Cop26: lo scomodo patto di Glasgow salvato dai piccoli Stati insulari in via di sviluppo

Guterres: «Stiamo ancora bussando alla porta della catastrofe climatica. La COP 27 inizia ora»

[15 Novembre 2021]

La 26esima conferenza della parti dell’United Nations framework convention on climate change (COP26 Unfccc) di Glasgow  doveva concludersi il 12 novembre, ma il tribolato accordo finale è arrivato solo  alle 19,41 di sabato 13 novembre e soddisfa pochi e non soddisfa molti, a cominciare dal presidente della Cop26, Alok Sharma che, con le lacrime agli occhi, ha dichiarato: «Mi scuso per come si è svolta la faccenda e sono profondamente dispiaciuto», anche se poi il premier britannico Boris Johnson, che sul successo della COP26 aveva puntato molto, ha cercato di correggerlo: «Spero che il mondo guardi indietro alla COP26 di Glasgow come all’inizio della fine del cambiamento climatico. C’è ancora molto da fare nei prossimi anni. Ma l’accordo di oggi è un grande passo avanti e, soprattutto, abbiamo il primo accordo internazionale in assoluto per ridurre gradualmente il carbone e una roadmap per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi». Ma la frittata ormai è fatta e non è venuta per niente bene e non fornisce finanziamenti per riparare i danni climatici che l’insostenibile sviluppo dei Paesi ricchi ha inferto ai Paesi poveri.

In questo contesto, dove gli Usa e l’Europa sembrano aver fatto il gioco delle parti con l’India e la Cina cattive e sporche di carbone per tenersi ben stretto il portafogli dei necessari aiuti per la mitigazione e la lotta ai cambiamenti climatici,. Suonano quasi beffarde le parole dell’inviato speciale per il clima Usa John Kerry che, in plenaria, prima dell’adozione del testo dell’accordo, ha ammesso: «C’è un certo disagio. Bene, se è una buona negoziazione, tutte le parti sono a disagio. Questa è stata una buona trattativa».

Lo è stata certamente per la Cina e l’India  (e l’Australia e qualche Paese europeo) che in cambio di un indeterminato impegno di principio ad accettare il limite di più 1,5°C hanno ottenuto di poter finanziare e sfruttare l’estrazione di carbone. Così l’attivissimo e irremovibile ministro dell’ambiente indiano Bhupender Yadav ha imposto una concessione all’ultimo minuto, ottenendo che il riferimento al “phasing out” dell’energia a carbone cambiato in “phase down”.

Alla fine, di fronte alla rivolta dei Paesi in via di sviluppo più vulnerabili, la conferenza di Glasgow è stata salvata dall’alleanza dei piccoli Stati insulari invia di sviluppo (Aosis)che  pagheranno maggiormente le conseguenze di questa nuova dimostrazione di vigliaccheria politica globale ma che non potevano permettersi un fallimento totale della COP26.

Nell’ultima plenaria a Glasgow Tina Stege, delle Isole Marshall, ha espresso i tutta la sua «profonda delusione» ma ha aggiunto: «Accettiamo questo cambiamento con la massima riluttanza. Lo facciamo solo perché sono elementi critici in questo pacchetto di cui le persone nel mio Paese hanno bisogno come ancora di salvezza per il loro futuro».

Come evidenzia Climate Home News, «I Paesi vulnerabili hanno anche espresso sgomento per i progressi incrementali nell’aumento dei finanziamenti per rispondere agli impatti del cambiamento climatico. Hanno dovuto accontentarsi di un organismo per fornire assistenza tecnica e un “dialogo” su perdite e danni».

