Cop27: alleanza tra Egitto e Paesi ricchi per far slittare ancora l’obiettivo 1,5° C?

Guterres al G20: patto di solidarietà per il clima per salvare vite, mezzi di sussistenza e il nostro pianeta

[15 Novembre 2022]

La COP27 Unfccc in corso in Egitto doveva avere il compito dichiarato di mettere in campo iniziative, finanziamenti e impegni vincolanti per limitare l’aumento delle temperature globale a + 1,5° C, ma  a Sharm el-Sheik sono sempre di più coloro che pensano che ci sia in atto una strategia dilatoria per non mantenere questo obiettivo essenziale. In particolare – come qualcuno aveva già avvertito quando fu deciso di affidare l’organizzazione della COP27 a un regime militare che per la sua sopravvivenza dipende dagli aiuti finanziari dei Paesi occidentali e delle monarchie assolute petrolifere del Golfo –  si teme che la presidenza egiziana stia cercando di trovare un accordo tra ricchi e poveri che metta da parte l’obiettivo 1,5° C entro il 2100.

Anche il capo dell’Unfccc Simon Stiell è stato costretto ad ammettere che finora non sono stati compiuti progressi sufficienti: «Le mie osservazioni sono che ci sono troppe questioni irrisolte. Se creiamo un ingorgo nel processo, non otterremo un risultato che meriti la crisi».

Carbon Brief  ha pubblicato un’analisi sullo stato dei negoziati che mostra un diffuso disaccordo tra le parti e una delle maggiori preoccupazioni è che mentre la presidenza egiziana cerca di trovare una via d’uscita, questa potrebbe significare che non ci sarà un chiaro impegno finale sugli 1,5° C. Un arretramento persino rispetto al Glasgow climate pact della COP26, quando tutti i Paesi hanno concordato di «Mantenere in vita gli 1,5° C», intraprendendo riduzioni «Rapide, profonde e sostenute» per ridurre le emissioni di gas serra.

Del fatto che qualcosa non funzionasse ci se ne era già accorti ad agosto quando, a un summit del G20 in Indonesia, i ministri non sono stati in grado di concordare un comunicato sul cambiamento climatico perchè Cina e India hanno messo in dubbio la fattibilità scientifica della soglia di 1,5° C. Pechino e New Delhi non sono alla COP27 con i loro leader e a Sharm el-Sheik le differenze tra i Paesi sono così forti che si teme che il documento finale redatto dagli egiziani possa diluire o escludere l’obiettivo di 1,5° C.

E non si tratta dei “soliti” ambientalisti radicali: l’ex presidente dell’Irlanda, Mary Robinson, presidente dell’Elders group, ha detto all’Irish Times: «Sono preoccupata che ci sia qualche tentativo di dire che forse gli 1.5° C non sono più raggiungibili». La Robinson, ha firmato a nome del gruppo di ex leader politici di altissimo livello  una dichiarazione congiunta circa 200 delle più grandi imprese e gruppi della società che esorta i governi ad allineare i loro obiettivi nazionali con gli 1.5° C.

Laurence Tubiana, uno degli architetti dell’Accordo di Parigi e a capo della European Climate Foundation, ha avvertito che «Qualunque siano le difficoltà nei negoziati, gli 1.5° C devono  rimanere al centro del messaggio. Il titolo in copertina deve garantire che i Paesi siano pienamente impegnati nell’obiettivo di 1,5° C. Il mondo sta assistendo all’impatto della dipendenza dai combustibili fossili raggiunta dall’Unione europea e non dovrebbe ripetere gli stessi errori».

