell’aria, un processo ingegnerizzato per separare la CO2 dall’aria e immagazzinarla in modo permanente, probabilmente sottoterra.
Proprio in questi giorni, in Italia il presidente di Legambiente Stefano Ciafani ha polemizzato col Governo anche su questo: «Tunnel sotto allo stretto di Messina, Eni che vuole confinare la CO2 nei fondali in Alto Adriatico? Autostrade e pedemontane nel nord Italia? Il governo Conte 2 ha le idee molto confuse sul Piano per il rilancio da presentare in autunno all’Europa per spendere i 209 miliardi di euro del Recovery Fund». E va anche detto che l’opposizione di destra su global warming e green economy ha idee ancora più confuse e pericolose fino a un esibito negazionismo climatico.
Uno degli autori dello studio, Andres Clarens del Department of engineering systems and environment dell’università della Virginia e direttore del Environmental resiliance institute che ha parzialmente finanziato lo studio, spiega che «il problema è che nessuno ha provato queste tecnologie su scala dimostrativa, tanto meno ai massimi livelli necessari per compensare le attuali emissioni di CO2. Il nostro documento quantifica i costi in modo che possiamo avere una discussione onesta al riguardo prima di iniziare a realizzarle su larga scala».
Dopo l’Accordo di Parigi del 2015 per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius, un numero crescente di grandi multinazionali come la BP e molti governi e istituzioni scientifiche – compresa l’Università della Virginia – si sono impegnati a raggiungere le emissioni zero di carbonio entro pochi decenni. Un gigante come Microsoft si è impegnato a cancellare le sue emissioni di carbonio sin dalla sua fondazione nel 1975, pur senza finora riuscirci. Per Clarens, «questi sono sviluppi incoraggianti».
Per il suo studio, il team statunitense ha utilizzato il Global Change Assessment Model, uno dei modelli sui quali si basa l’Onu, che è stato sviluppato all’Università del Maryland, che collabora con il Pacific Northwest National Laboratory per gestire il Joint Global Change Research Institute. Gli scienziati hanno confrontato gli effetti di tre tecnologie di emissioni negative sull’approvvigionamento alimentare globale, sull’utilizzo dell’acqua e sulla domanda di energia. E lo studio ha esaminato il ruolo che avrebbe la cattura diretta della CO2 dall’aria sui futuri scenari climatici.
Ne sono venute fuori preoccupanti conferme e novità: i biocarburanti e il rimboschimento assorbono vaste risorse di terreno e acqua necessarie per l’agricoltura e le aree naturali; i biocarburanti contribuiscono anche all’inquinamento da fertilizzanti. La cattura diretta dell’aria utilizza meno acqua rispetto alle piantagioni per biocarburanti e al rimboschimento, ma richiede comunque molta acqua e ancora più energia, in gran parte fornita da combustibili fossili, compensando alcuni dei vantaggi della rimozione dell’anidride carbonica. Fino a poco tempo fa, le direct air technologies erano considerate anche troppo costose per essere incluse nei piani di riduzione delle emissioni.
L’analisi del team statunitense dimostra che «la cattura diretta dall’aria potrebbe iniziare a rimuovere fino a tre miliardi di tonnellate di anidride carbonica dall’atmosfera all’anno entro il 2035, oltre il 50% delle emissioni statunitensi nel 2017, l’anno più recente per il quale sono disponibili dati affidabili. Ma anche se i sussidi governativi rendessero fattibile l’adozione rapida e diffusa della cattura diretta dell’aria, avremo bisogno di biocarburanti e rimboschimento per raggiungere gli obiettivi di riduzione di CO2. L’analisi ha dimostrato che i prezzi delle colture alimentari di base aumenteranno ancora di circa 3 volte a livello globale rispetto ai livelli del 2010 e di 5 volte in molte parti del mondo dove esistono già disuguaglianze per il costo da pagare del cambiamento climatico».
Gli autori dello studio evidenziano che «la cattura diretta dall’aria può ammorbidire – ma non eliminare – i problemi più grossi derivanti dalla competizione tra terreni agricoli e terreni necessari per nuove foreste e la bioenergia». E si tratta di costi che aumenteranno con il tempo, «rendendo più urgenti azioni determinate e multiformi per ridurre le emissioni di anidride carbonica e rimuoverla dall’atmosfera».
Clarens conclude: «Dobbiamo abbandonare i combustibili fossili in modo ancora più aggressivo di quanto molte istituzioni stiano prendendo in considerazione. Le tecnologie a emissioni negative sono il backstop che l’Onu e molti Paesi si aspettano che un giorno ci salverà, ma avranno effetti collaterali ai quali cui dobbiamo essere preparati. E’ una grande scommessa stare con le mani in mano per il prossimo decennio e dire, possiamo farlo perché implementeremo questa tecnologia nel 2030, ma poi scoprire che ci sono carenze d’acqua e non possiamo farlo».
Il principale autore dello studio, Jay Fuhrman, anche lui del Department of engineering systems and environment dell’università della Virginia, conclude: «Prima di scommettere sulla nostra casa, capiamo quali saranno le conseguenze. Questa ricerca può aiutarci a eludere alcune delle insidie che potrebbero derivare da queste iniziative».