Kerry e la veterana statunitense della negoziazione climatica Sue Biniaz hanno passato il pomeriggio del 13 novembre a cercare di convincere le delegazioni dei Paesi poveri a ingoiare il rospo e l’osso più duro si è rivelato Ahmadou Sebory Toure, il principale negoziatore del gruppo G77+Cina dei Paesi in via di sviluppo, che alla fine ha dovuto cedere: se il gruppo africano minacciava di rifiutare l’intero pacchetto, i piccoli Stati insulari hanno respinto questa soluzione di completa rottura. Ma il ministro dell’ambiente del Gabon, Lee White, ha detto che i Paesi africani sono stati nuovamente umiliati e che la loro linea rossa che avevano tracciato per la COP26 «E’ stata cancellata senza compromessi. Il gruppo africano è piuttosto arrabbiato. L’Aosis  è riuscita a convincere il resto dei blocchi a rivisitare la questione in Egitto. Per ora, credono che questo sia il miglior accordo che potevamo avere alla Cop”.

L’obiettivo dichiarato della presidenza britannica  (e della fantasmatica co-presidenza italiana) era quello di mantenere in vita  gli 1,5° C, ma gli annunci dell’India – destinata a diventare il Paese più popoloso del mondo . che punta a raggiungere il net-zero entro il  2070 , senza nel frattempo rinunciare al carbone, e l’accordo per ridurre le emissioni di metano, hanno portato la tradizionalmente cauta International energy agency che al massimo così il riscaldamento globale potrebbe essere contenuto a 1,8°C. Ma un rapporto di Climate Action Tracker dice che con le attuali politiche – confermate alla COP26 Unfccc – siamo sulla strada di  un riscaldamento globale di 2,7° C, forse 2,4° C se verranno rispettate le valutazioni più ottimistiche che si basano su obiettivi a lungo termine e quindi incerti.

Per quanto riguarda le regole sul carbon market concordate a Glasgow, più rigide di quanto voluto da alcune parti, per Rachel Kyte, co-presidente di   Voluntary Carbon Markets Integrity Initiative (VCMI), rischiano di diluire l’ambizione: «Abbiamo molto da fare per impedire alle companies e ai Paesi di fare trucchi con questo sistema. Non c’è spazio o tempo per mercati colabrodo con 100 piccoli fori».

Anche il segretario generale dell’Onu,  António Guterres, non ha nascosto la sua profonda deluz sione abbandonando la COP26 ancora in corso. Ma poi, in una dichiarazione ufficiale, ha detto che «I testi approvati sono un compromesso. Riflettono gli interessi, le condizioni, le contraddizioni e lo stato della volontà politica nel mondo di oggi. Fanno passi importanti, ma purtroppo la volontà politica collettiva non è bastata a superare alcune profonde contraddizioni. Come ho detto in apertura, dobbiamo accelerare l’azione per mantenere vivo l’obiettivo di 1,5 gradi. Il nostro fragile pianeta è appeso a un filo.  Stiamo ancora bussando alla porta della catastrofe climatica. E’ tempo di entrare in modalità di emergenza, o la nostra possibilità di raggiungere il net zero sarà di per sé zero».

Guterres ha poi preso le distanze da quanto apporoivato a Glasgow: «Ribadisco la mia convinzione che dobbiamo porre fine ai sussidi ai combustibili fossili. Eliminare gradualmente il carbone. Dare un prezzo al carbonio. Costruire la resilienza delle comunità vulnerabili contro gli impatti qui e ora dei cambiamenti climatici. E andare avanti con l’impegno di 100 miliardi di dollari di finanziamenti per il clima a sostegno dei Paesi in via di sviluppo. Non abbiamo raggiunto questi obiettivi in ​​questa conferenza».

Ma secondo il capo dell’Onu alla Cop26 sono stati fatti alcuni progressi: «Impegni per porre fine alla deforestazione. Per ridurre drasticamente le emissioni di metano. Mobilitare la finanza privata intorno al net zero. E oggi i testi riaffermano la determinazione verso l’obiettivo di 1,5 gradi. Aumentare i finanziamenti per il clima per l’adattamento. Riconoscere la necessità di rafforzare il sostegno ai Paesi vulnerabili che soffrono di danni climatici irreparabili.  E per la prima volta incoraggiano le istituzioni finanziarie internazionali a prendere in considerazione le vulnerabilità climatiche nelle forme di sostegno finanziario e di altro tipo, inclusi i diritti speciali di prelievo. E infine chiudere il regolamento di Parigi con un accordo sui mercati del carbonio e la trasparenza».