Le voci che l’Egitto si stia mettendo d’accordo con i Paesi ricchi per far saltare gli 1,5° C stanno facendo innervosire il gruppo dei Least Developed Countries (LDC) che credeva di trovare in un Paese in via di sviluppo come l’Egitto un alleato. Con una dichiarazione insolitamente forte il gruppo LDC, che rappresenta i 46 Paesi più vulnerabili agli impatti dell’aumento delle temperature, si è dichiarato «Fermamente contrario a qualsiasi annacquamento di questo impegno fondamentale». La presidente  dell’LDC, la senegalese Madeleine Diouf Sarr, ha aggiunto: «La COP27 deve inviare un segnale politico forte e dimostrare che il mondo è unito nella lotta al cambiamento climatico. Questo significa che alla COP27 l’obiettivo di 1,5° C deve rimanere a portata di mano, assumendo forti impegni per dimezzare le emissioni entro il 2030».

L’impressione è che del destino della COP27 Unfccc sarà deciso in realtà al G20 di Bali. Un vertice che, come ha ricordato in una conferenza stampa  il segretario generale dell’Onu António Guterres, si svolge mentre « Il nostro mondo sta affrontando il momento più cruciale e precario da generazioni. Le divisioni geopolitiche stanno scatenando nuovi conflitti e rendendo quelli vecchi difficili da risolvere, mentre la gente di tutto il mondo viene colpita da ogni direzione dal cambiamento climatico e dall’aumento del costo della vita.  Il G20 è il ground zero per colmare le divisioni e trovare risposte a queste crisi e altro ancora. Primo di tutti, il clima: la sfida determinante della nostra epoca».

Guterres condivide  timori di chi dice che è in atto una manovra per rimandare ancora una volta gli impegni climatici presi: «Vengo da poco dal Vertice COP27 di Sharm el-Sheikh. L’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi sta svanendo. Siamo pericolosamente vicini a punti critici in cui il caos climatico potrebbe diventare irreversibile. La scienza ci dice che il riscaldamento globale oltre tale limite rappresenta una minaccia esistenziale per tutta la vita sulla terra. Ma le emissioni e le temperature globali continuano ad aumentare. Tendo a concordare sul fatto che la follia consiste nel fare sempre la stessa cosa e aspettarsi un risultato diverso. E’ ovvio che abbiamo bisogno di un nuovo approccio.  E così, ho proposto un patto storico tra economie sviluppate ed emergenti: un patto di solidarietà climatica che combini le capacità e le risorse delle economie sviluppate ed emergenti a beneficio di tutti».

Poi, tanto per far capire di chi sospetta, Guterres ha ricordato che «I Paesi del G20 sono responsabili dell’80% delle emissioni globali. I leader del G20 possono creare o distruggere il patto di solidarietà per il clima che intendo ripresentare domani. In base a questo patto, in questo decennio farebbero ulteriori sforzi per mantenere vivo il limite di 1,5 gradi.  I Paesi più ricchi e le istituzioni finanziarie internazionali fornirebbero assistenza finanziaria e tecnica per aiutare le economie emergenti ad accelerare la loro transizione verso le energie rinnovabili. Il patto di solidarietà per il clima può salvare vite, mezzi di sussistenza e il nostro pianeta. Può aiutare a porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili fornendo energia universale, accessibile e sostenibile per tutti».

Il secondo punto che il Capo dell’Onu ha sottoposto ai leader del G20 è più che noto: l’Agenda 2030 e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG), per la quale ha lanciato un vero e poprio SOS: «I Paesi in via di sviluppo non possono accedere ai finanziamenti di cui hanno bisogno per ridurre la povertà e la fame e investire nello sviluppo sostenibile. Esorto quindi le economie del G20 ad adottare un pacchetto di stimoli SDG che fornirà ai governi del Sud del mondo investimenti e liquidità e offrirà alleggerimento e ristrutturazione del debito. Questo consentirà alle economie emergenti di investire nella sanità, nell’istruzione, nella parità di genere e nelle energie rinnovabili. Investire nelle loro persone e salvare l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Lo stimolo SDG è un passo minimo e necessario per alleviare le crisi alimentari ed energetiche e prevenire ulteriori sofferenze e difficoltà lungo la linea. I paesi del G20 sono le economie più potenti del mondo, con la maggioranza nei consigli di amministrazione delle banche multilaterali di sviluppo e, quindi. possono e devono realizzarlo».