Guterres ha avvertito che tutti questi «Sono passaggi graditi, ma non bastano. La scienza ci dice che la priorità assoluta deve essere una rapida, profonda e sostenuta riduzione delle emissioni in questo decennio.In particolare, un taglio del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010. Ma l’attuale set di Nationally Determined Contributions, anche se pienamente attuati, aumenterà ancora le emissioni in questo decennio su un percorso che ci porterà chiaramente a ben oltre i 2 gradi entro la fine del secolo rispetto ai livelli preindustriali. Accolgo con favore l’accordo tra Stati Uniti e Cina qui a Glasgow che, come il testo odierno, si impegna ad accelerare l’azione per ridurre le emissioni negli anni ’20. Per aiutare a ridurre le emissioni in molte altre economie emergenti, abbiamo bisogno di costruire coalizioni di supporto che includano Paesi sviluppati, istituzioni finanziarie, quelli con il know-how tecnico. Questo è fondamentale per aiutare ciascuno di questi Paesi emergenti ad accelerare la transizione dal carbone e accelerare l’inverdimento delle loro economie.  La partnership con il Sudafrica annunciata pochi giorni fa è un modello per fare proprio questo».

Poi il segretario generale dell’Onu ha rivolto un appello particolare per l’adattamento e la questione delle perdite e dei danni: «L’adattamento non è una questione tecnocratica, è una questione vita o di morte. Un tempo ero primo ministro del mio Paese. E mi immagino oggi nei panni di un leader di un Paese vulnerabile. I vaccini per il Covid-19 sono scarsi. La mia economia sta affondando. Il debito sta crescendo. Le risorse internazionali per la ripresa sono del tutto insufficienti. Nel frattempo, anche se abbiamo contribuito meno alla crisi climatica, ne soffriamo di più. E quando l’ennesimo uragano devasta il mio paese, le casse pubbliche sono vuote. Proteggere i Paesi dal disastro climatico non è beneficenza. E’ solidarietà e interesse illuminato. Oggi abbiamo un’altra crisi oltre quella climatica. Un clima di sfiducia sta avvolgendo il nostro globo. L’azione climatica può aiutare a ricostruire la fiducia e ripristinare la credibilità. Questo significa portare finalmente a termine l’impegno di 100 miliardi di dollari di finanziamenti per il clima ai Paesi in via di sviluppo. Niente più assegni a vuoto. Significa misurare i progressi, aggiornare i piani climatici ogni anno e aumentare le ambizioni. Convocherò un vertice globale di valutazione a livello di capi di stato nel 2023. E significa – al di là dei meccanismi già previsti dall’Accordo di Parigi – stabilire standard chiari per misurare e analizzare gli impegni net zero da parte di attori non statali.  Creerò un gruppo di esperti ad alto livello con tale obiettivo».

Guterres è preoccupato per la reazione al flop della COP26 di quelli che finora sono stati i suoi veri alleati: igiovani, alle comunità indigene, alle donne leader, a tutti coloro che guidano l’esercito per l’azione climatica e ha concluso con un messaggio di speranza e determinazione rivolto proprio a loro: «So che molti di voi sono delusi.  Il successo o il fallimento non è un atto della natura. E’ nelle nostre mani. La via del progresso non è sempre una linea retta. A volte ci sono deviazioni. A volte ci sono fossati. Come disse il grande scrittore scozzese Robert Louis Stevenson: “Non giudicare ogni giorno dal raccolto che raccogli, ma dai semi che pianti”. Abbiamo molti più semi da piantare lungo il sentiero. Non raggiungeremo la nostra destinazione in un giorno o in una conferenza. Ma so che possiamo arrivarci. Siamo nella lotta della nostra vita. Non mollate mai. Non ritiratevi mai. Continuate a spingere in avanti. Sarò con voi fino in fondo. La COP 27 inizia ora».